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A. XVIII, n. 200, maggio 2024
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Emozioni in versi (a cura di Giovanna Russo)

Zoom immagine Due vite differenti
ma unite dalla poesia
che scava, irruente,
nel profondo dell’anima

di Alessia Rocco
Da Meligrana, un viaggio intenso tra versi ricchi di rabbia e nostalgia,
pathos e ricordi: due percorsi diversi si incontrano in un'unica strada


La poesia è un appiglio alle proprie emozioni, un modo per catturarle e renderle immortali nella purezza limpida di un verso. La strada della lentezza (Prefazione di Pasquale De Luca, Meligrana Giuseppe Editore, pp. 76, € 9,00) è la storia di un percorso, intimo e passionale, che Antonio Cotroneo e Mariaelisa Giocondo, i due autori delle liriche presenti nel libro, compiono per scavare nelle pieghe più riposte della loro anima e portare alla luce il frutto stesso di questa incessante ricerca: il componimento poetico.

 

Antonio Cotroneo

Antonio Cotroneo dà vita a una poesia che è figlia del ricordo, malinconico e accorato, del luogo natio, Tropea, verso il quale l’anima tende costantemente, attaccata alle radici del passato da un cordone ombelicale antico che nulla può spezzare, nemmeno la distanza geografica. Antonio Cotroneo utilizza spesso il dialetto calabrese per descrivere i colori della propria terra, le voci dei vecchi marinai, le piazze in festa, la vita rutilante di una città che il tempo ha trasformato in uno scenario desolante, abbandonato a se stesso, ma che rivive il proprio antico splendore nei sogni nostalgici dell’autore. Cotroneo non si rassegna al distacco e vive con un piede nel presente e uno saldamente affondato nel passato che è quello della sua gioventù. Ne è un esempio forte la poesia Radici in cui emerge con vigore il rammarico dell’allontanamento da una «terra aspra ma amata» nella quale decantano i ricordi che il tempo non riesce a consumare. E come non citare Erranti falee, in cui il poeta dice di aver spesso paragonato la propria esistenza alle nuvole, eternamente impegnate in un incessante girovagare, e come loro anche lui non può mai fermarsi laddove desidererebbe stare o magari tornare indietro; le nuvole «continuano rattristate la loro fuga» e così fa il poeta che mai potrà tornare al tempo che fu. Cotroneo fa precedere ciascuna lirica da una breve presentazione in prosa, che funge da introduzione ai versi, per meglio accompagnare il lettore alla scoperta di un universo nostalgico in cui si muovono attori d’altri tempi; vestigia di luoghi remoti che l’inesorabile susseguirsi degli anni ha avvolto in un crepuscolo impietoso: piano piano cancella ciò che è stato «come una tela consumata dal tempo».

 

Mariaelisa Giocondo
A prima vista la poesia di Mariaelisa Giocondo potrebbe apparire antitetica a quella di Antonio Cotroneo, perché diversi sono lo stile e le tematiche affrontate; ad una più attenta lettura, però, risulta manifesto il file rouge che lega i due poeti e cioè il desiderio di parlare della propria intimità, senza infingimenti, toccando le corde più sensibili del proprio essere.

La scrittrice utilizza un verso scevro da qualunque sentimentalismo, ricco di metafore, «quando le tue mani saranno un groviglio di memorie», sinestesie, «il gusto rosso», con uno stile asciutto e carico di pathos. La sua poesia è riflessiva, intima, a tratti ermetica e avvolge il lettore in un vortice di immagini e considerazioni tragicamente lucide riguardo le circostanze dell’esistenza, che travolgono inevitabilmente i sensi.

L’autrice, come scrive nella sua lirica L’ascolto, si mette appunto all’ascolto dei tempi ma non accetta le «parole immonde» che piovono sui suoi «frastornati timpani» e sa che soltanto la poesia riuscirà a lenire l’«urlo accecante» che le grida dentro. È una poesia forte e fragile quella della Giocondo, perché l’autrice analizza il mondo con lo spirito d’osservazione di una cronista e al contempo interiorizza il dolore, il cinismo delle miserie umane, le ingiustizie sociali, sublimandole in un verso cristallino, in cui le immagini si susseguono come veloci fotogrammi fino a comporre il quadro esaustivo di un attimo, di una vicenda o di una vita intera. Mariaelisa Giocondo sperimenta un verso vivace da cui emerge una poesia veloce e moderna, in cui giocano sapientemente la giovane età dell’autrice, il suo pessimismo cosmico, la speranza, la sua cultura letteraria e il desiderio di essere imperfetta in quell’ «assoluto e completo disordine in cui la mia anima instancabilmente si colora».

 

Due mondi, due stili

La Strada della lentezza è un testo nel quale ciascuno può riconoscere il proprio cammino esistenziale, recuperare i ricordi della giovinezza e legarli a un luogo delle memorie che il tempo non riesce a offuscare; è un cammino tortuoso verso le molte verità che compongono le nostre esistenze, uno sguardo lucido e disincantato sulla realtà e sulle sue meschinità, i suoi dolori, l’affranto senso di caducità che spesso ci accompagna ma non ci fa desistere dal vivere la vita così com’è, precaria e imprevedibile. Le parole del poeta maturo e della giovane poetessa si compensano, pur provenendo da esperienze umane e temporali tanto diverse. Non c’è avventatezza nella scelta di accostare questi due modi di fare poesia, bensì la consapevolezza che il racconto può assumere i contorni più vari e spaziare su diversi piani narrativi, una volta nostalgici e mesti, l’altra critici e disincantati. Il poeta maturo ricorda la propria gioventù e vorrebbe recuperare i luoghi a lui cari; la giovane poetessa scandaglia i dissidi del proprio tempo, la corruzione del mondo, i silenzi omertosi e non ha paura, quando arriva il momento giusto, di «abbandonare gli ormeggi».

 

Alessia Rocco

(www.bottegascriptamanent.it, anno IV, n. 37, settembre 2010)

 

Collaboratori di redazione:
Elisa Guglielmi, Ilenia Marrapodi
Progetto grafico a cura di: Fulvio Mazza ed Emanuela Catania. Realizzazione: FN2000 Soft per conto di DAMA IT