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Anno III, n° 17 - Gennaio 2009
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Home Page (a cura di Tiziana Selvaggi) . Anno III, n° 17 - Gennaio 2009

Zoom immagine Azioni umane
clima che muta
futuro incerto

di Andrea Vulpitta
Inquinamento e nuove fonti
argomenti da prima pagina;
Falco editore segna una via


Il mondo è bello perché è vario e, specie in democrazia, permette di esprimere liberamente le proprie opinioni. È la considerazione che abbiamo fatto dopo aver letto La terra ... un pianeta che brucia. Il dissesto ambientale del surriscaldamento climatico globale di Francesco Biafore (Falco editore pp. 248, € 15,00) agli antipodi come teorie e conclusioni dal testo di George Reisman che abbiamo recensito nel mese di settembre; tale recensione può essere visionata sul link http://www.bottegascriptamanent.it/?modulo=Articolo&id=365&ricerca=PERCH%E9+L%92AMBIENTALISMO+FA+MALE+ALL%92AMBIENTE.

Biafore è studioso e divulgatore di Scienze astronomiche e nel testo sottolinea il problema del surriscaldamento del pianeta e delle conseguenze nefaste che tale processo causerà nei prossimi anni. La parte iniziale del libro è una sorta di introduzione allo studio della Scienze della terra dove viene raccontata, con taglio scientifico, l’origine del sole e del pianeta, per poi tuffarsi nell’oceano primordiale e nei primi periodi di vita sulla terra.

 

L’azione dell’uomo e il cambiamento climatico

L’autore si sofferma sull’influenza dell’uomo nel surriscaldamento del pianeta. Il clima è la sommatoria di una serie di fattori alcuni tuttora sconosciuti che concorrono a determinare il “Sistema climatico”. La terra è un’enorme «macchina termica che assorbe energia dal sole, la trasforma e la rielabora in varie forme, diffondendo poi nello spazio l’energia non utilizzata ed i residui energetici degradati. Questa enorme macchina termica è il sistema climatico costituito da atmosfera, oceano, biosfera e litosfera».

Esistono vari tipi di clima, dalle aree aride a quelle umide influenzate dalla presenza di venti, mari e laghi. Da anni ormai tra allarmismi ed ottimismi si è aperto un acceso dibattito su quanto l’opera dell’uomo e l’industrializzazione crescente possano o meno aver determinato cambiamenti climatici. Nel 1988 l’Onu ha istituito un comitato per lo studio dei cambiamenti climatici, composto da scienziati e denominato Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change). Il suo compito è quello di redigere rapporti periodici sullo stato del clima e ipotizzare previsioni sul futuro. L’aumento costante della temperatura negli ultimi anni è spiegabile, secondo l’ultimo rapporto dell’Istituto, con l’attività umana e in particolar modo con le emissioni di anidride carbonica. Anche nel nostro Paese sono evidenti gli effetti dei cambiamenti climatici, a partire dall’aumento di temperatura delle acque marine, con la comparsa di specie tropicali, fino alla diminuzione consistente delle precipitazioni piovose, con l’aumento, però, della loro intensità. Così come risultano in crescita le cosiddette ondate di calore e la propagazione degli incendi. Sul banco degli imputati, accusati di produrre una quantità eccessiva di anidride carbonica, siedono quattro fattori: la produzione di energia elettrica 42%, i trasporti 24%, i processi industriali 20% e gli usi commerciali e residenziali il restante 14%. Il segno più evidente dell’aumento della temperatura e del cambiamento climatico è lo scioglimento dei ghiacciai. È notizia di poco tempo fa che nell’area dell’Alaska, per la prima volta nella storia del pianeta, si è aperta una via d’acqua da sempre ricoperta di ghiaccio.

                                                                                                        

