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Anno III, n. 23, Luglio 2009
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Home Page (a cura di Anna Guglielmi) . Anno III, n. 23, Luglio 2009

Zoom immagine L’epilogo del fascismo
e la sua inconsapevolezza

di Andrea Vulpitta
Ibiskos editrice offre un testo ricco di documenti
ricostruendo la drammatica caduta del regime


Come afferma l’autore nella Premessa, la data del 25 luglio 1943 rappresenta una sorta di anteprima dell’8 settembre quando fu firmato l’armistizio. È la notte del più lungo Gran consiglio del fascismo che precede la fine del regime, l’arresto di Mussolini e la nascita del governo Badoglio. L’autore Mario Ragionieri è un appassionato storico e i suoi saggi sono per lo più incentrati sugli anni tra le due guerre mondiali nelle quali partecipò l’Italia. Nel testo che abbiamo letto, 25 luglio 1943 il suicidio inconsapevole di un regime (Ibiskos editrice Risolo, pp. 424, € 20,00), viene attentamente ricostruita la fase che precede quel fatidico giorno e approfondito – comparando anche le varie fonti a disposizione – tale periodo, spiegando come si arrivi all’epilogo dell’esperienza fascista in Italia.

 

La guerra che sfianca il regime

L’autore – raccogliendo documenti degli organi di polizia e pubblicando i discorsi di Mussolini in piena guerra – spiega come il grande seguito del dittatore e il consenso di cui godeva si andavano affievolendo a causa delle sempre peggiori condizioni di vita degli italiani convinti, fino a poco tempo prima, che l’intervento in guerra, per quanto discutibile, sarebbe stato di breve durata e avrebbe consentito all’Italia di uscirne vittoriosa accanto alla Germania.

Ma la crisi iniziava a farsi sentire e anche la fuga dalle grandi città come Torino, Genova e Milano, fiaccate dai bombardamenti, alimentava il malcontento, specie tra le fila dei simpatizzanti del Pci (in quel periodo ancora un partito clandestino), e offriva il destro all’organizzazione dei primi scioperi spinti pure, soprattutto alla Fiat, dalla mancata corresponsione del salario. Certo i sostenitori del Pci vedevano in questi scioperi un atteggiamento antifascista e l’inizio di un nuovo percorso politico, tuttavia – anche se queste considerazioni fossero state false e le manifestazioni unicamente spontanee – il malcontento popolare era oggettivamente presente.

Ragionieri racconta del ruolo svolto dalla chiesa nel non volersi schierare apertamente contro il regime e dello sforzo di mantenere una sua neutralità, essendo la Città del Vaticano pur sempre il luogo fisico dove si registrava la presenza di tutti gli ambasciatori, anche di quelli in guerra tra loro. La chiesa sperava, quindi, che si arrivasse ad una pace negoziata e non ad una resa incondizionata; così da poter anche assumere un importante ruolo di mediatore.

La caduta del regime portò nuova linfa ai partiti di opposizione al fascismo, i quali – stremati da anni di repressione – dopo il 25 luglio del 1943 si ritrovarono attorno ad alcune fondamentali figure. Il partito che più di altri era riuscito a mantenere una certa forza e organizzazione capillare era il Pci, mentre il resto andava ricostruito e riorganizzato.

 

La malattia di Mussolini e i vari fattori di crisi

Non si era solo in presenza degli effetti negativi della guerra, ma era lo stesso partito fascista che mostrava limiti di tenuta, con un deleterio eccesso di condizionamento e di politicizzazione della burocrazia; e certo non poteva giovare alla causa la nomina di Carlo Scorza a segretario del partito, uno squadrista “duro e puro” tra i più fedeli di Mussolini.

In questo quadro di difficoltà bisogna ricordare anche la salute compromessa del Duce, colpito da una fastidiosa e forte gastrite e duodenite, che logoravano un fisico già debilitato dallo stress e dalle continue cattive notizie che giungevano dai vari fronti di guerra. La malattia, afferma l’autore, impedì a Mussolini di svolgere pienamente il suo ruolo dovendo di conseguenza demandare a due uomini di fiducia, Guido Buffarini Guidi, sottosegretario all’Interno e Nicola De Cesare, suo segretario particolare, il compito di tenere le redini del regime. Il tutto rappresentò un’ulteriore iniezione di sfiducia per una popolazione che vedeva come il paese fosse governato a “mezzo servizio”.

In questo contesto assume importanza il repentino cambio di condizione militare dell’Italia “protetta” fino al novembre ’42 dall’ombrello della potente Germania, il quale si dissolse con lo sbarco in Africa settentrionale degli angloamericani.

 

Verso la fine del regime

Iniziò quindi un periodo di logoramento di personaggi e posizioni politiche volte, a seconda della collocazione di pensiero, o a tirarsi fuori dal conflitto con meno danni possibili o a continuare ancora nella battaglia e nello scacchiere delle alleanze accanto alla Germania.

Arriviamo così alla lunga notte del 25 luglio 1943 quando, in una Roma ignara di quanto stesse accadendo a Palazzo Venezia, si tirano le somme della situazione con la presentazione, in un Gran consiglio da resa dei conti, di vari ordini del giorno: Grandi, Farinacci, Scorza. Segue la convocazione di Mussolini da parte del re a Villa Savoia, dalla quale il Duce uscirà prigioniero con destinazione l’isola di Ventotene nell’arcipelago delle Pontine (ma poi fu inviato a Ponza); era la fine della dittatura fascista in Italia e, come sottolinea l’autore nelle Conclusioni, un vero e proprio colpo di stato perpetrato dal re.

Rimane il dubbio di quanto fascista fosse un’Italia passata ad una posizione di ambiguità antifascista. Probabilmente si era in presenza di un tratto comune della gente italica, opportunista e sempre pronta a saltare sul carro del vincitore o a scendere da quello dello sconfitto.

 

Andrea Vulpitta

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno III, n. 23, luglio 2009)

 

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