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ANNO I, n° 0 - Agosto 2007
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Editoria varia (a cura di Anna Guglielmi) . ANNO I, n° 0 - Agosto 2007

Zoom immagine I Bac: una fonte culturale, artistica ed economica
di Alessandra Morelli
Un interessante volume della Rubbettino analizza l’enorme importanza
e diffusione della disciplina che valorizza il patrimonio culturale


In Italia, grazie all’imponente rilevanza del patrimonio artistico e culturale, l’economia dei Bac (beni artistici e culturali) è una disciplina ormai studiata e insegnata in diverse università. Bisogna però sottolineare che, se materie quali l’editoria, le arti figurative, la musica, il teatro favoriscono e incitano lo studio degli economisti, poiché il pubblico operatore è sempre affiancato dal ruolo che il mercato e, più nello specifico, le imprese vanno a rivestire in questi settori, diversa è invece l’attenzione che l’economia focalizza sui beni inerenti ai settori archeologico, storico, architettonico, librario e alle istituzioni come i musei e le biblioteche. Differente in quanto risulta più difficile sia creare un collegamento tra la teoria economica, le istituzioni, le tecniche operative e il ruolo del mercato che occuparsi al contempo dei beni e dei servizi culturali pubblici, semipubblici e privati.

Francesco Forte – professore di Scienza delle finanze all’Università di Roma “La Sapienza” – e Michela Mantovani – docente di Economia dei beni culturali presso l’Università di Foggia – hanno analizzato e argomentato tali questioni nel Manuale di Economia e Politica dei Beni Culturali (Rubbettino, pp. 858, € 35,00).

Nell’Introduzione Forte, nello spiegare il motivo di una ricerca così lunga e ben dettagliata (il volume è composto da ben cinque sezioni), attinge dalla letteratura e dalla filosofia ispirandosi a Dante, a Goethe e a uno dei paradigmi socratici, quello del giocatore di lippa. Egli afferma che i beni culturali differiscono da quelli non di mercato, di quasi mercato o di mercato perché sono beni dell’informazione intrinsecamente meritori e quindi, dovrebbero essere tutelati e valorizzati non solo per un pubblico interesse, ma anche perché sono legati a un vantaggio dell’individuo più intimo e personale. Ovvero la sete di conoscenza.

Quella stessa «fiamma antica» del sapere che spingeva Ulisse a continuare instancabilmente il suo viaggio, trasportata in ambito economico, è paragonabile a un’utilità marginale crescente a discapito di quella decrescente che domina invece i bisogni materiali, i quali una volta ottenuti, sedano l’iniziale insoddisfazione dell’uomo.

 

Il paradigma socratico e l’utilità marginale crescente

Allo stesso modo Socrate nella sua interminabile ricerca della conoscenza, sebbene in apparenza sempre insoddisfatto, presenta un’utilità marginale ogni giorno sempre più in salita proprio perché acquisisce quotidianamente nuove nozioni e concetti, a differenza del giocatore di lippa il quale, una volta apprese le regole e le modalità del gioco, avrà un’utilità marginale decrescente poiché, dopo essere giunto a un certo livello, la sua azione non potrà che diventare ripetitiva.

Tale paradigma è applicabile ai beni meritori in quanto sia dal punto di vista dell’amatore dell’arte (la domanda) che da quello del mecenate (l’offerta) questi daranno vita a un’utilità marginale crescente: difatti il primo, fruendo di tali beni, non potrà far altro che accrescere la propria sensibilità artistica; il secondo, grazie a ingaggi in ambito artistico, vedrà crescere la sua voglia di ricerca e creazione.

È pur vero e non bisogna certo dimenticare che il finanziatore di tali beni, pubblico o privato che sia, si assume un rischio piuttosto elevato e che il recupero di questo tipo di opere comporta un onere economico presente che potrà protrarsi nel futuro. Trattandosi di opere che se non conservate e restaurate debitamente possono subire un degrado e un danno irreversibile, l’impegno assunto in un determinato momento “dovrebbe” essere rispettato (essendo questi lavori spesso molto lunghi) e portato avanti dalle persone che verranno dopo e che, a lavorazione ultimata, potranno godere del beneficio dell’opera stessa. Bisogna anche tenere conto del fatto che alcuni reperti del patrimonio artistico, una volta rinvenuti, possono essere restaurati pagando una certa cifra mentre altri, se lasciati a deperire, non possono più essere riportati quando lo si desidera allo status quo ante.

Oltre alla sete di conoscenza sempre maggiore, cui l’uomo ambisce, vi è anche un dovere di conservazione dei beni artistici, poiché questi rappresentano un mezzo attraverso il quale si può ricostruire la nostra storia culturale. Per riuscire in tale impresa, secondo il professor Forte, come il personaggio goethiano Guglielmo Meister abbandona l’attività di commerciante per dedicare la sua vita al teatro con l’obiettivo di ricreare il mito teatrale, cercando di trasfigurare la realtà delle rappresentazioni, così l’economista deve provare a sviluppare la sua abilità nel creare il mito dei beni culturali. In tal modo, anche se dovrà fare i conti con delle limitazioni, con concetti come diritti di proprietà, beni quasi pubblici o quasi privati ecc., attirerà l’interesse dei finanziatori, degli sponsor e del pubblico e trasformerà una realtà morta in una viva.

