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Comunicazione e Sociologia (a cura di Pierpaolo Buzza) . Anno III, n° 17 - Gennaio 2009

Modernizzazione a sostegno
dell’Istruzione: essenzialità,
dimensionamento a scapito
di aree disagiate e non solo

di Maria Ausilia Gulino
Un riassunto del Piano programmatico
dei discussi ministri Tremonti e Gelmini


In Italia gli studenti con un titolo di studio (presumibilmente la laurea) sono decisamente minori a quelli dei paesi dell’Ocse. Questo comporterebbe, secondo lo schema di piano programmatico del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, di concerto con il Ministero dell’Economia e delle Finanze, ritardi sulla conoscenza della Matematica e della Comprensione linguistica che probabilmente sono dovuti a una forma di disinteresse da parte dell’alunno nei confronti della scuola, uniti a demotivazione e mancanza di gratificazione. In un mondo globalizzato ciò influisce in maniera negativa, considerando che da sempre la conoscenza è fattore di crescita personale e collettiva per il capitale umano. Infatti, è risaputo che bisogna conoscere per governare il cambiamento e l’innovazione, per sostenere e far parte della cittadinanza, fruendo di diritti e doveri.
Purtroppo, a quanto pare, nel nostro paese manca una politica dell’istruzione  che realizzi un disegno unitario e condiviso almeno dalla maggioranza dei sostenitori, di chi vive e che poi pratica l’istruzione. Negli ultimi anni, effettivamente, a seguito di cambi di governo, le innovazioni scolastiche hanno conosciuto una serie di vicende piuttosto tormentate, determinando circostanze (non condivise) anche di tipo involutivo, anziché crescita, modernità e apertura. Questo ha creato un divario, nonché ritardi in quella che in teoria doveva essere una strada verso la modernizzazione, ma che nella pratica non lo è stata, visti i risultati.

Possibili soluzioni di “dimensionamento”
Secondo il piano programmatico, di cui all’art. 64 del decreto legge 25 giugno 2008 n. 112 convertito dalla legge 6 agosto 2008 n. 133, bisogna revisionare il quadro normativo, ordinamentale, organizzativo e operativo. In che modo? Semplificando e razionalizzando l’esistente. Esso intende quindi richiamare: percorsi formativi con chiarezza dei profili di uscita, obiettivi e livelli di apprendimento per ogni ciclo di studi; essenzialità, coerenza e continuità dei contenuti dei curricoli e dei piani di studio, nella prospettiva di un progressivo passaggio a una didattica per competenze, con strumenti oggettivi per gli esiti; autonomia didattica e di ricerca delle scuole nell’organizzare le soluzioni più efficaci per raggiungere i livelli di apprendimento previsti e per superare i fenomeni di dispersione e di insuccesso scolastico; sistema di monitoraggio e di valutazione che misuri conoscenze, competenze e abilità di studenti nel tempo, attuando una didattica più personalizzata, ma contemporaneamente assicurando omogeneità tra le diverse aree del paese; forme integrative della retribuzione di base legate al riconoscimento del merito.
Il piano, in sostanza, vorrebbe realizzare un più produttivo impegno degli insegnanti, con l’idea di eliminare sprechi e motivandoli, conferendo loro maggiore ruolo.

Si intende contare sulla essenzialità e sulla continuità. Inoltre, per evitare la duplicazione di indirizzi, anche questo «indice di spreco», si vuole stabilire un’interlocuzione con le regioni e gli enti locali, al fine di consentire a essi anche con la collaborazione degli uffici scolastici regionali e provinciali, scelte di politica scolastica aderenti ai reali bisogni del territorio e integrate con formazione professionale, istruzione postsecondaria e istruzione per gli adulti. Tali interventi mirerebbero a incrementare il rapporto alunni-docenti e a ridurre però la consistenza del personale Ata.

 

Riduzione anche nei quadri orario
Il piano vuole poi revisionare il quadro orario affinché la durata delle lezioni sia più contenuta. Nella scuola dell’infanzia, ad esempio, tenendo conto delle esigenze delle famiglie, l’orario obbligatorio delle attività si svolge nella fascia antimeridiana, con una sola unità di personale docente per sezione. Le conseguenti economie di ore e di posti potranno consentire nuove attivazioni e dunque anche l’estensione del servizio. Questo in previsione del 2009/10, anche attraverso l’adozione di decreti ministeriali e interministeriali.
Con ciò si intende reintrodurre nella scuola primaria il maestro unico dal 1 settembre 2009, proprio ai fini dell’essenzialità, con classi funzionanti per un orario di 24 ore settimanali. Manca però un’indicazione di certezza qualitativa che, oltre ai tagli per evitare sprechi, garantisca reale efficienza ai fini didattici. L’istituzione del maestro unico vuole rappresentare un elemento di rinforzo del rapporto educativo tra docente e alunno per un’unica figura di riferimento continuo e diretto; semplificherebbe anche la relazione tra scuola e famiglia. Ma dal punto di vista dei contenuti? Un unico maestro può davvero garantire un esito positivo in ogni disciplina senza privilegiarne una rispetto a un’altra (anche per soli problemi di tempistica)?
Nei territori montani, nelle piccole isole e nei piccoli comuni privi di strutture educative (aree disagiate) per la prima infanzia sarà consentita, a integrazione del numero delle sezioni che non raggiungono il numero dei bambini stabilito, l’iscrizione alla scuola dell’infanzia di piccoli gruppi di bambini di età compresa tra i 2 e i 3 anni da inserire sulla base di progetti integrati ispirati all’esperienza delle sezioni primavera.
Per i centri di istruzione per adulti si dovrà ridefinire l’assetto organizzativo-didattico con un numero contenuto di materie di insegnamento e legando l’autorizzazione degli stessi al monitoraggio degli esiti finali. Eventuali docenti in esubero non potranno essere utilizzati in corsi o moduli non ordinamentali.

