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Anno III, n° 18, Febbraio 2009
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Home Page (a cura di Tiziana Selvaggi) . Anno III, n° 18, Febbraio 2009

Zoom immagine Strana storia
di uno scrittore
e del suo libro

di Annalice Furfari
Armando Siciliano editore
pubblica un testo curioso:
una riflessione sulle lettere


Fino a che punto può spingersi la fantasia di un autore? È lecito adoperare la penna per dare libero corso alla propria immaginazione galoppante? È giusto scatenare la creatività, anche a costo di nuocere a uno dei più grandi tesori posseduti dall’essere umano? È bene tentare di realizzare le proprie ambizioni, quando il prezzo che ne deriva è talmente elevato da mettere a repentaglio la sopravvivenza del patrimonio letterario di tutti i tempi?

Interrogativi del genere possono apparire bizzarri, ma sorgono spontaneamente leggendo le pagine de Il mostro (Armando Siciliano editore, pp. 148, € 10,00), romanzo scritto dal siciliano Salvo Zappulla. La ragione è presto data. Il libro narra l’assurda storia di uno scrittore (del quale non vengono mai menzionati nome e cognome), che trascorre le sue giornate arrovellandosi nella disperata ricerca del capolavoro che gli faccia raggiungere la tanto bramata gloria letteraria. Questo perché il suo editore, «sempre così dannatamente scorbutico» e mai soddisfatto dei suoi lavori, lo ha minacciato con un ultimatum: o tirerà fuori il suo vero talento raccontando una storia particolare o non vedrà mai più i suoi libri stampati. In realtà, il protagonista non riesce a elaborare nulla di diverso dai romanzi descrittivi e bucolici scritti sino a quel momento, libri che l’editore ha sempre pubblicato per non scontentare lo zio dell’uomo, impegnato in politica. Gli unici lettori che l’autore ha mai avuto sono i suoi compaesani siciliani, che lo conoscono sin da quando era bambino. Nonostante ciò, l’uomo, ostinato e sicuro della sua vena creativa, è deciso a non arrendersi e a congegnare finalmente il capolavoro che accontenterà il suo editore e salverà la sua carriera di letterato. Quest’insana ambizione gli stravolgerà l’esistenza. La sua vita, fino a quel momento tranquilla, monotona e piuttosto solitaria, verrà trascinata in un vortice insidioso, costringendolo ad affrontare situazioni che neanche la sua fervida immaginazione avrebbe potuto concepire. Le peripezie dell’autore prendono avvio dopo che, per tre mesi esatti, si è dedicato giorno e notte alla scrittura del suo capolavoro, intitolato, non a caso, Una storia particolare. Proprio mentre ne legge il contenuto all’editore, la vicenda narrata prende forma, trascinando il lettore nel vivo di un perfetto esempio di metaletteratura.

Questa storia nella storia ha per protagonista un autore, incarcerato, processato e condannato per i reati più strampalati: «uso indiscriminato della penna; abuso dell’attività di scrittore; esercizio illegale della fantasia; vilipendio e atteggiamento irriguardoso nei confronti dei grandi autori della letteratura classica». Tutto questo semplicemente perché il personaggio della sua opera, il portoghese Pedro Escobar, entusiasta della sua vita letteraria di gigolò incallito, è riuscito a sottrarsi alla volontà del suo creatore e passa il suo tempo a intrufolarsi nei libri altrui, per stravolgerne le trame e conquistare i cuori delle protagoniste, siano esse Madame Bovary o la piccola fiammiferaia.

 

Giustizia-spettacolo e disumanità della condizione carceraria

Questa storia, inverosimile e dagli accenti surreali, è lo spunto di cui Zappulla si serve per poter esplicitare le sue considerazioni su due tematiche di stretta attualità: la giustizia-spettacolo e la crisi dell’industria editoriale.

La figura dell’autore arrestato e processato è emblematica del modo in cui la vita di un individuo viene stravolta quando si trova ad avere a che fare con la spettacolarizzazione della giustizia. Lo scrittore viene trattato come il mostro da sbattere sulle prime pagine dei giornali del mondo. Viene dato in pasto all’opinione pubblica, la quale fa presto a dimenticare che il verdetto di colpevolezza non è stato ancora emanato. A tal proposito, è il protagonista stesso a commentare con amarezza: «Bah, giustizia-spettacolo. Vogliono darmi in pasto all’opinione pubblica. L’opinione pubblica. Com’è volubile l’opinione pubblica, cambia opinione a ogni sbatter di ciglia. Povero quel popolo che ha bisogno di martiri».

Nonostante l’autore sia mite e remissivo, le forze dell’ordine lo trattano come se fosse un infimo criminale, macchiatosi dei reati più ignobili. Con la complicità dei giornali: «Potenza dei mezzi di comunicazione: avevano trovato il mostro da sbattere in prima pagina e le masse si adeguavano, felici di avere un nuovo argomento di discussione».

