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Anno III, n. 22, Giugno 2009
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Home Page (a cura di Tiziana Selvaggi) . Anno III, n. 22, Giugno 2009

Zoom immagine Lettere e diari
di una madre,
vent’anni dopo

di Francesca Rinaldi
Anni di piombo in Germania:
la breve vita di un ragazzo
raccontata per C. H. Beck


Anche la Germania ha conosciuto dalla fine degli anni Sessanta e poi negli anni Settanta e Ottanta, il terrorismo rosso. La data d’inizio della violenza per i tedeschi è il 2 giugno 1967, giorno in cui, durante una manifestazione contro la visita dello scià di Persia a Berlino Ovest, la polizia uccide il giovane studente Benno Ohnesorg. Il Sessantotto si fa sentire anche in Germania, con i suoi movimenti di varia ispirazione: anarchici, pacifisti, marxisti. La radicalizzazione di questi avrebbe forse portato, in ogni modo, al passaggio dalla fase di inclusione tipica dello stato nascente a quella di esclusione, ma basta quel tragico avvenimento perché sia comunque la violenza a prevalere.

La Rote Armee Fraktion (organizzazione terroristica di estrema sinistra di ispirazione marxista-leninista) viene fondata agli inizi del 1971 con relativo simbolo (una stella a cinque punte in cui appare una pistola Heckler & Koch MP5) e manifesto programmatico, Das Konzept Stadtguerrilla [Il concetto di guerriglia urbana] redatto dalla giornalista Ulrike Meinhof.

Già a partire dal 1972, i membri più conosciuti (la Meinhof, Andreas Baader, Gudrun Ensslin, Jan-Carl Raspe) dell’organizzazione vengono tratti in arresto.

Mentre il governo federale prepara un costoso processo e delle carceri speciali per la cosiddetta “prima generazione”, la “seconda generazione” organizza azioni sempre più spettacolari e tragiche, dando vita al tristemente noto “Autunno tedesco”. Nel 1977, infatti, si succedono nell’ordine: l’uccisione a freddo di Jürgen Ponto, presidente della Dresdner Bank; l’attentato contro il procuratore generale federale Siegfried Buback con l’uccisione di tutta la sua scorta; il rapimento del presidente degli industriali tedeschi Hanns-Martin Schleyer e contemporaneamente il dirottamento del volo 737 Lufthansa, Palma di Maiorca-Francoforte. L’“Autunno tedesco” del 1977 segna l’acme della violenza e della tragedia, perfino i capi storici della Raf, detenuti in carcere, si suicidano.

Dal 1985, catturata la “seconda generazione”, gli attentati proseguono per mano della controversa “terza generazione”, fino a quando, il 20 aprile 1998, in un comunicato di sei pagine inviato all’agenzia Reuters, viene annunciato il definitivo scioglimento della banda («[...] die Stadtguerilla in Form der RAF ist nun Geschichte»). In questi ventotto anni molti sono i giovani che aderiscono all’organizzazione terroristica, alcuni in completa clandestinità, altri dando il loro appoggio diretto. Ulrike Thimme, madre di uno di questi ragazzi, a quasi vent’anni dalla morte del figlio, Johannes Thimme, scrive il libro Eine Bombe für die RAF. Das Leben und Sterben des Johannes Thimme von seiner Mutter erzält (C. H. Beck Verlag, pp. 200, € 17,90) [Una bomba per la Raf. La vita e la morte di Johannes Thimme raccontata da sua madre], non ancora tradotto in italiano ma facilmente acquistabile attraverso Internet.

 

La prigione e la famiglia

Per Johannes Thimme il 1977 è un anno importante: è allora, a soli ventuno anni, che fa esperienza della prigione. Iscritto all’Università di Tübingen, dove segue i corsi di Sinologia, Sociologia ed Economia politica, viene infatti indagato, processato e condannato a ventidue mesi di carcere con l’accusa di aver partecipato all’organizzazione di un attentato (mai avvenuto) con il nome di battaglia “Tim”.

La famiglia di Johannes è borghese, i genitori sono colti accademici, il padre è ricercatore universitario e più tardi anche direttore del Museo archeologico, la madre è laureata in Filosofia. Johannes è il secondo di tre fratelli, nato il 29 febbraio 1956 a Erlagen.

La madre, Ulrike, inizia il racconto, dell’infanzia del piccolo Johannes, anche attraverso citazioni delle pagine del suo Tagebuch [il diario]. Racconta come fosse il più “selvaggio” dei tre, ma anche della sua passione per il flauto traverso e di quando a diciassette anni, come molti giovani tedeschi fanno ancora oggi, trascorse circa un anno negli Stati Uniti per un progetto di scambio culturale, studiando alla “Encinal” high school di Alameda (California) ospitato in casa di alcune famiglie americane. Proprio questa esperienza lo rende sempre più critico nei confronti dell’american way of life e della politica internazionale statunitense. Tornato in Germania, Johannes conclude il liceo e si iscrive all’università. Nel 1977, il primo arresto, il processo, la condanna e la permanenza in prigione, dove il suo punto di vista sulla società, sulla politica si radicalizza sempre più, come traspare dalla corrispondenza epistolare con i genitori. Nel 1979 esce di prigione e va ad abitare col fratello ed alcuni amici in campagna, nei pressi di Karlsruhe, ma viene nuovamente arrestato nel 1981 per «Werbung für eine terroristische Vereinigung» [pubblicizzazione di un’associazione terroristica]. In prigione partecipa ad uno sciopero della fame collettivo; quando esce i suoi rapporti con i genitori sono sempre più freddi, Johannes è «auf einem anderen Weg» [su un’altra strada].

 

Il campanello suona nella notte

Sebbene Johannes abiti per conto suo, la madre comunque continua a tenersi in contatto con lui, si scrivono lettere, anche quando il padre decide invece di prenderne le distanze. Il ragazzo passa ancora spesso da casa dei genitori, in occasione di qualche pranzo domenicale o per usare la lavatrice. Finché il 21 gennaio 1985, verso le tre del mattino, mentre Ulrike sta dormendo a casa da sola (il marito è a sciare in montagna) qualcuno suona alla porta. «Polizei!». Senza molti preamboli le spiegano che il figlio è morto, è esploso assieme alla bomba che aveva con sé.

Nei pressi di Stoccarda Johannes e la sua fidanzata Claudia portavano un ordigno in una carrozzina per lasciarlo davanti al Centro di calcolo dell’Ente di ricerca aerospaziale tedesco, come si legge nella sentenza del processo contro la sopravvissuta Claudia, l’azione aveva lo scopo di dare risonanza allo sciopero della fame che i compagni della Raf stavano portando avanti in carcere.

I funerali vengono celebrati in Karlsruhe il 24 gennaio e il fratello Christian legge in chiusura una famosa lirica di Bertold Brecht, Ai posteri, che nell’ultima strofa recita:

«Ma voi, quando sarà venuto il momento / in cui l'uomo è amico dell'uomo / ricordate noi / con clemenza».

 

Francesca Rinaldi

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno III, n. 22, giugno 2009)

 

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