 

 Il valore economico dei beni artistici e culturali

Il patrimonio italiano artistico e culturale è una risorsa importantissima in quanto rappresenta un fattore produttivo che genera effetti di marketing, soprattutto nell’ambito del turismo e delle industrie. Ragion per cui un suo studio economico si rivela necessario se non indispensabile.

Innanzitutto il valore artistico, quello culturale e infine quello economico dei beni sono collegati, poiché il loro valore di mercato è dato dal fatto che possiedono un quid artistico e culturale intrinseco; non salvaguardarli sarebbe quindi una mossa poco sensata non solo da un punto di vista (soprattutto) culturale ma anche affaristico. Eppure il mercato, anche quando libero e ben informato, non può tuttavia determinare il valore economico globale per la collettività perché – in quanto parte del patrimonio immateriale dell’umanità – una fetta di questo non può essere messo in vendita.

L’economista tramite il suo studio prende atto dei giudizi estetici e culturali, ovvero spiega ciò che si sceglie e che avviene attraverso l’analisi dei comportamenti economici collettivi e individuali e, assumendo le preferenze come un dato, cerca poi di individuare con quali scelte democratiche si possono soddisfare i bisogni individuali e collettivi sia nella produzione che nel consumo.

 

Classificazione dei Bac, plusvalore e minus valore

I Bac si possono classificare in beni artistici e altri beni culturali e, dal punto di vista dell’economia, possono essere trattati come “beni dell’informazione” e possono essere materiali (mobili e immobili) e immateriali.

Essi includono un messaggio “estetico” o “artistico” che mai si riferisce solo al “bello” in sé dell’opera, ma consiste in un messaggio immateriale che – in quanto derivante dall’intuizione creativa e dalla percezione dell’uomo – definiremo “extra utilitario”, proprio perché la sua funzione non è riconducibile a utilità pratiche. Accanto ai Bac esistono le attività artistiche e culturali, ovvero quelle che consistono nella produzione dei Bac e nell’erogazione dei servizi che da essi stessi derivano.

L’economia non ha però di per sé competenze nella definizione dei beni e delle attività artistico e culturali, infatti sono le scelte e i giudizi, sia del mercato che collettivi, a definirli tali. In particolare sono quattro le classificazioni cui si fa riferimento: la definizione economica generale dei beni e delle attività artistiche e culturali tratte dai mercati; la definizione della legge italiana, quella della legge europea e quella dei beni e delle attività artistiche e culturali delle Nazioni Unite e di altri organismi internazionali per la loro tutela e promozione a livello mondiale.

Le ultime tre in particolare esplicano quali sono i connotati dei Bac – in quanto dotati di interesse pubblico – che danno luogo a vincoli e benefici pubblici. Ad esempio, per la normativa italiana, sono soggette a vincolo le cose di proprietà privata immobili e mobili di interesse “artistico, storico, archeologico ed etnografico” e si considera, per la tutela di questi beni, come di pubblico interesse la soglia di anzianità e se l’autore è vivente o meno.

La normativa europea regolamenta la circolazione internazionale dei Bac giudicati di interesse pubblico europeo, tutelando soprattutto quelli il cui valore economico superi una certa soglia. Infine, per quanto riguarda la legislazione internazionale di portata mondiale, si fa riferimento alla Convenzione di Parigi del 1970 che, ovviamente solo per quegli stati che l’hanno ratificata, ha l’obiettivo di impedire l’esportazione e l’importazione illecita di beni culturali e consentirne il recupero. Il trattato definisce beni culturali mobili quelli che, “a titolo religioso o profano sono designati da ciascuno stato come importanti per l’archeologia, la preistoria, la storia, la letteratura, l’arte e la scienza”, sono appartenenti alle categorie della convenzione stessa. Per i beni culturali immobili si fa riferimento a quelli che hanno un valore universale eccezionale dal punto di vista sia della storia che delle scienze.

Il riconoscimento di un bene artistico come tale è importante anche per la determinazione del suo valore economico: ad esempio, poiché tale bene comporta un’intuizione estetica che darà vita alla creazione dell’opera d’arte, il suo plusvalore potrebbe essere molto più elevato rispetto agli input dei fattori produttivi impiegati per realizzarlo; o il plusvalore artistico potrebbe non generare un plusvalore in termini economici bensì dal punto di vista della reputazione dell’artista, il quale avrà in questo caso un compenso di tipo morale molto gratificante. Allo stesso tempo però se l’opera non sarà buona si avrà un “minus valore”. Quindi, possiamo concludere dicendo che la legge del valore dell’offerta non è quella normale guidata dal massimo profitto, mentre è la domanda ad avere una particolare rilevanza nel determinare il valore economico. Difatti, il messaggio artistico e culturale genera un plusvalore che non è correlato al costo di produzione poiché, riguardo ai beni di informazione immateriali, ciò che conta è la rarità relativa in relazione alla domanda.

 

Alessandra Morelli

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno I, n. 1, Agosto 2007)

 

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