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Home Page (a cura di Tiziana Selvaggi) . Anno III, n° 19, Marzo 2009

Zoom immagine Fuga di cervelli
tagli a scuola
temi d'attualità

di Andrea Vulpitta
Un testo Rubbettino sul merito
anticipa la discussione accesa
e segue ai decreti del governo


«Finito si stampare nel mese di gennaio 2008». Così recita l’ultima pagina del testo che abbiamo letto. È importante partire da questa data perché, a distanza di un anno, il tema Meritocrazia, di Cristina Palumbo Crocco (Rubbettino, pp. 116 € 12,00), diviene di straordinaria attualità in particolare dopo l’approvazione del decreto Gelmini e “l’onda” che ne è scaturita. Recita la quarta di copertina del testo: «Si stima che ogni anno, dall’Europa, fuggano verso gli States circa 100.000 cervelli. Secondo un recente studio del Cnr l’Italia è al quarto posto dopo Regno Unito, Francia e Germania. [...] I giovani soprattutto preferiscono emigrare in luoghi dove le loro idee e competenze vengono valorizzate in base a criteri meritocratici, dove la creatività viene stimolata perché considerata una risorsa importante per la crescita, non solo economica, del sistema paese». L’autrice, condirettore della rivista telematica Officina Italia e vice presidente della Fondazione culturale “Ali” Onlus , parte da queste considerazioni per offrire un quadro non solo sulla situazione della meritocrazia e della ricerca in Italia, ma anche un approfondimento, non sempre in questo caso condivisibile, sulle strade da percorrere per dare smalto e rilancio al merito e al talento.

 

Riformare nel merito o nel portafoglio?

Ritornando sulla fuga dei cervelli dallo studio del Cnr (Consiglio nazionale delle ricerche) emerge come la scelta di emigrare sia, in percentuale maggiore, dovuta alla possibilità di fare carriera e di essere valutati e valorizzati secondo la propria capacità e non dal solo bisogno di occupazione. Il testo si sofferma sull’urgenza di riformare una scuola ingessata e ferma a vecchi ordinamenti che le varie riforme (approvate sotto i dicasteri di Luigi Berlinguer e Letizia Moratti) non sono riuscite a cambiare e modificare in modo significativo. Fa uno strano effetto leggere delle maggiori risorse che l’Italia destina alla scuola dell’infanzia e a quella primaria rispetto agli altri paesi dell’area Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), e riflettere come il governo italiano abbia pensato bene di allineare il paese tagliando risorse, e operando lo stesso con l’Università e la ricerca che vede invece risorse inferiori rispetto al parametro della destinazione di fondi Pil procapite vigente in Europa. Di un cambio di destinazione dei fondi alle Università si avverte certamente bisogno, e l’autrice rileva la flessibilità e la varietà del sistema di istruzione universitario americano che, oltre a rappresentare un corretto intreccio tra pubblico e privato, stabilisce la distribuzione dei fondi in base a merito e a risultati raggiunti, e questo spiega come gli Stati Uniti costruiscano ponti d’oro ai ricercatori di eccellenza, provenienti anche dall’Italia dove, invece, sono “sostenuti” con redditi intorno ai mille euro mensili! È questa la conseguenza dell’assenza di meritocrazia come criterio per l’assegnazione e l’attuazione di studi e ruoli di responsabilità sia nel campo universitario sia in quello della ricerca. Quando quel poco di risorse sono distribuite male e pilotate dai baroni e dagli amici dei baroni, diventa difficile aumentare persone e risultati nel campo della ricerca in Italia. Spesso in questi ultimi tempi si sente dire da molti che una società che non investe sui giovani non ha futuro, ma nei fatti i giovani vengono sempre meno considerati e valorizzati in questo paese e quando qualcuno ha azzardato la proposta di ampliare anche i diritti e le opportunità di questi rispetto a quelli dei propri genitori, molti hanno mestato nel torbido gridando alla possibilità di uno scontro generazionale. Certo è che l’Italia si trova oggi indietro, non tanto come preparazione e capitale umano, quanto ad adeguatezza di una visione di investimento e di futuro del Paese nel suo insieme. E diviene difficile, stante la particolare congiuntura economica, mantenere fede all’impegno del Consiglio europeo (Lisbona 2000) di far divenire l’Europa, entro il 2010, «l’economia più competitiva al mondo, basata sulla conoscenza, capace di una crescita economica sostenibile, con più numerosi e migliori posti di lavoro ed una maggiore coesione sociale».

 

Valutare il merito: più facile a dirsi...

Di grande attualità, inoltre, è lo scarso contributo di organismi volti a valutare e a selezionare progetti e fondi per la ricerca; è di recente costituzione, ad esempio, l’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (Anvur) che dovrebbe accorpare il Civr (Comitato di indirizzo per la valutazione della ricerca) e il Cnvsu (Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario). Per ultimo il problema della baronie e dei concorsi farsa che all’interno delle Università mortificano il merito ed esaltano i rapporti familiari: figli, mogli, generi, nuore, nipoti. La scuola e l’Università sono temi di stretta attualità e, per numero di soggetti coinvolti tra docenti e alunni, rappresentano un enorme settore pubblico di lavoro, ma non bisogna dimenticare l’esercito della pubblica amministrazione dove la corsa al posto fisso e una miope politica clientelare, oltre che la mancanza di lavoro, specie al Sud, ha visto ingrossare le sue fila al di là di ogni qualsiasi maglia larga di pianta organica. L’autrice ricorda emblematicamente un passo del libro I nullafacenti di Pietro Ichino in cui il giuslavorista afferma: «Nelle amministrazioni pubbliche il licenziamento per scarso rendimento non esiste; per essere licenziati non basta l’inutilità totale della prestazione, o un’efficienza pari a zero: occorre aver fatto danni gravissimi per esempio aver sparato al proprio capoufficio, o essere scappato con la cassa». È il caso di ricordare come dopo la stretta del ministro Brunetta sono sensibilmente scese le assenze per malattie dei dipendenti pubblici, molti dei quali, probabilmente, affetti da malattie immaginarie.

 

Povertà e disagio tra egualitarismo e capitalismo

È auspicabile, in conclusione, per quanto difficile e complesso, che si percorra la strada di una società che riconosca il merito e aiuti tutti a dimostrare inclinazioni e talenti. Potrebbe apparire talvolta fazioso, nel testo, il riferimento alle società egualitarie dove il merito lascerebbe il posto al bisogno e dove si amplierebbero le condizioni di povertà e di disagio sociale. Povertà e disagio sociale sono due delle emergenze più attuali, insieme con quella ambientale, in un mondo globalizzato e non certo egualitario, che amplia sempre di più la forbice tra ricchi e poveri, spinge verso enormi flussi migratori e riempie metropoli e aree urbane di tanti, troppi disadattati.

 

Andrea Vulpitta

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno III, n. 19, marzo 2009)
Collaboratori di redazione:
Elisa Guglielmi, Ilenia Marrapodi
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