È, però, la condizione carceraria a dare il colpo di grazia al protagonista. Le sbarre, infatti, calpestano la dignità individuale senza alcuna pietà, trasformando gli uomini in larve ridotte alla rassegnazione. L’ingresso nella prigione è quanto di più disperato si possa immaginare: è in quel momento che si prende per la prima volta coscienza di aver perso la libertà, uno dei tesori più preziosi che l’essere umano possieda. «Attraversò l’androne d’ingresso, il grande cortile deserto, un lungo tetro corridoio con le pareti coperte di graffiti. Qualcuno aveva aperto gentilmente la porta, un inchino sfottente, l’invito ad accomodarsi e il rumore fragoroso delle chiavi che lo seppellivano dentro una nuda e umida cella di tre metri quadrati. I muri scoloriti dalla nicotina e dall’usura degli anni».

Per non parlare, poi, della solitudine, che penetra pungente il cuore e l’anima e fa crollare le poche certezze rimaste. Il carcere, infatti, provoca l’allontanamento degli affetti più cari, pronti ad abbandonare il detenuto al suo triste destino, pur di non restarne coinvolti.

 

I bei tempi andati dell’età dell’oro della letteratura

Il secondo tema tratteggiato da Zappulla riguarda l’attività editoriale, un mondo in crisi anche a causa dell’avvento delle nuove tecnologie comunicative. È emblematica, a tal proposito, la confessione dell’editore: «Sono un piccolo editore del sud, costretto a operare in un ambiente ostico, con l’ausilio delle mie sole forze. Sono tempi difficilissimi. La gente compra i libri propinati e imposti dai grandi mezzi di comunicazione, come tutti gli altri prodotti di consumo, i biscotti o i detersivi. […] Qualsiasi personaggio noto si sente autorizzato a pubblicare: politici, soubrette, fotomodelle. La grafomania impera. Facce da video esposte nelle vetrine delle librerie invitano ad entrare. Cosa sono diventate le librerie, un’appendice del varietà? Il trionfo dell’immagine? L’apoteosi del silicone?».

Queste parole, aspre e disincantate, trasudano amarezza nostalgica per l’età dell’oro della letteratura, un tempo irrimediabilmente perduto in cui scrivere era un’attività dell’ingegno seria ed elevata e richiedeva impegno, costanza, esercizio, spirito di sacrificio, dedizione e una buona dose di talento. Un’epoca in cui i libri erano considerati vere e proprie perle rare di saggezza, tesori da maneggiare con cura e rispetto, e non prodotti industriali attraverso cui ribadire la propria notorietà e aumentare il proprio potere economico.

Zappulla non tollera che la letteratura sia ridotta a merce di consumo come tante altre e ce lo dice senza mezzi termini. Il suo sogno è che si possa far ritorno a un’era in cui i libri si rivolgevano a spiriti sensibili, capaci di cogliere il genio, l’estro e la creatività da cui erano sgorgati. La sua paura è che la letteratura venga marginalizzata sempre di più, per assecondare i propositi di controllo orwelliano delle menti, nutriti da coloro che detengono i grandi poteri della società. «I Regimi – sostiene Zappulla – vogliono i loro popoli spettatori. La lettura invita alla riflessione, in molti casi comporta un impegno morale, civile, spesso contribuisce a far lievitare lo stato di disagio, indirizza il lettore ad agire verso una causa giusta. Invece loro, attraverso i grandi mezzi di comunicazione televisivi, di cui detengono il monopolio, vogliono trasformare i cittadini in sudditi passivi, con il cervello in letargo, abituati a non pensare. Una popolazione incolta è più facile da governare, lo sanno bene i nostri regnanti. Hanno sempre tentato di censurare l’informazione, di soffocare sul nascere i tentativi di ribellione. I pensatori danno fastidio».

Queste considerazioni radicali sono tratteggiate in uno stile fortemente descrittivo e ironico, che si avvicina spesso a quello tipico della satira politica. Non piace nella scrittura di Zappulla l'impiego frequente di termini burocratici che stridono con l'andamento fantastico, farsesco e surreale del racconto. Resta da chiedersi se le valutazioni apocalittiche dell’autore siano condivisibili in toto, o se sia, invece, il caso di tranquillizzare gli amanti della letteratura. È, infatti, vero che l’industria editoriale si trova oggi in una condizione di forte crisi, minata com’è da mezzi di comunicazione potenti e spesso controllati dall’alto. Al tempo stesso, però, le nuove tecnologie comunicative (basti pensare a internet) offrono inaspettate opportunità a tutti coloro che desiderano continuare a diffondere cultura, senza lasciarsi pilotare e addomesticare dai detentori del potere politico ed economico. Ciò che conta non è il valore dello strumento in sé, ma il modo in cui questo viene utilizzato. Lasciamo ai lettori la facoltà di farne tesoro.

 

Annalice Furfari

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno III, n. 18, febbraio 2009)
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