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Anno III, n. 27, Novembre 2009
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Home Page (a cura di Anna Guglielmi) . Anno III, n. 27, Novembre 2009

Zoom immagine La «anti-guida
gastronomica»
per eccellenza

di Anna Guglielmi
Liberamente editore propone
un viaggio bizzarro e ironico
nel mondo della ristorazione


Tra le tante guide al buon mangiare e bere – più o meno prestigiose e attendibili, che ogni anno ammiccano dagli scaffali delle librerie – ecco servita la prima «anti-guida gastronomica».

Se consideriamo i classici vademecum come libri che “vendono” ristoranti o prodotti enogastronomici, fingendosi dalla  parte del cliente (e qui si aprirebbe un lungo dibattito sui metodi di selezione e valutazione delle segnalazioni), possiamo senza dubbio affermare che questa “guida” scruta il mondo della ristorazione dal punto di vista del cliente, mettendosi effettivamente dalla sua parte, talvolta ironizzando su gestori e camerieri.

Ristorantopoli (Liberamente editore, pp. 206, € 14,00), è questo il nome che – dopo innumerevoli proposte – si è scelto a sintesi del prontuario. L’autore è Mario Zucconi, giornalista gastronomico per passione, e questo è il suo libro di esordio. Si tratta di una proposta per alcuni versi bizzarra, che lo stesso autore definisce «uno pseudo-manuale per clienti nevrotici di ristorante».

Al contrario di quanto possano far supporre titolo, sottotitolo e quarta di copertina, il libro non riporta alcuna indicazione di ristoranti da evitare e degli eventuali motivi per cui è conveniente farlo, ma parla dell’individuo-cliente (in particolare, il soggetto nevrotico) alle prese con il mondo della ristorazione, di qualsiasi genere e livello. Lo stesso titolo, infatti, richiama alla mente la varietà di ristoranti esistenti e, di conseguenza, le innumerevoli situazioni che – generate dalla multiforme combinazione “cliente-addetto alla ristorazione” – possono venire a crearsi.

 

Resettare le papille gustative

Il libro si apre con la definizione dei «requisiti minimi» necessari per ciascun individuo che, in generale, si trova a consumare dei pasti fuori casa. Ed è proprio dalla casa che Zucconi parte anzi, ancora meglio, da quel potente legame con la cucina materna (o, in modo generale, casalinga).

Il primo suggerimento che l’autore dà consiste nel «recidere il cordone ombelicale». Una regola universale – aggiungiamo noi – che pare sia giusto applicare a qualsiasi ambito della propria vita, nel momento in cui si diventa adulti o, più esattamente, per poter diventare adulti. Allora perché non applicarlo anche all’arte culinaria? Ecco fatto. Zucconi suggerisce, infatti, di staccarsi dalla cucina materna in qualunque caso, che sia pessima o effettivamente buona. E ne spiega, in modo colorito, i motivi: se si è abituati ad una cucina pessima si diventa «un cliente dal palato malleabile e di esili aspettative, un cliente che si troverà bene praticamente ovunque […], avendo una scala di apprezzamento sballata»; viceversa, se si è abituati a una buona cucina casalinga si diventa «un cliente dalle formidabili aspettative», «schizzinoso e pieno di sospetti», che inevitabilmente verrà deluso da qualsiasi altra cucina, anche solo per il fatto che in essa mancheranno inevitabilmente le attenzioni e le premure della “cara mamma”.

Considerati questi motivi, per poter mangiare fuori casa in modo piacevole è necessario «separarsi volontariamente dalle cure gastronomiche materne».

 

I “grazie” e gli “scusi”

Zucconi passa poi a delineare i numerosi diritti e i pochi doveri della clientela. Premesso che «non esiste una regola fissa per ottenere il massimo dal rapporto con chi ci sta servendo il pasto», l’autore prospetta due tipologie antitetiche di cliente: quello morbosamente ossequioso che dice continuamente “grazie” e “scusi”, e quello che eccede con la propria autostima.

Da un’analisi curiosa dei due atteggiamenti – prendendo spunto dalle situazioni tipo che possono verificarsi nel rapporto con il cameriere – si trae la conclusione che il miglior modo di comportarsi è (come sapientemente insegnavano gli antichi, segnaliamo noi) la via di mezzo: trovare un equilibrio «tra questi due sciagurati estremi»; quindi non essere troppo gentili ma, al tempo stesso, evitare di «comportarsi da stronzi».

