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A. XVII, n.185, gen-feb 2023
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Home Page (a cura di La Redazione) . A. XVII, n.185, gen-feb 2023

Una regione tetra ma passata:
gli anni delle stragi in Calabria

di Pantaleone Sergi
Di prossima uscita il saggio di Milito
prefato da Pantaleone Sergi


È ormai imminente l’uscita de La Calabria negli anni delle stragi. Dai “Manifesti cinesi” ai patti con la ’ndrangheta, dalla Rivolta di Reggio alla strage di Gioia Tauro, dall’assassinio dei cinque anarchici al Golpe Borghese per Pellegrini editore, a opera di Alessandro Milito, giornalista e avvocato. Di questo saggio, che fa parte della nostra “Scuderia letteraria”, avevamo presentato già l’Introduzione da lui curata, sul ruolo della Calabria all’interno di quel segmento della Storia italiana (cfr. www.bottegaeditoriale.it/primopiano.asp?id=253 ). Ora pubblichiamo, in anteprima, la Prefazione a firma del giornalista, storico e scrittore Pantaleone Sergi.

Diciamolo sinceramente. Quanti, anche tra coloro che come me in quei fatti sono vissuti anche per motivi professionali, hanno avuto conoscenza piena e particolareggiata della sentenza-ordinanza del 1995 del giudice istruttore Guido Salvini sulla strage di Piazza Fontana e soprattutto delle connessioni che si possono in essa rinvenire in una sorta di stragismo diffuso frutto di un progetto unico dell’eversione nera? E soprattutto, quanti pur operando in Calabria ma fuori dalla cerchia dei magistrati che si sono occupati e si occupano di vicende parallele, sapevano del ruolo sorprendentemente attivo che la regione – per meglio dire i suoi ambienti fascisti e criminali reggini che operavano in armonia d’intenti – ebbe nello stragismo che devastò l’Italia per lunghi anni? Lascio sospeso l’interrogativo ma aggiungo che cercando tra le mie carte – anche se qui vado a mente – troverei tanti articoli con fatti e vicende di quel periodo tormentato richiamati in questo volume di Alessandro Milito; essi non formerebbero tuttavia un corpus unico di analisi come ovviamente fa la sentenza-ordinanza del magistrato milanese. Per riprendere un’acuta osservazione dell’autore di queste pagine sul compito e sul metodo di lavoro degli storici e dei magistrati inquirenti, che rimanda a Marc Bloch e alla sua Apologia della storia o Mestiere di storico, a mio parere Guido Salvini supera quella separatezza tra le due professioni che pure hanno molti punti di contatto. Per spiegarmi meglio ritengo che la ricostruzione giudiziaria fatta dal magistrato inquirente sia già di per sé storia di quegli anni, quelli sì davvero allarmanti: collega i fatti che, non più letti isolatamente, messi assieme come fili che si legano uno con l’altro, danno un quadro armonico degli eventi tragici – e dei loro protagonisti – che segnarono la storia dell’Italia negli anni della cosiddetta strategia della tensione. Per cui va detto subito che la preoccupazione espressa in conclusione dall’autore sull’utilità di questo suo lavoro non ha proprio ragione d’essere: è una analisi significativa, chiara e ordinata nell’esposizione e senza alcun dubbio contribuisce a «far rivivere l’interesse per quelle pagine, quegli eventi, quelle persone. Affinché nulla sfugga o si disperda nel mare dell’indifferenza e della memoria superficiale». Questo volume di Milito, infatti, è utile alla storia e, purtroppo, alla cronaca giudiziaria sempre attuale e viva come dimostrano alcuni processi a Reggio Calabria. Vediamo di capire come. Con una capacità di sintesi ed espositiva ammirevole, l’autore riprende, mette in ordine, legge (e spiega) le parti della sentenza-ordinanza di Salvini che riguardano in particolare la Calabria e il ruolo avuto dalla cellula reggina di Avanguardia Nazionale e dalla ’ndrangheta in quegli anni carichi «di storia e di avvenimenti che hanno segnato nel profondo la nostra tormentata Repubblica». E già questo è rilevante non solo perché rischiara con un fascio di luce più potente e nitido il nefasto contributo calabro-reggino allo stragismo nazionale e all’eversione nera, ma mette a disposizione degli storici – che avrebbero dovuto ricercarla autonomamente – quella «tavola di valori» costituita da materiali e analisi su cui soffermarsi per ricostruire non solo la storia del Paese ma anche segmenti di storia apparentemente marginale e periferica, quella calabrese, inserendoli in un contesto più generale di anni oscuri, gli anni delle stragi e della “strategia della tensione”, come ricorda Milito. Piazza Fontana, il Golpe Borghese, la rivolta per il capoluogo di Reggio Calabria, una “pilotata” sommossa popolare anticipatrice di un disegno eversivo e golpista sfumato a cui la ’ndrangheta calabrese, in contatto con i movimenti di destra, aveva assicurato il proprio concreto contributo, mettendo a disposizione un piccolo esercito mercenario, una milizia nera legata al Fronte nazionale del principe Junio Valerio Borghese. E ancora la strage del treno fatto deragliare per un attentato a Gioia Tauro con l’epilogo drammatico dell’incidente in cui persero la vita cinque giovani anarchici che ne avevano scoperto la matrice fascio-mafiosa. A cavallo degli anni Sessanta-Settanta e oltre, insomma, Reggio era diventata la piccola capitale del neofascismo italiano e commandos neofascisti reggini, guidati da capi dei “Boia chi molla”, sono stati utilizzati dalle centrali della provocazione in diverse manifestazioni in tutta Italia (basta qui ricordare, ad esempio, la loro presenza allo sciopero contro il fascismo a Milano nell’aprile 1975, quando, arrivati nella notte, s’infiltrarono nel corteo e si resero promotori di violenze allo scopo di acuire la “strategia delle tensione”). In queste pagine riaffiorano dalle nebbie del passato figure come quelle di Franco Freda, di Paolo Romeo, dei De Stefano, casato ’ndranghetista di prim’ordine, di Ciccio Franco, di Giacomo Ubaldo Lauro, tra i primi pentiti di un certo calibro di ’ndrangheta, i quali in quelle storie ebbero parte con ruoli diversi. Come l’ebbero anche Carmine Dominici, rancorosa ma preziosa voce dall’interno dell’eversione neofascista reggina, e soprattutto Felice Genoese Zerbi che con Dominici, a metà degli anni Sessanta, operò in posizione apicale, riciclandosi poi in politica e diventando così, per i suoi stessi sodali, “colpevole” di avere mandato allo sbaraglio la “meglio gioventù”. Con le sue rivelazioni, Dominici consegnò al magistrato milanese Salvini e alla storia elementi di particolare significato, chiavi utili e necessarie per comprendere un progetto eversivo di vasto respiro e metterne a posto i vari tasselli, «collegando fili, protagonisti e interpreti di quegli anni che a lungo erano rimasti slegati e senza voce alcuna», come spiega Milito. Chiarì fatti già affiorati in una pubblicistica di tipo giornalistico. Parlò di quel mix di forze potenti che lavorarono sinergicamente per disarticolare la democrazia e destabilizzare il paese: del filo nero esistente tra Reggio, Roma e Stefano Delle Chiaie, delle logge massoniche deviate, della destra eversiva e della ’ndrangheta. Salvini si avvalse della testimonianza di Dominici perché gli consentì di mettere a fuoco il ruolo della struttura eversiva di Avanguardia nazionale in Calabria e i suoi collegamenti con la capitale. Un bel po’ di cose, dunque, colpiscono e alcune sono da evidenziare dopo aver letto questo libro di Milito. Esse riguardano l’attività della magistratura reggina che alla ricognizione giuridico-storica del giudice Salvini deve qualcosa, in quanto aiuta a chiarire la centralità del ruolo delle cosche reggine in tante vicende oscure, riguardanti la Calabria e il Paese. Nel processo “’ndrangheta stragista”, al 2022 in appello a Reggio Calabria, per esempio, si parla sia del Golpe Borghese che di Franco Freda e della sua latitanza favorita da Paolo Romeo, e dei De Stefano che tubavano con l’eversione nera. Se ne parla facendo riferimento agli stessi dati della sentenza-ordinanza di Salvini. Romeo avrebbe non solo aiutato la latitanza di Freda ma avrebbe anche introdotto – o dovuto introdurre – Junio Valerio Borghese a una serie di persone nere “vicine”, inclusi i potenti De Stefano. Ne parla in particolare Filippo Barreca, collaboratore di giustizia. E ovviamente ne parlò anche Giacomo Ubaldo Lauro che fu il primo pentito di ’ndrangheta a raccontare del progetto della destra