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Anno III, n. 22, Giugno 2009
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Filosofia e religioni (a cura di Angela Potente) . Anno III, n. 22, Giugno 2009

Zoom immagine Viaggio nelle regioni
dello spirito sulle ali
della fede cristiana

di Eliana Grande
Una riflessione sulla natura dell’amore
proposta da Editoriale progetto 2000


Ignazio Schinella, presbitero della diocesi di Mileto-Nicotera-Tropea, già noto autore di numerosi saggi di natura teologica, filosofica e spirituale, ha recentemente dato alle stampe il suo ultimo lavoro, Eros e agape nell’enciclica di Benedetto XVI “Deus caritas est” (Editoriale progetto 2000, pp. 216, € 12,00).

Molteplici le finalità di questo testo, prima fra tutte la necessità di esprimere riconoscenza nei confronti dell’attuale pontefice che, attraverso la sua prima enciclica, «ha richiamato alla sorgente che mormora dentro il cuore della Chiesa: “la fede è amore”».

Una seconda finalità può essere rintracciata nell’intenzione di offrire alcune possibili chiavi di lettura del testo diffuso da Benedetto XVI, così da stimolare e vivificare ancora di più la riflessione su una tematica largamente sentita, non solo dai fedeli, ma anche da tutti coloro che si interrogano sul senso e la natura dell’amore.

E forse proprio in questa volontà di soddisfare e condividere uno dei bisogni più profondamente umani, quello di indagare, cercare, scoprire l’amore, è racchiuso il senso ultimo di questo interessante libro.

 

Cerchiamo l’amore...

Potrebbe sembrare paradossale: è difficile pensare a qualcosa intorno cui, nella storia dell’umanità, si sia scritto, parlato, pensato, più che sull’amore.

Artisti e poeti di ogni tempo hanno speso il loro genio per descrivere in mille linguaggi ciò che, in ultima analisi, resta indescrivibile.

Filosofi e scienziati di ogni scuola di pensiero hanno messo il proprio intelletto al servizio di qualcosa che trascende ogni logica, ogni sistema, ogni dimostrazione razionale, restando così irraggiungibile alla sola facoltà della ragione.

Mistici di ogni religione hanno sperimentato la forma d’amore più alta e sublime che ad un essere umano sia concessa: quella dell’incontro col divino. Hanno cercato di trasmetterla all’umanità. Ma nessuno, in fondo, c’è mai riuscito: non si può comunicare l’incomunicabile, non esistono parole, in quanto espressioni e strumenti della ragione umana, che possano descrivere un’esperienza che supera il razionale, e non perché frutto di follia, di allucinazione o mero momento onirico, né tantomeno perché in contrapposizione alla logica, quanto piuttosto perché superiore ad essa, oltre i suoi limiti.

Eppure, sebbene non ci sia stato essere umano che sia riuscito, da solo, a raggiungere il “tesoro” e ad impossessarsene, se allarghiamo un po’ la prospettiva cogliendo il contributo di ciascuno, e provando a considerare in maniera “corale” non solo individuale, questa costante ricerca dell’umanità, scopriremo che nessuno sforzo è stato inutile, nessuna testimonianza è andata perduta.

Ci accorgeremo che la “via della mente”, indicataci da filosofi e scienziati, saprà condurci solo fino a un certo punto. Poi, bruscamente, si interromperà.

E nemmeno la “via del sentimento”, tracciata dalla sensibilità dei poeti e degli artisti, sarà in grado di condurci a destinazione. Ragione e sentimento (come sapeva bene Jane Austin) non sono che due espressioni, due possibilità dell’animo umano, non ce n’è una migliore o più importante dell’altra. Ma nessuna delle due, e neanche entrambe messe insieme, possono spiegare il mistero di ciò che ogni essere umano è, perché l’essenza di ogni persona racchiude in sé un altro elemento imprescindibile: lo spirito.

