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Scienza politica (a cura di Mariangela Monaco) . Anno III, n. 22, Giugno 2009

Zoom immagine L’evoluzione della politica ambientale europea
di Mariangela Monaco
Un volume pubblicato da il Mulino analizza il percorso che ha portato
all’affermazione di questa importante area di policy, dal 1957 al 1998


La politica ambientale rappresenta oggi una delle maggiori aree d'azione dell'Unione Europea, e alcuni programmi all'interno di essa (in particolare quello sul cambiamento climatico) hanno assoluta priorità. L'argomento è assai attuale, basti pensare al recente scontro tra l'Italia e appunto l'Ue sul piano di riduzione dei gas serra, che rientra nel programma succitato, che si è consumato tra la fine del 2008 e l'inizio del 2009, con una parziale vittoria - se così può essere definita - per il governo italiano, affiancato dalla Polonia e, dietro le quinte, dalla Germania. L'Italia, infatti, ha ottenuto una proroga, per sé ed estesa agli altri due stati, in riferimento ad una scadenza intermedia (del 2012) nel percorso per la riduzione delle emissioni del 20%, con un contemporaneo aumento della quota di energia rinnovabile e di risparmio energetico, entro il 2020.  L'opposizione italo-polacca (e tedesca) si spiega con la pressione delle lobbies automobilistiche, essendo in questi paesi la loro industria un elemento centrale per l'economia nazionale.

Non solo. L’Ue è anche il riconosciuto leader nell’arena politica internazionale per quel che concerne appunto la issue ambientale. Se pensiamo che nell’originario Trattato di Roma del 1957 non si faceva minimamente cenno ad una politica comunitaria in materia, e che solamente nell’Atto Unico del 1986 e poi nel Trattato di Maastricht del 1991 tale ambito ha trovato una legittimazione ufficiale, intuiamo subito che questa politica ha avuto, all’interno del processo di integrazione europea, un percorso di evoluzione abbastanza singolare.

Il volume che qui presentiamo si occupa proprio di studiare questo percorso. Si tratta di un saggio approfondito, che si basa anche sulla consultazione di un rilevante numero di documenti, scritto da Laura Scichilone, dottore di ricerca in Storia del federalismo e dell’unità europea presso la Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Siena, dal titolo L’Europa e la sfida ecologica. Storia della politica ambientale europea (1969-1998), edito da il Mulino (pp. 248, € 22,00). Lo studio, come si evince dal titolo, analizza il periodo che va dalla fine degli anni Sessanta al 1998, anno di avvio del Processo di Cardiff.

 

Misure “incidentali” e logica “correttiva”

Come già accennato, dal Trattato di Roma del 1957 non erano attribuite alla Comunità Europea competenze in materia ambientale: il focus era tutto sulla creazione del Mercato unico. Eppure, nonostante quest’assenza di una specifica competenza, già negli anni Sessanta la Cee cominciò a muoversi in questo campo.

In effetti, come nota l’autrice, in quel periodo la tematica ambientale, per una serie di motivi (critica del modello di sviluppo occidentale, esplosione demografica e sue ripercussioni sulle risorse naturali, incuria in riferimento ai danni prodotti dall’inquinamento), aumentò di importanza, una crescita che culminò nel 1972 con la Conferenza delle Nazioni Unite sull’Ambiente, svoltasi a Stoccolma, dalla quale prese avvio il relativo Programma Onu, e in cui si proclamarono importanti principi, come quello della protezione e preservazione delle risorse naturali, che sono oggi alla base di tale politica a livello internazionale.

Non fu un caso che, in quella sede, la Comunità partecipò attivamente, tramite la Commissione e il Consiglio. Infatti già nel 1967 la Comunità aveva emanato la sua prima direttiva in materia (67/548/Cee, che riguardava la classificazione, l’imballaggio e l’etichettatura delle sostanze pericolose), e si era avviato al suo interno un intenso dibattito, che coinvolse Commissione e Parlamento, proprio sulla necessità di prendere delle misure inerenti alla legislazione a promozione dell’ambiente; dibattito riportato puntualmente dalla Scichilone.