L’uomo e l’ambiente, un rapporto difficile

L’allarme per la tenuta degli ecosistemi indica che la pressione umana non è più sopportabile da un ambiente che già oggi lancia inequivocabili segnali di cedimento. L’autore ce ne indica tanti che qui sinteticamente ci piace riportare: la deforestazione. La Fao stima che dal 1990 al 2000, 94 milioni di ettari di foresta nel mondo siano  andati  distrutti. La maggior parte di questa distruzione avviene per la produzione di legname e le aree geografiche vittime sono il Sud America e l’Africa. Le foreste producono una grande quantità d’ossigeno e sono in grado di assorbire anidride carbonica, senza dimenticare i danni della deforestazione all’ecosistema, alla flora e alla fauna, con la scomparsa continua di diverse specie. In contro tendenza fortunatamente nel nostro Paese, anche a causa del progressivo abbandono dell’agricoltura e delle superfici destinate al pascolo, è aumentato il numero delle sue foreste negli ultimi anni, potendo contare, tra l’altro, sulla diversità di piante, dalla macchia mediterranea alle foreste alpine. Altro enorme danno all’ambiente è quello degli incendi, che si somma al fenomeno della deforestazione ed è attribuibile per circa il 95% dei casi ad attività colposa o dolosa dell’uomo; problema poco avvertito in Italia, anche se è a rischio il 27% del suo territorio specie nel sud, con punte del 60% che riguardano la Puglia. Evidente in Africa e in America è la desertificazione, così definita dalla Convenzione delle nazioni unite per la lotta alla siccità e alla desertificazione: «degrado delle terre nelle zone aride, semi-aride e sub-umide secche a causa di diversi fattori, tra i quali le variazioni climatiche e l’attività umana». Il fenomeno è in aumento e causa molte ondate migratorie. Senza dimenticare la pressione sull’ambiente esercitata dall’uomo nello svolgimento delle sue attività industriali per rispondere ad una serie di domande che giungono da paesi in fase di crescita economica e con costante aumento della popolazione. Altra forma d’inquinamento è quello radioattivo i cui problemi sono in particolar modo dovuti oltre che allo smaltimento delle scorie prodotte dalle centrali nucleari, anche ai lasciti della proliferazione nucleare a scopi militari della Guerra fredda. E, a proposito di scorie, argomento di grande attualità è quello della costruzione o meno sul nostro territorio di centrali nucleari. In Italia spesso si dimentica che ben quattro centrali sono state chiuse e che a distanza di anni non si è trovata soluzione allo smaltimento delle scorie prodotte. Riportiamo, sull’argomento, un passo del testo in cui l’autore riprende la prefazione di Giorgio Nebbia al libro di Virginio Bettini dal titolo Scorie. L’irrisolto nucleare Edizioni Utet, 2006: «Si fa presto a dire diecimila anni (che comunque è meno della metà del periodo in cui la radioattività del plutonio-239, uno dei prodotti che si formano per attivazione nei reattori nucleari, il più pericoloso per la vita, perde metà della sua radioattività), ma in quale maniera sarà possibile avvertire coloro che vivranno fra diecimila anni accanto a un deposito di scorie nucleari, che devono continuare a vigilare attentamente perché il materiale depositato non sia esposto a infiltrazioni di acqua e non venga a contatto con forme viventi? [...] Se dovessimo mettere un avviso all’ingresso dei depositi di scorie – Attenzione: non avvicinatevi – , in quale lingua dovremmo scrivere il messaggio? Con quali segni? Chi tramanderà la leggibilità di tale messaggio?»

 

Uno sviluppo sostenibile, è possibile?

Le varie conferenze, dibattiti, forum, non ultimo quello tenutosi a Roma, organizzato dalla Fao, mostrano di avere il fiato corto e di non riuscire ad incidere verso un cambiamento diretto ad uno sviluppo più consapevole e sostenibile. È giusto, a nostro avviso, che Biafore si soffermi, sul finale del libro, non solo su questo concetto ma sull’enorme e devastante problema della fame e della sete del mondo, combattuta in pratica solo a proclami e promesse, la cui lotta fallisce sistematicamente tutti gli obiettivi che si prefigge. Percorrere una strada di sviluppo sostenibile significa partire da un nuovo utilizzo massiccio dell’energie rinnovabili e quindi: solare, eolica, ricavata dalle biomasse, idrogeno. Queste sono le fonti rinnovabili più conosciute, poi ci sono anche energie ancora poco esplorate: l’energia geotermica, con lo sfruttamento del calore imprigionato nelle viscere della terra. In Islanda, ad esempio, la capitale Reykjavik copre, con il proprio impianto di energia geotermica, il 99% del suo fabbisogno di energia per riscaldamento ad usi civili ed industriali. Altra fonte ipotizzabile, ma poco conosciuta, è l’energia del mare, ottenibile con lo sfruttamento delle correnti marine, delle maree e del gradiente termico. Potrebbe essere proprio il mare, utilizzato oggi come grande discarica dei reflui di tutte le lavorazioni, a fornire un aiuto per il futuro della produzione di energia. Sognare una sostenibilità oggi impensabile non è vietato.

 

Andrea Vulpitta

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno III, n. 17, gennaio 2009)

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