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Direttore responsabile: Fulvio Mazza
A. XII, n 126, marzo 2018
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Problemi e riflessioni (a cura di La Redazione) . A. XII, n 126, marzo 2018

L’infibulazione: le origini
e le assurde motivazioni

di Fulvio Mazza
Un’intervista al ginecologo Abdulcadir Giama
sul dramma delle mutilazioni genitali femminili


La terribile pratica dell’infibulazione è ancora oggi realtà per tante bambine. L’intervista che vi proponiamo di seguito, realizzata dal nostro direttore Fulvio Mazza insieme al ginecologo italo-somalo Abdulcadir Giama, ne ripercorre la storia tra motivazioni e conseguenze.

La redazione

La mutilazione genitale è un fatto religioso o culturale? Se culturale, quali etnie la praticano maggiormente e quali sono le zone più coinvolte?

La pratica della mutilazione dei genitali femminili non è un fatto religioso; si tratta, invece, di una pratica “tradizionale” che mira al controllo esclusivo della sessualità della donna, razionalizzata e mistificata, ricorrendo a una serie di motivazioni pseudo-religiose.
In Africa, ai riti sessuali e alle cerimonie che accompagnano la nascita di un bambino o di una bambina, seguono i riti di passaggio dall’infanzia all’adolescenza, che permettono di entrare, a pieno titolo, a far parte del clan.

C’è un rapporto fra la pratica dell’infibulazione e il livello culturale delle persone?

Questa pratica non dipende dal livello di educazione, bensì dalla convinzione della legittimità di un rito radicato nel proprio clan.
Merita di essere ricordato come Jomo Kenyatta, riconosciuto quale massimo patriota ed eroe nazionale, pur avendo ricevuto un’educazione occidentale non si sia staccato dalle concezioni tradizionali del proprio gruppo etnico. Iniziato ai “riti della foresta”, ha studiato dapprima in una scuola missionaria presbiteriana di Nairobi, poi si è laureato in Scienze politiche e antropologia presso la London school of economics. Ha frequentato varie università europee, tra cui quella di Mosca.
In contraddizione con i principi scientifici dell’educazione occidentale, emerge dai suoi scritti la profonda simpatia verso le concezioni magico-ritualistiche del suo popolo, nonché per la nota pratica della clitoridectomia.
Il rito di passaggio dall’infanzia all’adolescenza prevede che gli individui di entrambi i sessi si sottopongano a un’operazione che consiste nella circoncisione per i maschi e nella clitoridectomia, unitamente all’ablazione di altre componenti genitali, per le femmine.
Le suddette operazioni, denominate Irua dal gruppo etnico Kikuyu, sono imbevute di un significato “sostanziale”. Jomo Kenyatta, eroe nazionale e primo presidente del Kenya indipendente, ha sostenuto esplicitamente che: «L’abolizione dell’Irua distruggerebbe la simbologia che permette di identificare le classi di età e impedirebbe ai Kikuyu di perpetuare lo spirito di collettivismo e di solidarietà nazionale che sono stati in grado di mantenere da tempi immemorabili».

Perché vengono praticate le mutilazioni?

I motivi alla base delle operazioni di circoncisione e di clitoridectomia sono vari e differiscono a seconda dei gruppi, in base alle rispettive origini storiche e al livello d’influenza che i dettami faraonici, semitici e islamici hanno esercitato su ciascuno di essi.
Tuttavia, è possibile riscontrare un denominatore comune: l’obiettivo, delle operazioni e dei riti che le accompagnano, è quello di provocare un vero e proprio trauma psichico che marchi “a fuoco” il passaggio dall’infanzia allo stadio successivo di “maggiore maturità”.
Ed è appunto attraverso l’escissione parziale degli organi sessuali che il marchio viene impresso in modo indelebile.
Com’è noto, gran parte delle società africane ritiene che i bambini (di ambedue i sessi) presentino caratteristiche ermafrodite: rimovendo nei maschietti il prepuzio (considerato femminile) essi assumono le sembianze dei veri uomini; eliminando il clitoride, considerato un piccolo pene, e quindi prerogativa del genere maschile, si conferisce una completezza femminile alla donna.
Per quel che riguarda quest’ultima, bisogna aggiungere il desiderio di porre un freno alla sua libidine.
A questo proposito, i vari gruppi fanno ricorso a una vera e propria cintura di castità, ottenuta durante l’infibulazione con l’asportazione totale del clitoride e dei lembi delle labbra che, aderendo, si cicatrizzano sigillando l’organo sessuale, nel quale resta schiuso solo un piccolo foro per consentire l’uscita dell’urina e del flusso mestruale. In questo modo l’uomo è certo della castità della donna, oltre ad avere il piacere sadico della deflorazione, dimostrando così le sue doti virili.