 

Un po’ di allenamento

È proprio per “aiutare” il potenziale cliente a trovare il giusto equilibrio che l’autore propone il secondo capitolo, Training. Qui, più che in altri passaggi del libro, è possibile ritrovare alcune immagini di cui siamo stati spettatori o che, malauguratamente, abbiamo vissuto da protagonisti. Con un atteggiamento misto tra divertimento e velato timore, riconosciamo infatti alcuni comportamenti, tipi e situazioni, provando a capire come gestirli e venirne fuori indenni.

Zucconi parte dalla Formazione della personalità, soffermandosi sulla costruzione della autostima. Passa poi a dare indicazioni sul giusto tono di voce da adottare, il modo di prenotare un tavolo e le migliori tecniche di ingresso nel ristorante; fino a giungere al diritto di ribellarsi e in che modo attuarlo, con un corredo di singolari esercizi. Va da sé (considerata la linea generale del libro) che tutti i passi della sezione sono opportunamente arricchiti da immagini ironiche e bizzarre.

Lo stesso stile prosegue per il curioso capitolo Uso dell’alcol, che contiene indicazioni sul bere, nonché sull’esame e la degustazione del vino: tutto mescolato con la giusta ironia e leggerezza.

L’autore chiude prudentemente la fase di esercitazione, fornendo indicazioni su come analizzare il personale al fine (elementare) di «non farsi sputare nel piatto». A riguardo, traccia una mappa dettagliata, individuando e descrivendo i vari tipi di cameriere: l’inconsapevole, l’improvvisato, il cameriere per vocazione, quello del ristorante a conduzione famigliare, il cameriere storico (con «i capelli tinti, la faccia gibbosa e le orecchie foderate di pelo anziano») e, per finire, il napoletano (non per la sua provenienza geografica, ma per la «sua simpatia artificiosa e forzata»).

 

Ritorno a casa (o forse no)

Si accede così alla seconda parte del libro, quella riservata alla Fenomenologia. Qui Zucconi esamina le varie occasioni ed eventuali compagnie che ci spingono a consumare i pasti fuori casa, passando poi in rassegna i vari generi di ristorante (o presunti tali).

Si va, quindi, dalla cena sessuale al pranzo collettivo, per poi spostarsi al pranzo fatto da soli e alla «cena masochistica» (quella della coppia che non parla). Dopodiché l’autore passa ad esaminare e, il più delle volte, a “bocciare” (mettendosi soprattutto, e ancora, dalla parte del cliente nevrotico) le possibili soluzioni di ristoro: dall’apericena (col suo sovraffollamento di batteri), al «ristorante santuario» – uno di quei luoghi, non necessariamente troppo costosi, dove «il cliente è invitato a lasciare il proprio cappotto per indossare un essere umano più degno» –, a seguire precipitiamo nel ristorante cinese, nel fast food (che se fosse un ristorante sarebbe «un ristorante etnico americano») oppure nel ristorante sempre vuoto (che si commenta da sé) e, fortunatamente, risaliamo per affacciarci curiosi sul ristorante vip.

La panoramica si conclude con un breve ritorno all’“arte culinaria” materna che, nonostante tutto, rimane immobile e costantemente presente, come una «specie di stella polare di ogni esperienza gastronomica». La cucina della mamma, con tutte le sue attenzioni e l’assoluta personalizzazione, è il riferimento supremo per l’immaginazione del nostro ristorante ideale: una realtà irrealizzabile, che rimarrà per sempre lì «come un desiderio inconfessabile e un impietoso termine di paragone».

Con un (probabile) sorriso sulle labbra giungiamo al termine della lettura e ci pare quasi che Mauro Zucconi sia divenuto un nostro caro amico interessato a darci suggerimenti utili per poter vivere al meglio qualsiasi esperienza enogastronomica.

Ma se provassimo a seguirne i consigli, cosa accadrebbe? Siete disposti a scoprirlo?

 

Anna Guglielmi

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno III, n. 27, novembre 2009)

 

Redazione:
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