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Anno IV, n. 30, febbraio 2010
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Home Page (a cura di Anna Guglielmi) . Anno IV, n. 30, febbraio 2010

Zoom immagine Rincorrere sogni e ricordi
in sella ad una bicicletta

di Agata Garofalo
Da Falzea, un romanzo che è una lunga pedalata
attraverso le illusioni e disillusioni di un trentenne


Osservare il mondo da una bicicletta; affrontare le cadute, le curve e le salite che la strada riserva; relazionarsi con il gruppo pur nella necessità di farcela con la sola forza delle proprie gambe: chi ha provato queste emozioni sa che il ciclismo è in tutto e per tutto metafora della vita. E chi ha davvero imparato la lezione vive nella consapevolezza che, sia nelle gare che nella realtà quotidiana, «vincere o perdere sia solo un dettaglio insignificante» rispetto al meraviglioso fascino del cammino da percorrere.

Gli appassionati della bicicletta sapranno senz’altro apprezzare l’ultimo romanzo del giovane talento lecchese Roberto Bonfanti: L’uomo a pedali (Falzea editore, pp. 180, € 12,50). Tuttavia non è necessario essere ciclisti per lasciarsi coinvolgere dal racconto lucido e disincantato di un’esistenza che scivola via tra sogni infranti ed amare disillusioni. L’autore, che prende in prestito il titolo dell’opera da un’omonima canzone di Pino Marino, si dichiara perdutamente innamorato «della poesia del ciclismo».

 

Frammenti di sogno

Il romanzo ha inizio la sera in cui Sergio decide di rimettersi in sella ad una bicicletta dopo anni di ritiro forzato. Quella stessa notte compirà trent’anni. La narrazione procede poi per flashback: durante questa pedalata liberatoria egli ripercorre con fatica le tappe della sua esistenza tormentata e contraddittoria. I ricordi sono sbiaditi ed incerti, ciò che resta sono più che altro le sensazioni ed alcuni dettagli apparentemente insignificanti, mentre i volti, i luoghi e le circostanze si mescolano tra loro nella memoria.

Fin da piccolo Sergio è un bambino solitario, malinconico ed incostante, irrimediabilmente rapito dalla magia del ciclismo. Diventerà un giovane corridore con una speciale propensione per i sentieri irti ed irregolari di montagna, come se «in quella smania irrefrenabile di alzarsi sui pedali e andarsene via da solo, ci fosse in realtà la perfetta sintesi della sua vera essenza e del suo modo di approcciare la vita intera. Il suo destino. La sua condanna».

Attraverso continue e suggestive metafore, più o meno esplicite, con il mondo del ciclismo, scopriamo la particolare personalità di un ragazzo che ha sempre provato un’«ammirazione sconfinata» per la follia solitaria dei grandi ciclisti ed il romanticismo senza tempo dei talenti incompiuti, quelli che non sono mai riusciti a spiccare. Significativo è anche l’atteggiamento fiero e testardo con cui affronta le gare, incapace di controllare gli istinti, limitando gli sforzi all’inizio del tragitto per poi recuperare in seguito. Sergio «vinse poche corse, nella sua breve carriera. Tutte senza esultare […] quasi come se per lui la sola cosa importante fosse avere sempre davanti una nuova salita da scalare», fino al giorno in cui una brutta caduta uccide per sempre i suoi sogni di gloria.

 

Disperata rassegnazione

A questo punto per Sergio diviene davvero difficile riuscire a trovare un appiglio, uno stimolo, un solo motivo per continuare a spingere con forza e convinzione sui pedali della vita. È molto più facile lasciarsi andare alla mediocrità, accontentarsi di un lavoro come magazziniere, di amori vissuti a metà e notti di follie etiliche. Si ritrova dunque degradato dalla condizione di corridore a quella di singolo anello della catena di una bici che non porta però da nessuna parte. Del resto, «se un solo anello della catena si facesse troppe domande o provasse a girare in modo diverso, il meccanico dovrebbe immediatamente sostituirlo altrimenti l’intero meccanismo si incepperebbe all’istante». Ed allora va bene così, vivere alla giornata senza aspettative né ambizioni. «Dopotutto anche scegliere di non scegliere è comunque una scelta, no? Anche stare in coda al gruppo è pur sempre un modo per arrivare al traguardo, no?». In fondo non gli è mai importato vincere. E forse anche arrivare al traguardo comincia a perdere d’interesse ai suoi occhi. Decide quindi di lasciarsi trasportare dal vento, senza nessuna ansia per il futuro, forte e fragile al tempo stesso, autoironico quanto nichilista, solitario più che mai. «Perché una volta che la vita si addomestica e incanala in schemi sicuri, non c’è più nulla di cui avere paura. Non ci sono più rimpianti». Svuotato da ogni illusione, Sergio vive con insofferenza le occasioni di ritrovo forzate, come i capodanni ed i compleanni, le quali ai suoi occhi non sono altro che «un nuovo stupido bollino» da aggiungere «a quell’inutile raccolta punti» che è la vita.

Quando arriva anche il licenziamento, si sente come perso e spaesato di fronte a qualcosa di nuovo ed ingestibile, un po’ come il mare per un ciclista. È traumatico il passaggio dalla condizione di giovane lavoratore già “sistemato” e con un destino segnato a quella, più comune purtroppo ai giovani di oggi, di trentenne senza un futuro.

 

Lungo il percorso della narrazione

Il racconto scorre semplice e fluido, ed ogni capitolo paragona la vita di Sergio alle tappe di una gara in bici. Gara che però perde man mano d’importanza per chi la sta disputando, fino al punto di indurre il lettore a chiedersi dove lo stia portando in realtà questa fatidica pedalata sotto le stelle che fa tornare alla mente del protagonista tanti ricordi. Nell’atmosfera sospesa del romanzo avvertiamo, infatti, un’inquietudine nascosta e siamo coscienti che, alla fine della salita, la vita di Sergio giungerà ad una svolta.

La narrazione procede tra affascinanti simbolismi e riserva uno sguardo dissacrante e disilluso ai personaggi oltremodo grotteschi che popolano la media borghesia milanese.

Nonostante si possa parlare di una scrittura a tratti ancora acerba e prevedibile, l’autore riesce senz’altro a sorprendere con un finale inatteso, dimostrando che, nella vita come nel ciclismo, «puoi conoscere la teoria alla perfezione, ma vivere sarà sempre e comunque un’altra cosa. […] Gestire la gara vivendola sulla propria pelle e controllando le proprie sensazioni è tutta un’altra cosa, un po’ come spiegare la vita è completamente un’altra cosa rispetto a viverla».

 

Agata Garofalo

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno IV, n. 30, febbraio 2010)

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