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A. XVIII, n. 200, maggio 2024
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Editoria varia (a cura di Giovanna Russo)

Zoom immagine Lettera aperta a uomini
di tre generazioni,
lungo la Storia d’Italia
dal Dopoguerra a oggi

di Alessia Rocco
Per Infinito edizioni, un romanzo epistolare carico di pathos esamina
il difficile rapporto tra i due sessi attraverso cinquant’anni di vicende


Il libro di Elisabetta Galli Lettera aperta agli uomini (Prefazione di Raffele Masto, edizioni Infinito, pp. 96, € 10,00) è una lunga missiva scritta agli uomini di tre generazioni, i padri, i compagni di vita ed i ragazzi di oggi, con i quali l’autrice ha interagito nel corso della sua esistenza. Con severa lucidità, senza lasciare spazio a facili sentimentalismi, la Galli esamina il rapporto, eternamente conflittuale, che da sempre intercorre tra gli uomini e le donne.

I primi destinatari di questa lettera dolorosa e intima sono i padri, uomini del Primo dopoguerra, protagonisti della ricostruzione e poi del boom economico, molti dei quali lasciarono le città d’origine per cercare un futuro dignitoso altrove.

Quegli uomini, ai quali l’autrice riconosce un indubbio rigore morale ed una estrema capacità di dedizione agli obblighi familiari, furono però autoritari e maschilisti, relegarono le donne nello spazio angusto della casa, limitandone i sogni e riducendole a un’obbedienza senza possibilità di discussione.

Quegli stessi uomini, afferma l’autrice, furono spaventati dai cambiamenti che la società aveva in serbo e che, di lì a poco, avrebbero dilagato con enorme fragore, trasformando i rapporti tra i sessi, restituendo all’universo femminile la giusta dignità e pari opportunità. Eppure, con una certa malinconia, la Galli non può che constatare che seppur «mariti-padroni», quegli uomini sono stati «l’ultima generazione di maschi su cui poter contare in caso di bisogno estremo», e che la soggezione alla quale le mogli erano destinate, aveva un risvolto paradossalmente positivo e cioè la sicurezza della presenza di un uomo che sapesse prendere su di sé il peso di una decisione, il carico di una responsabilità.

Oggi le donne, osserva l’autrice, seppur libere e indipendenti, non posseggono più quella «leggerezza di coscienza», che permetteva loro di «darsi per vinte, se lo avessero voluto», poiché avrebbero trovato «un sistema sociale dominante che le avrebbe riaccolte, riequilibrate, riammesse nell’ordine naturale degli eventi umani».

Ma non si può tornare indietro e soprattutto non lo si vuole. Il problema vero, continua la Galli, è che i figli di quei maschi autoritari del Dopoguerra, non hanno saputo crescere accanto alle ragazze della loro generazione, non hanno voluto cogliere il senso di quella rivoluzione culturale e sessuale che avrebbe potuto rendere più semplice e gioioso il rapporto tra i sessi; quei figli, che in apparenza sembravano migliori dei loro padri-padroni, hanno disatteso tutte le aspettative delle loro compagne.

 

I compagni di vita

I figli degli uomini del Dopoguerra hanno vissuto il Sessantotto, hanno manifestato in piazza accanto alle ragazze, creduto e sperato in un futuro migliore, combattuto gli stereotipi, additato a coloro i quali non prendevano posizione e non contestavano. Una volta, osserva la Galli, «quei ragazzi e quelle ragazze stavano gli uni accanto agli altri, pronti a spiccare il salto; ci sentivamo protagonisti di una storia collettiva che ci avrebbe liberato dal passato per non dimenticarlo, come accade ai nostri figli, ma perché ci aveva insegnato che cosa non andava fatto e che cosa invece dovevamo realizzare». Poi, quei ragazzi sono cresciuti, sono diventati uomini e sono cambiati, dimenticando tutti gli ideali, rinnegando gli insegnamenti di un’epoca piena di trasformazioni, nella quale uomini e donne erano per la prima volta uguali nelle loro mirabili differenze.

L’autrice osserva che non sono stati quei ragazzi a cambiare il mondo, ma che è stato il mondo, e tutte le vicissitudini venute in seguito, a cambiare loro, ad appassire tutti i tumulti giovanili, a rendere sterile ciò che era apparso fecondo e prolifico. La delusione delle donne è stata grande, perché quei giovani sono diventati sempre più somiglianti ai loro padri, hanno trascurato le loro donne alla stessa maniera e tutto si è dolorosamente ridimensionato: il mondo si è rattrappito, gli orizzonti si sono sfocati e quei ragazzi sono diventati boriosi uomini comuni, attaccati ai loro particolarismi, felici del loro triste benessere, fatto di cose spesso vuote ed inutili, educati dalla società a non poterne fare a meno. Al termine della lettera, la Galli, rivolge agli uomini della sua generazione una preghiera accorata che è quella di abbandonare tutta l’indifferenza accumulata nel corso della vita, di liberarsi dagli stereotipi che ne hanno condizionato l’esistenza e li hanno resi anonime comparse, vuote di ogni desiderio e stupore.