Le misure prese in questo periodo sono definite dalla letteratura “incidentali”, in quanto, appunto, adottate senza la presenza di una specifica competenza comunitaria e attraverso un’ampia interpretazione della nota “teoria dei poteri impliciti” (che si basava sugli artt. 100 e 235 del Trattato di Roma).

Il 1972 fu un anno fondamentale non solo per la Conferenza di Stoccolma, ma anche perché si tenne, ad ottobre, il Vertice di Parigi che rappresentò in via ufficiale il punto di partenza, sebbene più in termini di dichiarazione di intenti che di efficacia degli interventi, della costruzione di una politica ambientale a livello europeo. Fu così che venne stabilita la regolarità degli incontri tra i ministri dell’Ambiente degli stati membri, la creazione di uno specifico Gruppo “Ambiente”, formato dalla delegazione nazionale e da un rappresentante della Commissione, e soprattutto si arrivò all’elaborazione del primo Programma di azione ambientale (Paa), adottato nel 1973.

Il programma comprendeva una serie ampia di obiettivi, di carattere generale, tra i quali la prevenzione, la riduzione e l’eliminazione dei danni derivanti dall’inquinamento e la buona gestione delle risorse naturali, il cui raggiungimento era subordinato al rispetto di undici principi, tra i quali erano di particolare importanza il principio di prevenzione e il principio sintetizzabile con la formula: “chi inquina, paga”. Essi troveranno reale applicazione solamente negli anni futuri, ma in questo programma si possono riscontrare i germi delle caratteristiche della politica ambientale attuale. Tale documento, come nota giustamente la Scichilone, aveva una serie di limiti, e il maggiore era certamente quello di basarsi su una logica “correttiva” o “curativa”: l’inquinamento era visto cioè come una patologia del sistema industriale capitalistico e il suo rimedio passava quindi per una cura ex post. Altro limite era costituito dall’assoluta inadeguatezza degli strumenti forniti alla Comunità Europea per agire.

Un primo passo verso l’affermazione della logica “preventiva” – che è un caposaldo di tutta l’attuale politica – fu data dai numerosi incidenti che si verificarono in Europa e nel mondo (come quello nucleare nella centrale statunitense di Three Mile Island), che posero la necessità di evitare che tali avvenimenti si potessero ripetere. Ma l’elemento decisivo che spinse la Cee ad abbandonare l’approccio “correttivo” a favore di quello “preventivo” (passaggio che incominciò nel secondo Paa e si realizzò compiutamente nel terzo) fu l’incidente alla fabbrica “Icmesa” di Seveso del 1976. Oltre alla gravità in sé dell’incidente, evidenzia l’autrice, furono due le circostanze che contribuirono a renderlo un evento straordinario: l’enorme pressione esercitata dall’opinione pubblica, mobilitatasi in particolare per conoscerne le reali cause, e il ruolo determinante giocato dai mass media.

Tutto ciò spiega l’enfasi posta nel secondo Paa sul principio di prevenzione, e l’attenzione puntata sulla necessità di una Valutazione di impatto ambientale (Via); si trattò però solo di una mera dichiarazione di intenti, e in particolare proprio la Via non fu posta in essere.

 

Approccio “preventivo”, istituzionalizzazione e Processo di Cardiff

Per avere il definitivo affermarsi della logica “preventiva” dobbiamo attendere gli anni Ottanta, con la direttiva “Seveso” (cioè la 82/501/Cee sui rischi di incidenti rilevanti connessi con determinate attività industriali), così conosciuta perché adottata sull’onda dello shock per l’omonimo incidente, che introdusse una serie importante di definizioni (in particolare quelle di “rischio ambientale” e “incidente rilevante”), e l’adozione del terzo Paa nel 1982. Il quale fu importante anche per un altro aspetto: venne introdotto il paradigma della integrazione settoriale; tutte le altre politiche comunitarie, soprattutto quella agricola, quella regionale e quella sociale, dovevano tener conto dei principi e degli obiettivi della politica ambientale.

