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A. XVIII, n. 200, maggio 2024
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Saranno romanzi (a cura di Angela Potente)

Tra i frammenti del Muro
in un Concerto a Berlino
le storie dei protagonisti
si intrecciano alla Storia

di Cecilia Rutigliano
Tra Calabria e Germania, pagine di amore, abbandoni, sofferenze e fughe.
Da Città del Sole in pubblicazione il nuovo romanzo di Francesca Viscone


A vent’anni dal crollo del Muro di Berlino, Città del Sole sta per pubblicare un breve romanzo in cui le storie dei protagonisti si intrecciano con la Storia, la Storia che ha cambiato i destini dell’Europa e del mondo.

Concerto a Berlino, racconto di amore e di amicizia, di abbandoni e di fuga, di guerre e di separazioni, non è il primo lavoro dell’autrice Francesca Viscone. Calabrese d’origine, giornalista e scrittrice, si è spesso occupata di comunità e cultura calabrese nei suoi testi, come in Le porte del silenzio (La Mongolfiera, 2000), dedicato a Badolato, o Incontri (La Mongolfiera, 2002), selezione di articoli che raccontano l’inquietudine culturale che agita la vita di provincia nel meridione e, infine, La globalizzazione delle cattive idee. Mafia, musica, mass media (Rubbettino, 2005, vincitore del Premio speciale «Itaca 2007»).

Francesca Viscone torna a raccontare la sua terra anche nel suo ultimo scritto, un racconto interiore che tocca storie e vite parallele.

 

I protagonisti, due innamorati divisi da un’Europa contraddittoria.

Piera, protagonista e voce narrante, è lo specchio di quella Storia in cui la ricerca di libertà diventa ossessione. In fuga dalla sua terra così vincolata ai pregiudizi – la Calabria delle nenie che ritornano spesso nelle pagine di questo racconto – Piera è l’eterna forestiera, straniera nel senso letterale di estraniata: partita apparentemente per studiare, ma realmente per inseguire la sua necessità di non sentirsi cittadina in nessuno Stato, Piera è colei che non ha voglia di spiegare e, al contempo, non ha la necessità di essere compresa. Ma da Napoli alle capitali dell’Est europeo alla Germania – che la scrittrice descrive abilmente passando dall’una all’altra terra senza soluzione di continuità – l’ideale mentale di Piera, pur tendendo all’accettazione e alla irresponsabilità incondizionata che solo le metropoli sembrano garantire, è ossessionato dalle origini. E, nel frammentato monologo della sua anima, Piera si renderà conto che fuggire è inutile. Tanto quanto restare.

Questo sarà anche l’epilogo del suo amore per Christian, co-protagonista del romanzo. Pianista berlinese, Christian è talmente tormentato dalle sue vicende familiari da permettere loro di attaccare persino le sue ambizioni. Abbandonato dalla madre, inghiottita per sempre in qualche posto al di là del Muro; abbandonato dal padre, assorbito dalla lucida follia che lo porta a distruggere e ricostruire ossessivamente la sua casa, la storia di Christian si identifica in pieno con la storia di Berlino, intrappolata com’è tra il peso di un passato che ha smesso di gravare sul cuore e sui ricordi della gente e un futuro che è stato troncato sul nascere.

 

Il “falso” crollo dei muri

Due mondi sospesi, dunque, apparentemente antitetici, quelli che Francesca Viscone descrive sapientemente nelle sue pagine, intrecciandovi altri mondi, altre piccole storie che prendono forma attraverso i ricordi dei protagonisti. Da un lato le filastrocche di un Sud lontano dallo stereotipo della terra del sole che scalda il cuore; dall’altro le note malinconiche di un pianoforte all’ombra di un muro distrutto. Da una parte una terra traditrice, che ispira un’ansia implacabile di fuga e di ritorno; dall’altra una madre, traditrice anch’essa, che si fugge e si rincorre all’infinito.

E ancora: da un lato l’attesa di qualcosa di nuovo, di autentico, a cui rimanere ancorati senza il timore che la profondità dei sentimenti sia tale da scavare solchi incolmabili; dall’altro la consapevolezza che questo “altrove” sia irraggiungibile.

Ecco che, sebbene nel romanzo la soluzione narrativa sia conclusiva e gli ostacoli sembrino sgretolarsi – nonostante un epilogo lontano da quello che si definirebbe “lieto fine” – , la distruzione del Muro non rappresenta una festa: «Un muro di mattoni si fa presto a buttarlo giù. Ma gli altri? Quelli che non si vedono?».

È l’amara consapevolezza che l’umanità non disimparerà mai l’istinto ad erigerne.

 

Cecilia Rutigliano

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