Per quale motivo le mamme che hanno subito l’infibulazione decidono di far patire lo stesso dolore alle figlie?

Questa domanda mi viene posta spesso, e ancor più spesso le persone la pongono a se stesse.
A rigor di logica, non c’è un motivo razionale che possa giustificare questo comportamento sado-masochista. Far patire a tua figlia, piccola e innocente, le atroci sofferenze che tu stessa hai subito, e delle quali porti ancora le cicatrici addosso, vuol dire condannarla a un’esistenza infelice e dolorosa come la tua! Ma una bambina non infibulata non è pura, né sarebbe da grande una donna fedele; di conseguenza non verrebbe accettata della società e sarebbe costretta, per essere accolta, ad adempiere il rito di iniziazione alla purezza.
Una madre si trova di fronte a un bivio: la scelta è difficile e amara, ma per non essere ripudiate dalla società bisogna accettare le regole del proprio boia.

A quale età le bambine vengono infibulate? L’età cambia a seconda delle zone in cui viene praticata la mutilazione?

Credo che l’età delle vittime cambi a seconda della regione o comunità dove viene eseguito l’intervento. In alcune aree del Kenya una ragazza viene infibulata dopo che l’uomo al quale è destinata in moglie si è accertato che possa avere figli, quindi in età avanzata. In Somalia, invece, si pratica l’infibulazione alle bambine tra i 5 e i 12 anni.

In qualche caso si parla di festeggiamento… come si riesce a conciliare il festeggiamento con il dolore e con il dramma vissuti dalla bambina? È così in tutte le zone?

Il rituale di iniziazione sociale della bambina si festeggia al momento dell’intervento. Si proclama il sua essere donna o femmina, ma la piccola è ancora ignara della tragica e triste vita che l’aspetta. Come tutte le ragazzine del mondo, anch’ella sognerà di diventare una donna, di innamorarsi di un bel principe azzurro e di avere tanti figli con lui.
Ahimè, tutti questi sogni si trasformeranno in momenti dolorosi e sfavorevolmente indelebili.

Qual è la percentuale di bambine infibulate nelle zone interessate?

Per quanto riguarda la Somalia, secondo una ricerca epidemiologica di 5 anni fa, su una popolazione di 1.300 persone, di cui 1.000 ragazze della scuola secondaria, 200 donne tra i 20 e i 35 anni e 100 ragazzi di scuola superiore; il 99% delle ragazze era stato infibulato e il 98% delle stesse aveva subito la forma più devastante di mutilazione, cioè la faraonica; all’1% era stata praticata la sunna e l’1% risultava non infibulato.

Negli ultimi anni, la pratica dell’infibulazione sta aumentando o diminuendo? Nell’uno o nell’altro caso, dove sta aumentando o diminuendo?

In questi ultimi anni, credo che ci sia stata una diminuzione della pratica dell’infibulazione.
Grazie alle intense attività di sensibilizzazione, messe in atto dalle comunità internazionali, è diminuita, in particolare, la pratica della forma più mutilante, vale a dire la faraonica.

Qual è la posizione dell’Islam rispetto all’infibulazione?

Nel Corano l’infibulazione è disapprovata.
Il Profeta, nel momento in cui è stato interpellato su questa questione ha detto che Dio ha fatto la donna perfetta e non prevede che le sue creature siano tagliate, ma vista la resistenza di alcune parti della popolazione, ha cercato di limitare i danni scegliendo una forma meno mutilante.

Nella società occidentale moderna si pensa che l’infibulazione sia una pratica presente soltanto nelle società di cultura islamica.

