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Problemi e riflessioni (a cura di Francesca Rinaldi) . Anno III, n° 19, Marzo 2009

Zoom immagine I disturbi alimentari
nella nostra società
specchio di disagio
anche per i bambini

di Maria Ausilia Gulino
Pubblicato per Baldini Castoldi Dalai
un testo sul rapporto cibo e famiglia


I disturbi alimentari sono spesso argomento del giorno nei telegiornali, nei talk show, nei reality, nei dossier, nei libri e nella vita quotidiana. Riguardano adolescenti, adulti e persino bambini. Tante sono le associazioni che affrontano la problematica per supportare le famiglie che non sempre sanno a chi rivolgersi e come risolvere la situazione. Una di queste è l’Adao Onlus (Associazione disturbi alimentari obesità) fondata in Friuli nel 2003 da un gruppo di persone che hanno risposto all’appello di genitori,  medici, psicologi e altri soggetti sensibili alla necessità di cercare risposte e offrire consigli per i problemi legati ai disturbi del comportamento alimentare, all’obesità e al disagio giovanile. Essa si basa sull’auto-mutuo-aiuto e, tra gli altri servizi, offre uno sportello telefonico di ascolto. Gli obiettivi principali che l’associazione si pone sono: difendere i diritti fondamentali di chi ha problemi alimentari; sostenere le famiglie; stimolare e aiutare le associazioni scientifiche; richiamare l’attenzione legislativa; promuovere la formazione, i libri e ogni tipo di supporto comunicativo utile.
Il principio guida fondamentale del programma è riconoscere come sintomi delle patologie alimentari disturbi quali il rifiuto del cibo, le abbuffate, il vomito autoindotto, l’abuso dei diuretici, l’eccessivo sforzo nell’attività sportiva: tutte spie di un rapporto malato con il cibo e con il proprio corpo. Le avvisaglie iniziali talvolta possono sfociare nell’anoressia nervosa, il cui circolo vizioso comprende: dieta, con successivo calo di peso, aumento di stimoli biologici, paura di perdere il controllo, aumento del controllo, inasprimento della dieta, per poi tornare al punto di partenza; e nella bulimia nervosa: dieta, calo di peso, aumento degli stimoli biologici, perdita del controllo (abbuffata), metodo di compenso (vomito), dieta estrema, e di nuovo punto di partenza.
Entrambi gli iter, apparentemente opposti ma ugualmente pericolosi, comportano la perdita del controllo sulla relazione con l’alimentazione e con il proprio corpo. I sintomi che si manifestano anche solo due volte nella stessa settimana vengono classificati come disturbo. Nel caso specifico dell’anoressia bisogna andare incontro a una terapia cognitivo-comportamentale insieme a quella farmacologica stando vigili sui tipi di farmaci, perché alcuni non sono consentiti dalla legge.

La famiglia come supporto per guarire
Gian Luigi Luxardi, psicologo e psicoterapeuta del centro alimentare di San Vito al Tagliamento (in provincia di Pordenone), in seguito all’allarme obesità ha scritto, assieme al medico Roberto Ostuzzi, un libro che affronta un problema che oggi supera per entità le cifre tipiche di una pandemia, dal titolo Un boccone dopo l’altro (Baldini Castoldi Dalai, pp. 254, € 14,80).
L’idea – ci racconta uno degli autori, Luxardi – nasce via email dopo una fitta corrispondenza tra colleghi che vivono e operano a duecento chilometri di distanza l’uno dall’altro, con l’intento di offrire un aiuto concreto e “leggibile”. L’intento infatti è quello di spiegare una problematica tanto complessa e sfaccettata.
L’indagine focalizza l’attenzione su bambini e adolescenti ma già nel prologo si afferma che il vero protagonista è la famiglia. Il testo si apre con la storia di una bambina obesa, ma appare subito chiaro quanto la descrizione del disturbo sia un pretesto per passare all’argomento famiglia. Racconta di obesità, la quale viene considerata disagio inteso come difficoltà del rapporto col cibo. La famiglia custodisce al suo interno anche le risorse necessarie al miglioramento di situazioni oggettive particolarmente problematiche. Poiché non è possibile affidare al bambino la soluzione della questione, è necessario intervenire sul nucleo familiare che lo circonda. Se i genitori riescono a cogliere il bisogno che determina la difficoltà del figlio e sono disposti a migliorare la comunicazione interpersonale, il sistema famiglia si predispone al cambiamento in senso positivo.
Ricordiamo che, in tutto ciò, la motivazione è il motore del mutamento. A questo punto del discorso l’autore si chiede se nel bambino essa sia presente. Di fatto il bambino è un essere umano in crescita, quindi se non è già presente oggi, essa potrà comparire in futuro. Il fattore stimolante possiamo intenderlo come una forza interiore che va coltivata, perché non è innata. Pertanto favorire la motivazione significa cercare tale forza. «Dobbiamo solo capire se il piccolo è in grado di compiere i passi che gli chiediamo di fare. E dobbiamo valutare, nel caso specifico, se il bambino è autonomo nell’affrontare una cura. Sapendo a priori che non lo è – afferma Luxardi – lavoriamo sui genitori: l’obiettivo non è far dimagrire il bambino, sono costoro che vanno motivati».