 

I figli, la generazione del futuro

Gli ultimi destinatari della lettera sono i figli, ragazzi e ragazze che vivono in un tempo sbandato, fintamente ricco, in cui prevalgono la paura ed il disincanto, perché il mondo in cui sono nati, plasmato per loro dai padri, che sono stati i giovani del Sessantotto, non è affatto quel capolavoro di giustizia e libertà promesso da questi ultimi. Per questo, nei figli di oggi, germoglia un senso di indifferenza che è quasi una corazza con la quale difendersi dai drammi del quotidiano, dalla sensazione che l’avvenire sia un percorso confuso e difficile, che non porta da nessuna parte.

Questi figli sono soli, abbandonati sin da piccoli davanti alla televisione, privi di buoni esempi da seguire, e di una figura paterna che sappia conquistarsi la loro stima e la loro confidenza.

A questo punto l’autrice suggerisce ai ragazzi di scegliere una figura paterna nel mondo, un padre che dia il buon esempio, anche se spesso questa figura non è quella che ci ha generati. La Galli continua esortando i giovani a vivere nella bellezza, perché è per la bellezza che essi sono nati. La bellezza che l’autrice intende è quella intrinseca della vita stessa, quella che l’uomo scopre negli altri, nell’amicizia, nella lotta per un ideale, in un viaggio verso l’ignoto, nella dolcezza delle madri. L’autrice incita i ragazzi a diventare protagonisti del proprio tempo, ad essere «goccia di luce nell’oceano», a studiare la storia perché questa è la giusta memoria dalla quale partire per costruire il futuro, sebbene oggi il suo insegnamento venga umiliato e impoverito, in ragione di un disegno culturale ben preciso, volto a minare la conoscenza degli uomini per renderli schiavi della propria ignoranza e quindi più facilmente manipolabili. L’autrice incoraggia i giovani a seguire l’esempio delle madri, molte delle quali hanno lottato per una società migliore. Madri che, con amore e dedizione, memori delle loro privazioni, hanno sperato di essere affiancate dai loro figli nella lotta verso la giustizia sociale, deluse dai loro compagni i quali hanno dimenticato e scelto la via dell’omologazione.

Anche questa lettera si chiude con un suggerimento che è quello di andare a cercare la verità, anziché credere a quella mediata dalla televisione o raccontata dagli altri.

La Galli propone ai giovani di oggi di viaggiare verso uno di quei posti dove la vita è una scommessa quotidiana; Brasile, India piuttosto che Bielorussia o Bulgaria, dove i ragazzi respirano colla per stordirsi e non hanno un posto per riparasi.

Solo confrontandosi con quelle realtà, sarà possibile scoprire la radice profonda del male e capire che le verità sono diverse da quelle che ci vengono propinate. A chi non può viaggiare e non vuole farlo, la Galli consiglia di studiare, di leggere, di frequentare biblioteche e librerie, di avere sete di conoscenza perché solo così si potrà essere davvero liberi e diventare coraggiosi, pronti a difendersi contro ogni potere forte che voglia piegarci o schiacciarci. La vera rivoluzione nasce dentro ciascuno di noi e va alimentata con la conoscenza, che dirada il buio e ci restituisce il senso pieno della nostra esistenza.

 

Epilogo

L’epilogo di questo romanzo la Galli lo dedica ai suoi figli, scrivendo una lettera nella quale si accomiata da loro, essendo in procinto di partire per un viaggio da troppo tempo rimandato.

Ora che i suoi ragazzi sono cresciuti, l’autrice può intraprendere un percorso che la riporti verso quella parte di se stessa che ha camminato nel mondo, conosciuto culture diverse, popoli lontani, raccolto storie ed emozioni. La scrittrice vuole ritornare alla Madre terra, affidarsi ad essa, assecondare quel richiamo interiore che non ha mai smesso di risuonare e che la porterà dove la natura è uno spazio immenso, dove tutto è ancora pieno di stupore e mistero. Nel salutarli, l’autrice esorta i suoi ragazzi a «vivere come avete sempre fatto, con giustizia e coerenza e per amore».

Quando lei tornerà da questo viaggio, avranno tante cose da raccontarsi e loro sapranno capirla, come hanno sempre fatto.

 

Lo stile narrativo

Lo stile epistolare offre all’autrice la possibilità di esprimere in prima persona, con forza, il proprio dissenso interiore, il sentimento di accesa delusione e di critica nei confronti degli uomini che hanno percorso la sua esistenza. Lo stile narrativo è asciutto ma venato da un senso di struggente malinconia che pervade ogni pagina, ogni considerazione. Grazie alle tre missive, ai padri, agli uomini della sua generazione ed infine ai figli, l’autrice fornisce al lettore un lucido affresco della storia d’Italia, dall’immediato Dopoguerra ai giorni nostri, attraverso spaccati di vita vissuta, mostrandone i mutamenti culturali, politici e sociali.

È un testo doloroso ed inquieto che non lascia spazio al sentimentalismo, ma con estremo realismo mette il dito nella piaga delle differenze emotive tra i due sessi, nel cinismo imperante della nostra società, mostrando la pochezza degli uomini ed il loro malessere più nascosto.

Solo l’epilogo, dedicato ai ragazzi di oggi, offre una luminosa possibilità di riscatto, che passa attraverso lo studio e la continua ricerca della conoscenza, le quali possono offrire alle nuove generazioni quelle verità che troppo spesso vengono occultate o negate.

 

Alessia Rocco

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno IV, n.38, ottobre 2010)

Collaboratori di redazione:
Elisa Guglielmi, Ilenia Marrapodi
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