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Anno III, n. 28, Dicembre 2009
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Biografie (a cura di Fulvia Scopelliti) . Anno III, n. 28, Dicembre 2009

Zoom immagine Un raro manoscritto
sopravvive a tutte le
persecuzioni subite
dal popolo ebraico

di Giorgia Martano
Da Neri Pozza editore l’ultimo viaggio
attraverso i secoli della scrittrice, già
Premio Pulitzer, Geraldine Brooks


Hanna Heath, giovane restauratrice australiana specializzata in manoscritti antichi, ha l’incarico di analizzare un eccezionale documento, un libro di preghiere ebraico scampato, in più di un’occasione, alla distruzione ed improvvisamente ed inaspettatamente “riemerso”. È la primavera del 1996 e la studiosa vola sino a Sarajevo, in piena guerra civile, per visionare e studiare il manoscritto: si tratta dell’Haggadah, un’opera di straordinaria bellezza e rarità. Pietra miliare della cultura ebraica, è la trascrizione dei riti sacri celebrati durante la commemorazione della Pasqua. L’eccezionalità dell’Haggadah di Sarajevo consiste nel suo fantastico, variegato e policromo corredo iconografico, mirabilmente miniato tra le sue pagine, inusuale ed anacronistico perché prodotto in un periodo storico in cui la religione ebraica vietava la riproduzione di qualsiasi immagine, affidando la diffusione della cultura alla sola nuda scrittura.

Ne I custodi del libro (Neri Pozza, pp. 416, € 18,00) Geraldine Brooks si cimenta ancora una volta nel genere del romanzo storico, in cui le esperienze professionali e le sue spiccate capacità narrative convogliano in perfetto equilibrio in un libro che trascina il lettore tra scoperte e rivelazioni, senza tralasciare le emozioni e le speranze di pace per l’umanità.

 

Il genio colma la realtà

Giornalista di fama e corrispondente di guerra, Geraldine Brooks approda alla narrativa dopo la trasposizione in libri di successo della sua esperienza giornalistica, soprattutto in Medio Oriente, Africa e Golfo Persico. Vincitrice del Premio “Pulitzer” nel 2005 ­­­­– con il romanzo March (L’idealista­­­­­, Neri Pozza) –, dopo il successo internazionale di Annus Mirabilis, l’autrice si cimenta nuovamente con un genere a lei caro, il romanzo storico appunto. “Ricostruisce”, partendo da dati e vicende reali, la storia del magnifico manoscritto colmando con il suo estro letterario le lacune di una vicenda in cui personaggi ed eventi si perdono nell’oblio dei secoli. Nel corso di centinaia di anni l’Haggadah ha talvolta lasciato traccia del suo passaggio, ma per lo più la sua storia ha generato interrogativi e spazi temporali bui e misteriosi in cui, e grazie ai quali probabilmente, è riuscito a sopravvivere alla distruzione. Scritto in Spagna alla metà del Trecento, il manoscritto – una delle prime testimonianze di epoca medioevale di libri illustrati in ebraico – era scampato alla terribile mannaia dell’Inquisizione grazie ad un «Revisto per mi» apposto nel 1609 a Venezia da un magistrato pontificio. Messo in vendita alla fine dell’Ottocento da una famiglia ebraica, il prezioso libro torna all’attenzione del pubblico che, comprendendone il valore, decide di attribuirgli le attenzioni che merita. Giunge così al Museo nazionale di Sarajevo da cui per ben due volte, come ci narra l’autrice, è messo in salvo a distanza di cinquant’anni circa – dallo scempio nazista prima e dalla violenza devastatrice delle bombe poi – grazie all’illuminato e preventivo intervento di due bibliotecari, entrambi musulmani , dipendenti del museo in cui era custodito. Questi i fatti. Nel mezzo la sapiente maestria di Geraldine Brooks che, con piglio analitico e documentato, ci fornisce tutta una serie di congetture composte di luoghi, eventi, personaggi che fanno da trait d’union tra realtà ed immaginazione.

 

L’indagine analitica e le “debolezze” umane

Fermagli d’argento finemente decorati ma stranamente scomparsi, ali di Parnassius – una farfalla che vive in alta quota –, macchie di vino misto a sangue, tracce salmastre, peli di gatto: ogni resto celato tra le pagine dell’Haggadah ma opportunamente scovato dall’occhio esperto di Hanna è uno spunto per indagare sull’ipotetico percorso secolare del manoscritto, che in un rapporto simbiotico e di osmosi si è, in un certo qual modo, “relazionato” con luoghi e personaggi con cui è entrato in contatto.

In un altalenante ma equilibrato viaggio attraverso i secoli e disparate zone geografiche – Vienna, Venezia, Tarragona, Siviglia, Gerusalemme – la narrazione si snocciola a partire dagli indizi analizzati scientificamente dalla restauratrice e ricostruisce l’iter temporale e contestuale che ha portato il prezioso manoscritto sino ai nostri giorni. Ad alleggerire la scientificità dell’indagine intervengono le immancabili ed imprevedibili relazioni interpersonali che travolgono i personaggi, rendendoli più umani ed empatici al lettore, e che creano un intreccio perfettamente in sintonia con la trama.

 

Nella Postfazione «tutta la verità nient’altro che la verità»

È la stessa autrice che nella Postfazione ci rivela i limiti, difficilmente individuabili nel corso della lettura, tra dati storici e documentabili, quindi reali, e parti inventate, frutto della sua creatività e della sua immaginazione. In una sorta di didascalia a corollario dei vari capitoli, Geraldine Brooks, tra tributi e ringraziamenti, offre al lettore la chiave di interpretazione ragionata di ciò che ha scritto e romanzato. Si mette a nudo mostrando l’ossatura attorno alla quale è riuscita ad imbastire la sua storia che, seppure a tratti inventata, rivela il sapore autentico di un’esperienza vissuta sul campo da chi, come l’autrice, ha sempre condotto, per precise scelte personali e professionali, una vita di frontiera a contatto diretto con quegli stessi volti e personaggi a cui magari ripensa quando scrive i suoi romanzi. Veri e contrastati come figure caravaggesche, “spiate” tra il popolo.

 

Giorgia Martano

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno III, n. 28, dicembre 2009)

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