Quali sono i fattori psicologici?
Nel mondo psicologico del piccolo obeso risulta fondamentale l’elemento genetico del comportamento. Nel bambino con problemi di sovrappeso si riscontra un carattere irritabile (anoressia, rifiuto delle novità quindi l’alimento può essere usato come sedativo: egli piange e lo calmiamo con il cibo). Se piagnucoliamo per qualsiasi motivo, una volta allattati rinunciamo a piangere. Questo trattamento potrebbe creare malessere perché il cibo non sarà usato solo come apporto alimentare ma anche come modo di identificarsi in qualcosa.
Ecco due delle domande che un adulto può porsi quando vede il manifestarsi casi di dipendenza dal cibo: a) mangiamo per nutrirci o anche perché ci sono tanti alimenti a disposizione e quindi li ingeriamo tanto per far qualcosa? Risposta: se i genitori mi hanno dato la possibilità di esprimere le mie emozioni anche il mio rapporto con la nutrizione cammina liscio senza dipendenze o disagi, se ciò non è accaduto, perché non c’è stato un insegnamento alla comunicazione, sono problemi, dunque si rischia la malattia nervosa. b) Esistono persone grasse ma felici? La risposta viene fornita mediante l’esempio di una donna dominicana che nel suo Paese è oggetto di ammirazione in ambito socioculturale mentre in Italia viene marginalizzata poiché considerata in soprappeso. Appare quindi evidente quanto le differenze culturali e i conseguenti mutamenti nell’estetica incidano in modo diametralmente opposto sullo stesso soggetto.
L’obesità però non è solo un problema estetico, ma tangibile e medico. Una persona in sovrappeso non è malata, non ha problemi psichici, se non quelli che le creano gli altri. Curare un individuo significa pertanto considerare tutti i possibili ambiti della sua vita, compresi quelli sociali. Di conseguenza l’importanza dell’attività fisica è seconda solo a quella della motivazione e del coraggio. La pratica dello sport, unita a uno stile di vita attivo, è irrinunciabile. L’eccessivo agonismo che caratterizza a volte l’attività sportiva organizzata diventa, invece, stressante e non ludico. E poi la stessa alimentazione non deve essere restrittiva.

Il nucleo familiare per guarire
La famiglia, oggi, vive una difficoltà ulteriore nella nostra società. La scuola diventa a sua volta un’istituzione in cui poter fare prevenzione. Del resto – afferma con forza Luxardi – siamo noi che abbiamo creato questo stile sedentario che prevede otto ore di scuola al giorno, l’uso continuo di trasporti al posto di camminate a piedi, eccetera.
Un tempo alla carenza di cibo l’individuo sopperiva mangiandone in quantità non appena lo trovava. Attualmente abbiamo questa eredità di abbuffata. Dobbiamo pertanto rieducarci. La nostra società ha sviluppato l’anoressia mentale perché ci piace vedere tutti magri tranne in un caso: il bambino, considerato delizioso quando è paffutello.
In conclusione è più facile controllare l’ambiente familiare prima di quello esterno. «Quando il dito indica la luna lo stolto guarda il dito», ci raccontavano i nostri nonni. Molte persone che subiscono uno shock si riprendono, altre no. Si può insegnare a sviluppare una forza d’animo per riuscire a risolvere le difficoltà? Se a un bambino obeso viene chiesto di dimagrire non svilupperà altri atteggiamenti, si metterà in testa, invece, che dimagrire sia l’unico talento. Allora il problema lo crea la società, perché l’obesità è un problema di salute con tanto di grande pregiudizio.

Maria Ausilia Gulino

(www.bottegascriptamanent.it, anno III, n. 19, marzo 2009)
Collaboratori di redazione:
Elisa Guglielmi, Ilenia Marrapodi
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