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Biografie (a cura di Luisa Grieco e Mariangela Rotili) . Anno III, n. 22, Giugno 2009

Zoom immagine Un’analisi storica
diviene riflessione
etica se il passato
ripensa i suoi eventi

di Marika Guido
Alcune fonti recenti su “casa Spinelli”
rivelano singolari origini e un veloce
declino, per Editoriale progetto 2000


All’alba dell’Età moderna, mentre nel Nord e nel Centro dell’Italia (ad esclusione dello Stato della chiesa) il Feudalesimo si affranca dalla storia lasciando il posto alla società comunale, la Calabria è parte integrante del  Regno di Sicilia e si trova in  uno stato di agitazione politica, poiché viene contesa tra Angioini e Aragonesi.

Siamo nel XVI secolo e il mondo conosciuto assiste alla nascita di un nuovo Carlo Magno, l’imperatore Carlo V, che ha avuto il merito di aver tenuto unito, forse per l’ultima volta nella storia, ius et religio sotto un unico scettro. Il suo impero non vedeva mai il tramonto del sole.

Pressappoco è questo il contesto in cui si svolge la ricerca storica di Mauro Santoro, presentata nel saggio Giovanbattista Spinelli. Conte di Cariati e duca di Castrovillari alla corte dell’imperatore Carlo V con la Presentazione di Leonardo Iozzi (Editoriale progetto 2000, pp. 144, € 10,00). La ricerca si occupa del capostipite della famiglia Spinelli, una famiglia di conti che hanno dominato per secoli su un vasto feudo che comprendeva Cariati fino a Cetraro e nella Calabria Ultra Seminara e Santa Severina. Il saggio può considerarsi il seguito di una ricerca appena precedente «sull’evoluzione storica e sul susseguirsi delle vicende ereditarie di casa Spinelli». La documentazione sulla quale si basa il suo primo lavoro è prevalentemente contenuta nell’archivio di stato di Napoli, ma si sa, la curiosità storica non è mai paga e da un’indagine ne nasce un’altra. Alcune domande hanno necessità di risposte più ampie e quando restano parzialmente insolute nascono nuovi studi, anche nel momento in cui il materiale non risponde appieno o è insufficiente. Santoro fonda la sua nuova ricerca su documenti contenuti nell’archivio di Simancas e di Aragona a Barcellona, dove è custodita la vasta raccolta degli atti dei sovrani che hanno concesso innumerevoli benefici al conte. Siamo in presenza di un attento e appassionato studio di prezioso interesse storico, come pochi nell’ambito locale, dell’analisi del passato.

 

