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Comunicazione e Sociologia (a cura di Pierpaolo Buzza) . Anno III, n. 27, Novembre 2009

Zoom immagine Il Sessantotto: la cronaca
di quel periodo “bollente”,
di un’esperienza collettiva
mai dimenticata dai posteri

di Angela Galloro
Da Apoikia un racconto di lotta, sogni
e speranze di una generazione intera


Ci sono momenti nella storia in cui le cose cambiano in modo repentino e a volte violento, momenti di passaggio che segnano l’esperienza di vita di uomini, di donne e di interi paesi, e che necessitano di essere conosciuti e reinterpretati. Gaetano Luciano, autore del libro Le vie del vento e le rivoluzioni sognate. Cronache della Calabria 1968-1973 (Apoikia, pp. 118, € 10,00), soddisfa questa sete di testimonianza e offre preziose notizie su come tutta la Calabria, molto spesso ai margini delle questioni politiche nazionali, sia stata al centro della lotta studentesca del Sessantotto, e su come la città di Vibo Valentia abbia partecipato attivamente a fare dell’intera regione un centro pulsante di lotta.

Attraverso questo centinaio di pagine, realizzate – come recita il frontespizio – in collaborazione con Gilberto Floriani,  l’autore narra con tono estremamente partecipativo le esperienze della generazione che tra il ’68 e il ’73 aveva vent’anni e poco più. Si trattava in effetti di liceali cresciuti in paesi di appena qualche migliaio di anime o nel futuro capoluogo di provincia, ai tempi di poco più grande. Eppure, il vento nuovo che soffiava dalla Francia e dalle grandi città d’Italia era pronto a investire questi giovani di entusiasmo, aspettative e attivismo.

 

Eventi, principi, idee

La radicalizzazione della lotta locale era causata non solamente dagli scarsi risultati del Pci nelle elezioni del 1968, ma anche e soprattutto dalla scolarizzazione di massa e al conseguente aumento del livello culturale dell’intera regione. Obiettivo perseguito successivamente anche nell’ambito del movimento, che creava luoghi di aggregazione, socializzazione e scambio di idee. Le idee poi, vero fulcro della protesta, viaggiavano da Cosenza a Reggio Calabria, da Vibo Valentia a Lamezia Terme, a Crotone, a Paola attraverso giornali, fogli, riviste, stampati con le poche lire messe a disposizione dagli organizzatori, per arrivare infine nella capitale, dove molti giovani calabresi si incontravano nei grandi centri di lotta per portare alle città del Sud il contributo nazionale e collegare così le iniziative locali a situazioni più ampie. Questi giovani, che investivano gran parte delle loro energie in assemblee, lavori di redazione, organizzazione pratica di manifestazioni e scioperi, si proponevano di fare la rivoluzione in un posto che di cambiamenti ne aveva visti pochi, forse perché le istituzioni amministrative li avevano sempre temuti. Ma come spesso accade, proprio nel momento in cui le loro voci usciva dai limiti delle chiacchierate in trattoria, dei vicoli bui della città di Vibo, o delle cantine, e giungevano invece a provocare manifestazioni contro la guerra in Vietnam, scioperi degli operai nei cementifici, ecco che venivano zittite dalla componente fascista dell’amministrazione, che molto spesso operava attraverso le forze dell’ordine in quella che su scala nazionale veniva chiamata “strategia della tensione”.

Di questo stato di cose pagano le conseguenze i cosiddetti “maoisti”, accusati di aver piazzato una bomba alla base del monumento di Luigi Razza, ministro fascista, a Vibo Valentia il 29 aprile del 1969. Tali accuse provocarono, dopo numerosi interrogatori, l’arresto di due esponenti del Circolo Salvemini della città, Paolo Ceriani Sebregondi e Osvaldo Fracelli. Questo privò il movimento degli elementi più attivi ma anche notevolmente più estremisti e più legati agli ambienti dei futuri nuclei terroristici, fra cui il suddetto Sebregondi, che da Roma si era trasferito a Sant’Onofrio proprio per continuare la lotta nella provincia di Vibo. Qui, in particolare, la linea violenta e del terrore non attecchì mai davvero, in favore di una rivoluzione pacifica e culturale.

Infatti, era attraverso i periodici come Quaderni calabresi e Fronte Unito, che i rivoluzionari esprimevano le più varie vertenze, sensibilizzando l’opinione pubblica e le masse di lavoratori: l’università, una scuola più democratica e più “raggiungibile”, la fine delle gabbie salariali, progetti riformistici per il territorio, senza risparmio di forze da parte degli attivisti in manifestazioni che spesso sfociavano nella violenza reciproca tra questi e i giovani militanti del Msi.

Il tragico epilogo delle vicende rivoluzionarie del Sud, qui episodio finale del libro, è l’assassinio di Adelchi Argada, militante del Fronte popolare comunista rivoluzionario (Fpcr) di Lamezia Terme, da parte di due studenti di estrema destra.

La strategia della tensione, dunque, sortirà degli effetti nel futuro del movimento, provocando spaccature ideologiche e di azione fra un fronte armato ed estremista, ed un fronte moderato e legale. Resta nella storia del paese l’entusiasmo di questi giovani che, se al giorno d’oggi viene spesso relegato a semplice sogno o utopia, a volte perfino da chi vi ha partecipato in modo attivo, di rado ci viene descritto nei suoi aspetti più costruttivi: pensiero consapevole, idea creativa e di alto impatto culturale, praticità di iniziative e molto spesso una buona dose di rischio e sacrificio al fine di realizzare veramente il sogno comune di una società migliore, più giusta, più giovane e soprattutto libera da antichi pregiudizi.

 

Un bilancio definitivo?

Al di là di ogni futile dibattito sull’utilità di questi anni ricchi di storia, Luciano ci racconta di personalità vivaci, di slogan urlati, di conflitti generazionali ormai inevitabili, di una componente femminile che per la prima volta si trovava ad essere parte attiva di un movimento politico, ideologico e culturale, di giovani vite aggrappate al fragile equilibrio della rivoluzione.

Personaggi di alto livello intellettuale come Marcello Cini e Federico Caffè, nomi come Nicola Zitara, Antonio Potenza, lo stesso autore Gaetano (Ninì) Luciano, ora tutti affermati professionisti, tragici eventi di portata nazionale come la strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969, la loro eco sui fatti locali che provoca scintille e focolai di rivolta, una serie di foto in bianco e nero di gruppetti e folle di manifestanti, scorrono davanti agli occhi del lettore, portando quest’ultimo, i compagni di ieri e quelli di oggi, a riflettere su quanto fosse lecito desiderare l’impossibile in quella tanto agognata immaginazione al potere.

 

Angela Galloro

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno III, n. 27, novembre 2009)

Collaboratori di redazione:
Elisa Guglielmi, Ilenia Marrapodi
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