Il 1986 fu poi l’anno dell’istituzionalizzazione, nell’Atto Unico, con l’introduzione del Titolo VII (artt. 130R-130T). Per prima cosa vennero stabiliti gli obiettivi della “nuova” politica: salvaguardia, protezione e miglioramento della qualità dell’ambiente; tutela della salute umana; utilizzazione razionale e accorta delle risorse naturali. L’art. 130R si occupava dei principi sui quali si doveva fondare l’azione comunitaria: prevenzione (che fu poi dotato di un effettivo strumento con l’adozione della direttiva sulla Via); correzione alla fonte, strettamente legato al precedente; “chi inquina, paga”. Nella procedura decisionale fu anche coinvolto il Parlamento europeo attraverso il meccanismo della cooperazione, ma sul tutto pesava la regola dell’unanimità, che imponeva l’accordo di tutti gli stati membri in sede di Consiglio.

L’anno successivo venne pubblicato il famoso Rapporto “Brundtland”, elaborato dalla Commissione Onu per l’Ambiente, che, in riguardo alle modalità con cui affrontare la problematica ambientale, una tesi assolutamente innovativa che si basava sul principio dello sviluppo sostenibile, il quale adesso è un altro caposaldo in materia. Sempre nel 1987 la Comunità Europea adottò il quarto Paa, che non presentava cenni al rapporto citato, ma si concentrava sul rafforzamento degli scopi e degli strumenti del precedente Paa, esigenza resa ancora più forte da un ennesimo shock costituito dall’incidente alla centrale ucraina di Chernobyl.

L’introduzione, prorompente, del principio dello sviluppo sostenibile avvenne nel Trattato di Maastricht, che istituì l’Unione Europea. Furono diverse le innovazioni in esso presenti apportate alla politica ambientale, che subì una vera e propria ridefinizione strategica, puntualmente illustrata dalla Scichilone, con la quale la protezione dell’ambiente divenne una parte essenziale delle politiche europee. Molto importate fu l’introduzione della procedura di codecisione – passo importante visto le noti posizioni “verdi” del Parlamento europeo – che però fu notevolmente limitate dal fatto che alcuni ambiti fondamentali rimasero sottoposti a quella dell’unanimità. Quindi, nota la Scichilone, è stata «perpetuata l’incongruenza fra la descrizione degli obiettivi comunitari e la definizione dei meccanismi decisionali previsti per il loro adempimento».

Il 1993 fu l’anno dell’adozione del Paa, che era figlio sia di Maastricht sia della Conferenza Onu sull’Ambiente e lo Sviluppo tenutasi a Rio de Janeiro nel 1992, che ci concluse con l’adozione della relativa dichiarazione – basata su ventisette principi che ruotavano attorno a quello dello sviluppo sostenibile – e del programma d’azione “Agenda 21”.

Questo programma consentì all’Unione Europea, evidenzia l’autrice, di superare in maniera definitiva molti del limiti dei precedenti, di rafforzare alcune caratteristiche della sua azione e di proiettarsi verso una nuova dimensione della sua politica ecologica. Molto articolato, diviso in tre parti, si distinse inoltre per l’introduzione di due nuovi principi: quello di sussidiarietà, che discendeva direttamente da Maastricht, e quello di “condivisione delle responsabilità”, che implicava un’azione collettiva riguardante tutti i livelli di governance (comunitario, nazionale, regionale, locale). Inoltre, venne richiamata l’attenzione sulla necessità di un’integrazione settoriale, adesso sensibilmente rafforzata dal collante rappresentato dallo sviluppo sostenibile, la quale fu affermata nel Trattato di Amsterdam del 1997.

Infatti, tale trattato inserì l’integrazione settoriale all’interno dell’art. 2 sui principi fondamentali della Comunità, e ciò conferiva ad esso un’importanza strategica e generale, che non riguardava solo la politica ambientale ma tutti i settori di intervento comunitari e l’azione dell’Unione Europea nel suo complesso.

Così, nel 1998 la Commissione europea presentò la Comunicazione sull’integrazione orizzontale, che indicava le linee direttrici in materia, e sostanzialmente ha dato avvio ad un’azione specifica, terzo caposaldo della politica ambientale europea, nota come Processo di Cardiff, in quanto approvata dal Consiglio europeo svoltosi nella capitale del Galles il 15-16 giugno 1998.

 

Luigi Grisolia

(www.bottegascriptamanent.it, anno III, n. 22, giugno 2009)

Collaboratori di redazione:
Elisa Guglielmi, Ilenia Marrapodi
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