Autonomia scolastica ai danni delle aree disagiate
Per quel che concerne la riorganizzazione della rete scolastica, il Dpr 233/1998 prevede uno standard generale compreso tra i 500 e 900 alunni, quale requisito per il conferimento dell’autonomia scolastica. Consente, però, in via eccezionale, dimensionamenti di istituzioni scolastiche con una popolazione compresa tra le 300 e le 500 unità a condizione che si trovino in zone montane o nelle piccole isole e si tratti di Istituti comprensivi del 1° ciclo o Istituti superiori del 2° ciclo.
Accade però, come attualmente, che molte istituzioni autonome hanno una popolazione scolastica inferiore ai minimi previsti dalla fascia in deroga (quindi meno di 300 alunni). Pertanto, in base a statistiche e accertamenti, una buona percentuale di istituzioni scolastiche non è legittimata a funzionare come istituzione autonoma. Inoltre accade che le piccole scuole non sono funzionali al conseguimento degli obiettivi didattico-pedagogici. Questo rende necessario eliminare le diverse situazioni non conformi all’attuale normativa e riorganizzare il sistema con ricorrenti verifiche. L’intervento in tale direzione deve essere realizzato dalle regioni e dagli enti locali col supporto di azioni mirate quali l’attivazione di trasporti, l’adeguamento di strutture edilizie, la realizzazione di servizi di rete ecc.

In questo caso però riduzione non tanto concilia con qualità. Perché la suddetta scelta inciderebbe pesantemente sulle aree disagiate. L’istruzione è un diritto di ogni singolo cittadino residente in qualunque comune, sia esso in pianura o montagna. Tale provvedimento creerebbe involuzione anziché modernizzazione perché riduzione, in tale caso, significherebbe privarsi del diritto di istruzione. Pertanto sarebbe necessario riqualificare, incentivando e valorizzando, le aree attualmente a disagio con una politica mirata per queste zone, innalzando i livelli di formazione proprio perché impossibilitati ai collegamenti con le aree più agiate. Bisogna anche ricordare che nei piccoli comuni le scuole fungono come centro di ritrovo pomeridiano, essendo facilmente raggiungibili a piedi. La riduzione comporterebbe anche questo tipo di disagio per l’alunno.

 

Misure previste per la determinazione del personale docente e Ata
Il dimensionamento delle risorse umane, per evitare sprechi e sottoutilizzo, investe anche il personale docente e Ata. Per i docenti: a) l’organico di istituto verrà assegnato alle scuole che, nell’ambito della propria autonomia, organizzeranno l’attività didattica; b) si confermerà il criterio di costituire classi iniziali di ciclo sulla base del numero di alunni iscritti, e i dirigenti sono personalmente responsabili di tale operazione. Il numero di alunni di una classe si innalzerà sia per contenere le spese sia per superare la polverizzazione dei centri di erogazione non funzionali agli obiettivi formativi. Anche se ciò non garantisce funzionalità, né, pertanto, il raggiungimento degli obiettivi.  Per due motivi: 1) le aule sono piccole per contenere un maggior numero di alunni; 2) un insegnante difficilmente riesce a seguirli tutti per conseguire gli esiti che il suddetto piano vuole raggiungere. Tra l’altro con il fenomeno migratorio cui stiamo assistendo, capita di dover inserire nuovi alunni anche a metà anno scolastico. Se le classi sono già al limite della capienza spunterebbe il problema dell’accoglienza obbligatoria e a guadagnarci sarebbe solo il privato, che, in tale modo, acquisirebbe maggiore pregio e affidabilità; c) contenimento di attività in compresenza tra docenti di teoria e insegnanti tecnico-pratici di laboratorio; d) riconduzione a 18 ore di tutte le cattedre di scuola di 1° e 2° grado, anche se poi si creerà il problema di coprire le supplenze; e) determinazione dell’organico dei docenti relativo ai corsi per adulti che tenga conto non del numero di iscritti ma di quelli scrutinati, privilegiando i curricoli e i piani di studio con percorsi più brevi ed essenziali rispetto a quelli ordinari; f) sostegno allo sviluppo di sistemi di istruzione a distanza.
Per quanto riguarda le classi di concorso si provvederà ad accorparle con una comune matrice culturale e professionale, ai fini di una maggiore flessibilità nell’impegno dei docenti.
Per il personale Ata, invece, la riduzione salvaguarda il contingente degli assistenti amministrativi. Andranno promosse iniziative di qualificazione professionale, ipotizzando di lasciare al livello territoriale l’intervento per una più equa e reale distribuzione. Questo ridurrà sia il numero delle istituzioni scolastiche che quello delle sezioni staccate, dei plessi e delle succursali, con conseguente dimensionamento del fabbisogno di personale Ata.
Le riduzioni previste sono state approvate nell’agosto 2008, senza che si sia tenuto conto di chi, nella scuola, ci lavora e ci vive.

 

Maria Ausilia Gulino

(www.bottegascriptamanent.it, anno III, n. 17, gennaio 2009)

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