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A. XI, n 119, agosto 2017
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Home Page (a cura di La Redazione) . A. XI, n 119, agosto 2017

Zoom immagine La crisi esistenziale dell’uomo
e la crisi politica dello stato

di Stefania Ciavattini
Da Città del Sole, il secondo volume della sapiente indagine storica
condotta da Gerardo Passannante delineando il declino dell’Impero


Il secondo volume dell’ampio romanzo storico di Gerardo Passannante, condivide, con gli altri già editi, la caratteristica di poter essere proposto a un ampio numero di lettori e non solo agli amanti del genere storico. Il profondo legame che sussiste tra i personaggi e il loro tempo rende infatti la lettura dell’opera, estremamente scorrevole, senza appesantimenti didattici e documentaristici. Ne Il declino degli dèi. Amore e Disamore (Città del Sole edizioni, pp. 216, € 14,00), l’alternanza tra gli eventi storici, l’approfondimento psicologico dei personaggi e il rimando alla complessa vita culturale del tempo, è talmente ben dosata da restituire leggerezza e più ampia fruibilità a una materia tutt’altro che semplice, legata ai problemi più profondi della natura umana.
L’accessibilità dei contenuti viene anche potenziata da un linguaggio chiaro e colto, capace sia di evocare l’antico quanto di irrompere nel presente senza alcun calo di stile e con una orecchiabilità resa possibile dalla profonda conoscenza degli scrittori latini.
Due i filoni principali del racconto: il primo riguarda la narrazione della campagna militare che Diocleziano condusse dal 289 d. C, per oltre tre anni col fine di controllare gli instabili confini dell’Impero; il secondo riguarda la moglie dell’imperatore Prisca e la figlia Valeria, seguite nella loro conversione al cristianesimo, ormai dilagante in tutto il territorio romano.
Su entrambi i filoni campeggia però il tema del titolo, quello dell’amore e della sua perdita, delle sue delizie e delle sue spine che, visto in modi diversi dai vari personaggi, è egualmente per tutti indispensabile.

Il viaggio di Diocleziano: la ricerca di un equilibrio perduto
Il racconto si apre con la partenza di Diocleziano da Nicodemia e termina con il suo rientro, oltre tre anni dopo. Il suo viaggio per consolidare i confini dell’Impero è insieme un viaggio interiore per ritrovare un equilibrio perduto dopo il confronto con Prisca che ha sancito la fine del loro amore.
L’imperatore avverte che si è incrinato quel senso di completezza che lo aveva sostenuto in passato e che ce lo aveva fatto conoscere, attraverso il racconto dell’autore, come uomo giusto ma anche tollerante, forte ma non violento, costante ma non ostinato.
Già la scelta di Galerio come prefetto durante la campagna militare ci fa capire la metamorfosi che si sta attuando in lui. Agli antipodi del suo predecessore, il saggio Aristobulo, la descrizione di Galerio è quella di un uomo ottuso, volgare, vendicativo che neppure le capacità belliche per le quali è stato scelto possono riabilitare agli occhi del lettore. Si direbbe che Diocleziano, sentendosi fragile e avvertendo la debolezza dell’Impero, cerchi nella forza di questo personaggio un sostegno per se stesso e per lo stato, secondo quella sovrapposizione dei due piani, personale e politico, tante volte rimproveratagli da Prisca.
Ben più poetico risulta il beneficio che l’imperatore trae dalla natura lussureggiante nelle terre attraversate. La primavera scoppia ovunque in tutta la sua vitalità mentre l’imperatore risale la Tracia diretto a Nord. E se i primi giorni le verdi colline e le riposanti pianure appaiono annebbiate dalla ferita del cuore, pian piano lo sbocciare della primavera lo sintonizza «sull’instancabile brusio delle stagioni in cui la vita urlava la sua urgenza di durare».

L’interesse per l’Altro
Gradualmente Diocleziano riesce a immergersi nel quotidiano e vediamo ancora una volta spiccare i suoi pregi di statista. Nel perlustrare i confini, l’imperatore si informa attraverso una guida di tutto ciò che riguarda i popoli indigeni – tradizione, storia, usi e costumi – ben sapendo che queste conoscenze sono fondamentali se non per la guerra, per stabilire, dopo la vittoria, una pace duratura.
Tra i molti racconti che non mancheranno di sorprendere il lettore è da segnalare quello di Decebalo, re dei Daci sconfitto da Traiano. Diocleziano non può fare a meno di ammirarlo benché nemico di Roma, per la sua ostinata resistenza. La guida informa che nella capitale dell’Impero, tra i bassorilievi della colonna traiana, è stata raffigurata la morte di Decebalo, accendendo nell’ascoltatore imperiale, riestio a recarsi a Roma, un qualche desiderio di vederla. Si comprende come l’interesse non sia solo culturale, ma intimo, quasi una ricerca di uomini simili a lui per stabilire, anche solo nel ricordo, una compagnia che dia scampo alla solitudine del potere.
È proprio sulla colonna traiana che Passannante ci dona una delle sue digressioni più belle: attraverso la sua descrizione, anche noi riusciamo a vedere quel Decebalo che muore schernendo il nemico e che, di fatto, mantiene nella scena, da vinto, una centralità negata al vincitore.