Spinelli alla corte di Spagna

Nel passaggio da Ferdinando il Cattolico a Carlo I re di Spagna, il Regno di Sicilia e la Calabria in particolare, si trovano in uno stato di profonda prostrazione sociale e politica. I francesi la considerano come il pied à terre nella penisola, per motivi dinastici, terra di scontro tra grandi monarchie europee, ciò che in nuce si sarebbe verificato lungo tutto il territorio italico di lì a pochi anni. Molti proprietari terrieri, stanchi della vecchia politica feudataria spagnola, che mortificava e umiliava i diritti individuali e collettivi, vedono negli Angioini una speranza di modernità. Altri restano fedeli agli Aragonesi tra cui il conte Spinelli – il quale legge con intelligenza le vicende contemporanee, considerandole favorevoli agli spagnoli e vedendo più lontano degli altri – sceglie da che parte stare e chi servire. La sua fedeltà diventa un esempio per molti notabili. Da parte sua la corona spagnola, prima nella persona di re Ferdinando e poi di re e futuro imperatore Carlo, lo premia con una serie di privilegi e di benefici, tutti puntualmente documentati dall’autore, che lo portano a ricoprire un ruolo economico e politico, forse quasi morale, “egemone” in tutto il Regno. Nello stesso tempo rappresenta un punto di riferimento insostituibile per re Carlo che lo coinvolge come fidato consigliere su molte questioni politiche e amministrative; egli è sovente ascoltato, «modello di fedeltà, prudenza ed esperienza». Resta famosa la sua missione diplomatica comminatagli da re Ferdinando nello stato della Serenissima e annovera tra i suoi impegni importanti un biennio (1516-18) passato alla corte spagnola, alla presenza del giovanissimo erede imperiale. Tuttavia dal palazzo reale aragonese non mancava di curare i suoi personali interessi in quel di Cariati e dirimere le controversie sul territorio fuscaldese e paolano, grazie anche alla benevola intercessione del re, poiché vi erano alcuni suoi antagonisti che non riconoscevano ufficialmente il suo territorio. Uno dei benefici più singolari scovati dallo storico è la dote in dono alla figlia Isabella Spinelli da parte dei reali spagnoli; ciò manifesta lo stato di grazia particolare in cui il conte si è spesso trovato e racconta limpidamente di come egli, cariatese, fosse tenuto in gran considerazione. Un elemento comune a tutte quante le provvidenze di Spinelli è la trasmissibilità ereditaria, non sempre scontata per quei tempi di cambiamento sociale. Una situazione impari rispetto a molti altri feudatari, caratteristica che irritò notevolmente molti suoi contemporanei e suscitò la collera di suoi conterranei. Il conte Spinelli muore probabilmente in circostanze sospette, delle quali Santoro riporta ogni particolare, confermando l’ipotesi di complotto. Il diplomatico aveva accumulato un patrimonio immenso e smisurato che si trovò a esser gestito dai suoi successori, forse troppo presto.

 

Il patrimonio vanificato

«Dopo alcuni anni dal decesso, la figura di Spinelli era ancora viva nel ricordo dell’imperatore spagnolo, al punto che nel 1525, da Toledo, emanò il decreto per ricoprire l’ufficio di luogotenente e protonotaro nel Regno di Sicilia Citra Faro, […] nominò Ferdinando Spinelli, già consigliere reale», figlio del defunto Giovanbattista. La famiglia resta così fedele alla corte di Spagna, ma il patrimonio viene irragionevolmente dilapidato dai figli, fratelli e nipoti, al punto che la Contea di Cariati viene venduta all’asta nel 1565. Nonostante il disastro e l’onta che aveva macchiato la famiglia, il lavoro amministrativo per conto della corte reale continua, così come la fedele sottomissione, testimoniata da diversi uomini d’arma Spinelli che servirono l’esercito spagnolo, combattendo per la causa dei loro sovrani. Gli eredi non avevano però né il valore né l’autorevolezza dell’antenato, macchiando più volte la reputazione della famiglia. Nel 1620-21, i disastri finanziari «fecero scadere la loro attendibilità anche presso la stessa monarchia spagnola», perdendo così «ogni canale di favore per l’ottenimento di riconoscimenti ed incarichi speciali». Da qui in poi la famiglia Spinelli si apparenta con altre dinastie finché, alla fine del XVII secolo, i titoli nobiliari, passando da un erede all’altro, si disperdono definitivamente compreso quello di “principe”, che con tanta fatica Giovanbattista aveva guadagnato nel lontano 1505. Un pezzo di storia calabrese, la nostra storia e le loro vicende, tutte da leggere, meditando il tempo che è stato, non dimenticando mai che dove c’è chi ha goduto di grande ricchezza, c’è chi l’ha subita con tutte le occorrenze del caso. Un’esperienza di feudalità che spiega tutte le altre e che fa luce su un aspetto, prima che storico, antropologico e racconta la fatica del nostro territorio a tenere il passo della modernità, per un sistema che ha privilegiato pochi e sempre gli stessi, incapaci spesso di amministrare con autorevolezza il patrimonio comune.

 

Marika Guido

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno III, n. 22, giugno 2009)

Collaboratori di redazione:
Elisa Guglielmi, Ilenia Marrapodi
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