La dimensione spirituale trascende quella fisica, quella emozionale e anche quella mentale. Pertanto, non si raggiunge con complicati ragionamenti e neppure nel tumulto delle passioni e dei sentimenti, ma solo grazie alla fede: chi ha fede crede, in Dio e nell’amore. E crede che Dio è amore: Deus caritas est.

«L’uomo occidentale, sviluppatosi enormemente come realtà razionalista ha distaccato enormemente la fede dal suo cuore e dal suo mondo interiore per porla come una cosa fra le cose, fino ad alienarsi totalmente e non sentirsi identificato dalla fede. Credere non è pensare, vivere e ridurre la fede a un oggetto fra gli oggetti ma un evento storico interpersonale, un’esperienza intersoggettiva, un’esperienza di amore». Con queste parole Schinella va a toccare non solo una delle tematiche più delicate e controverse dell’attuale dibattito sul rapporto tra fede e ragione, ma anche uno degli aspetti forse più problematici della nostra contemporaneità, ovvero quello della relazione con l’altro e con se stessi.

 

...e siamo cercati dall’amore

L’alienazione di cui parla Schinella non è che la conseguenza dello stato di separazione in cui gli uomini vivono oggi. Troppo spesso le relazioni interpersonali vengono stabilite secondo la logica del tornaconto e in definitiva dello sfruttamento reciproco: usiamo l’ambiente, gli animali, le persone. Arriviamo ad usare anche Dio per i nostri scopi. Solo sfuggendo a questa logica potremo raggiungere la condizione di pace e libertà che tanto cerchiamo. Solo nella prospettiva del dono è possibile riconoscere l’amore e farne esperienza.

Schinella mostra come gli apostoli siano stati i primi a riconoscere nel dono di sé fatto agli uomini da parte di Gesù la massima manifestazione dell’amore di Dio, alla quale hanno sentito l’esigenza di rispondere nello stesso modo, quello indicato dal famoso comandamento: «amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze».

Tenere presente questo è indispensabile per mettere in luce uno dei presupposti fondanti della fede cristiana, ovvero la consapevolezza del fatto che l’uomo, ancora prima di amare, è amato. E, dato che Dio stesso è amore, ciò significa che ogni essere umano è sì alla ricerca dell’amore, ma è ancor prima cercato dall’amore.

In questa prospettiva la storia dell’umanità e quella di ogni singolo individuo appaiono, nella loro paradossalità, come un continuo anelito a qualcosa che già possediamo da sempre senza saperlo, perché non guardiamo nella giusta direzione. Perché separandoci e allontanandoci dall’altro e dai noi stessi, ci separiamo e ci allontaniamo anche da Dio e dall’amore.

Molti secoli fa S. Agostino, la cui testimonianza spirituale è, com’è noto, ben presente alla riflessione dell’attuale pontefice, rivolgendosi a Dio così scriveva: «dov’ero quando ti cercavo? Tu eri davanti a me, ma io mi ero allontanato da me e non mi ritrovavo. Tanto meno ritrovavo te».

 

Dall’eros all’agape

È necessario, dunque, ritornare pienamente a se stessi per poi aprirsi all’esterno in modo nuovo, facendo sì che l’amore inteso come eros, come desiderio e anelito verso qualcosa di cui si sente la mancanza, e che si vorrebbe possedere, maturi e si trasformi in agape, amore donativo, pronto anche alla rinuncia e al sacrificio, capace di uscire da se stesso e andare verso l’altro.

Del resto l’elemento in grado di innescare una simile trasformazione non è un merito, né una conquista, ma un dono, quello della fede, che per arrivare al cuore chiede solo che ci si apra ad essa: «Abbiamo creduto all’amore di Dio, così il cristiano può esprimere la scelta fondamentale della sua vita. All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte, e con ciò la direzione decisiva».

 

Eliana Grande

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno III, n. 22, giugno 2009)

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