Niente di più inesatto, perché questa crudele operazione veniva praticata fin dagli albori della civiltà, molti secoli prima della comparsa sulla scena della Storia della religione islamica.
Gli storici raccontano che anche nella Roma antica veniva praticata la “infibulazione” chiudendo l’apertura vaginale con una spilla (fibula) alle mogli dei soldati che partivano per le campagne militari dell’Impero allo scopo di impedirne l’adulterio durante la loro assenza.
Al medesimo trattamento venivano sottoposte le schiave per evitare che restassero incinte rendendo meno sul lavoro.
Al contrario ci sono vaste zone del mondo islamico, come la Turchia e l’Iran, ove l’infibulazione è assai poco praticata.
L’infibulazione praticata clandestinamente nei paesi occidentali (come Italia, Francia, etc), quanto incide sulla determinazione della percentuale di bambine infibulate nel mondo? Sono più o meno della metà dei casi?

Non ho dati precisi sulla pratica dell’infibulazione in Europa, e in particolare nei paesi che ospitano un gran numero di immigrati originari delle zone sopramenzionate. Di sicuro, però, le mutilazioni sono diminuite da quando è stata promulgata una legge che proibisce tutte le forme di asportazione dei genitali femminili.

Ai tempi del dominio coloniale dell’Italia sulla Somalia, della Francia sull’Algeria, e così via, l’infibulazione veniva praticata di meno? In altri termini, i colonialisti occidentali chiudevano un occhio lasciando che l’infibulazione fosse messa in atto o cercavano di intervenire per reprimerne la diffusione?

Non ho dati certi riferibili all’infibulazione in Somalia durante il dominio italiano, ma credo che le amministrazioni coloniali dell’epoca non si siano mai interessate a questi fenomeni sociali degli indigeni.
In Kenya, la pratica dell’infibulazione è stata violentemente attaccata da molti organismi europei tra cui i missionari, i governi, le organizzazioni mediche e quelle scolastiche.
Nel 1929, dopo vari tentativi di arginare le mutilazioni dei genitali, la missione in Kenya della Chiesa scozzese stabilì finalmente che tutti i fedeli dovevano impegnarsi affinché le loro ragazze frequentassero la scuola e non fossero più sottoposte alla clitoridectomia.
Ci fu grande discordia tra i fautori della missione e la tribù dei Kikuyu: venne deciso che le figlie di coloro che avevano inteso rinunciare all’infibulazione non potevano più frequentare la scuola.
Seguì un periodo di petizioni e rivolte verso il governo e le autorità della pubblica istruzione; le scuole rimasero deserte e vennero sfruttate come magazzini per il mais e le patate.
Alla fine fu raggiunto un accordo tra il governo e i partecipanti alle missioni: il divieto fu abolito ma ai missionari non bastava, per cui decisero che solo gli insegnanti contrari all’infibulazione potevano continuare a istruire; nella speranza che il loro atteggiamento favorevole potesse contribuire a una scelta definitiva contro l’infibulazione.
La suddetta decisione suscitò indignazione e molte bambine furono trasferite nelle scuole private non soggette all’influenza dei missionari.
Nel 1930, la questione fu portato davanti alla Camera dei comuni e venne nominata una commissione di parlamentari che alla fine stabilì che il problema doveva essere risolto con l’educazione e non con l’imposizione. I Kikuyu e i Somali hanno ricevuto un’educazione improntata verso la tradizione. Per il rapporto matrimoniale, il rito dell’iniziazione è di fondamentale importanza: nessun uomo appartenente a quelle comunità si sognerebbe di sposare una ragazza non infibulata. Se ciò accade, sia l’uomo che la donna devono affrontare la cerimonia della purificazione, la cosiddetta “Vomitare male azione”, altrimenti saranno ripudiati dalle proprie famiglie.
Alla luce di quanto esposto, è evidente che la clitoridectomia sia attaccata da una parte e difesa dall’ altra; per cui l’essenza di questo problema è antropologica, e sarebbe poco costruttivo considerare emotivamente la posizione di una fazione piuttosto che dell’altra senza comprendere le ragioni per le quali i Kikuyu intelligenti ed educati si mostrano ancora attaccati a questa tradizione, nonostante essa sia considerata dagli europei una pratica orribile e penosa, prerogativa esclusiva degli uomini barbari.

Fulvio Mazza

(bottegascriptamanent, anno XII, n. 126, marzo 2018)

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