eversiva e del ruolo dei De Stefano come poi documentato da Salvini. “’ndrangheta stragista”, infatti, si basa quasi esclusivamente sulla ricostruzione storica di ciò che hanno raccontato i collaboratori, e soprattutto di quel periodo della fine degli anni Settanta in cui tramite delle trasformazioni interne della ’ndrangheta cittadina nella “Santa” voluta dai clan tirrenici, primi fra tutti i Piromalli, e i loro alleati De Stefano, si creò a Reggio Calabria una mafia diversa, meno rurale, più imprenditoriale, usando simboli massonici come collante tra professioni, politica e mafia. Da “’ndrangheta stragista” e anche dal processo “Gotha”, nel 2022 a processo a Reggio Calabria, si ricava come il disegno della destra eversiva è tra le ragioni principali per cui nasce la “Santa” e per cui nella “Santa” confluisce una simil-loggia massonica coperta-segreta a scopo politico-eversivo appunto. Di queste logge deviate si è scritto spesso anche a sproposito. L’appartenenza di alcuni soggetti, un tempo incardinati in alcune obbedienze locali e in seguito organizzatisi per ulteriori propositi, inclusi quelli eversivi, non ha reso queste loro aggregazioni – per quel che si conosce – logge coperte, se per loggia si intende una formazione di stampo, riti, e intenti massonici. Si tratta di una serie di associazioni a delinquere, semmai, ritualizzatesi, a scopo eversivo come ritiene qualche criminologo e come fa intuire la sentenza Salvini. La ricostruzione “del passato” di “’ndrangheta stragista” si basa sull’ammissione di un errore storico che riguarda la banalizzazione della ’ndrangheta reggina sia come mafia che come forza politica capace di manipolare “eserciti” armati prima – come accadde nel tentato Golpe Borghese – e di sovvenzionare idee rivoltose poi (vedi moti di Reggio Calabria). Partendo da questo errore storico se ne sarebbe poi fatto un altro, venti anni dopo, negli anni Novanta, cioè l’errore di presumere che il periodo delle stragi di Cosa nostra fossero soltanto di interesse della mafia siciliana e che solo quest’ultima potesse avere forza e uomini per fare le stragi. Cosa smentita dai fatti. Analiticamente questo errore deriva anche da un’errata collocazione delle mafie come poteri conservatori, che seppure storicamente vero per alcune mafie, e soprattutto in alcuni periodi storici, non è una categoria deterministica, laddove è ormai storia che la ’ndrangheta è stata serva del potere quando il potere era servo della ’ndrangheta e rivoltosa quando non lo era. La ragione del ritardo anche giuridico di questi fenomeni sta anche nell’impossibilità della legge di riconoscere le fattispecie di reato di quegli anni: la legge Anselmi modellata sulla P2 non consentiva e non consente di indagare sulle società segrete che si presentino diverse dalla P2. Le leggi antimafia, d’altro canto, guardano alla mafia come centro propulsore della devianza e non sempre riescono ad ammettere che centri propulsori siano più di uno – la mafia, la politica, le professioni – come nei casi di Reggio Calabria anni Settanta e anni Novanta. A ogni modo in ognuno dei grandi processi di mafia nella città di Reggio Calabria, da “Olimpia” a fine anni Novanta, a “Meta” nel 2014, a “Gotha” e a “’ndrangheta stragista” ancora in corso, si ripercorre sempre, anche col supporto di quella sentenza-ordinanza di Salvini che permette di leggere storicamente gli eventi, tutta la storia della nascita della “Santa”, e dei legami con destra e politica eversiva dagli anni Settanta in poi, proprio per ricostruire come nascono certe personalità cittadine, da De Stefano a Paolo Romeo, cosa li lega nel comune passato eversivo e cosa ha costituito l’humus originario e la reputazione della ’ndrangheta della città. Riprendere e riproporre la sentenza-ordinanza del giudice Salvini nelle parti che riguardano specificamente la Calabria, come fa questo volume di Alessandro Milito, consente insomma, come spiega lo stesso autore, di avere una «panoramica dei fatti, storici e giuridici, che esse raccontano». E non è davvero cosa di poco conto.

Pantaleone Sergi

(www.bottegascriptamanent.it, anno XVII, n. 185, gennaio-febbraio 2023)

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