Prisca e Valeria diventano cristiane
Prima di riprendere il racconto del viaggio di Diocleziano, l’autore si ricollega all’altro filone, portandoci a Nicomedia dove, intanto, Prisca e Valeria hanno iniziato un percorso spirituale non meno impegnativo.
Anche Prisca, dopo il colloquio chiarificatore con Diocleziano sullo stato del loro amore, vive il contraccolpo di una perdita che, nel momento della sua ufficializzazione, diviene definitiva. Quell’amore nel momento della maturità, quando le menti erano saldamente unite e il dialogo scorreva con facilità tra loro, aveva dato senso alla sua vita. Proprio questo dolore aveva pesato, assai più delle singole mancanze che Prisca poteva rimproverare al marito, nel farle volgere altrove la ricerca di una giustificazione alla propria esistenza.
Sono pagine che il lettore troverà molto belle per l’intuizione profonda della psiche femminile che dimostra l’autore. Insieme al disamore per Diocleziano, anche lo sgomento per i primi segni di invecchiamento ha una parte importante nell’ansia dell’imperatrice di riscattarsi su un altro terreno.
Mentre per Prisca la conversione suggella l’allontanamento da Diocleziano, per Valeria l’adesione alla nuova fede consente di cristallizzare, e quindi trattenere, l’immagine di un amore non vissuto.
Altrettanto profonda è infatti l’analisi con cui l’autore ci avvicina al personaggio di Valeria nel suo ingenuo abbandonarsi al piacere promesso dalla fedeltà a un Cristo che appare “ereditare” quanto un tempo era stato di Aurelio, il tribuno del quale la giovane si era innamorata e al quale aveva dovuto rinunciare. La sublimazione tentata dalla giovane risulta tenerissima e l’autore ce la descrive nel suo incedere pieno di fervore verso la vasca battesimale, simile all’avanzare di una sposa verso il futuro coniuge.

Il ruolo di Doroteo e il battesimo
Umanissima anche la figura di Doroteo, che è stato pedagogo di Valeria e al quale lei e la madre si rivolgono per acquisire la conoscenza del cristianesimo. L’uomo, evirato da bambino per poter avere un futuro migliore, ha infatti trovato in questa religione la stella polare che ha orientato la sua vita. Individuare presto un proprio ideale – e qui Passannante ci dà nuovamente un saggio della sua mirabile conoscenza della natura umana – consente agli uomini di trovare una stabilità tra i flutti della vita, un approdo del tutto sconosciuto a chi, privo di vocazione profonda, è destinato a una continua irrequietezza.
Pur con le sue debolezze personali e con le sue parziali conoscenze dottrinali, che l’intelligente Prisca mette a dura prova, Doroteo, per l’acquisita forza interiore, riesce a essere un valido sostegno per le due donne, alle quali è legato da profondo affetto e riconoscenza. Non sfugge infatti al pedagogo imperiale la molla personale che ha indotto la ricerca di Valeria e Prisca e che lui sa di dover allentare, perché possano essere assaporati in pieno i doni della religione e perché venga scongiurato il pericolo di un successivo abbandono. È attraverso l’insegnamento di Doroteo che le parole del vangelo entrano pian piano nel lessico delle due donne, mentre a farle interiorizzare è la loro spontanea inclinazione e sensibilità.
La conversione di Prisca e Valeria dà all’autore l’occasione per illustrare il bel rito del battesimo, cogliendone sia gli aspetti scenografici di cui la chiesa si doterà sempre di più, sia quelli superstiziosi che resistono persino ai nostri tempi, come il rito dell’esorcismo. Alla fine di quest’ultima funzione i diavoli volano via con urla stridule, ma «oltre l’atrio e lontano dalla vista dei catecumeni», ironizza Passannante. Nella stessa chiave è da segnalare anche l’analisi del Limbo, di cui ora la stessa chiesa ha dichiarato l’inesistenza, consentendo la laica speranza che anche per il Paradiso e l’Inferno possa presto esser data una interpretazione più ragionevole.

Diocleziano verso i confini orientali: l’incontro con Luciano
Lasciati i Sarmati e gli Sciti, non senza aver raccolto anche su di loro informazioni riguardo agli usi e costumi, Diocleziano riparte questa volta verso Oriente. Tralascia di fermarsi a Nicomedia per non assecondare un desiderio che pure avverte.
L’esercito dunque prosegue e fa tappa ad Antiochia, importante città dell’Impero, situata sul fiume Oronte poco distante dai confini persiani. Dotata di un suo particolare fascino orientale, Antiochia era un centro culturale di primo piano; tra i residenti, numerosa era la rappresentanza cristiana che aveva molto contribuito al benessere economico della regione circostante.
Per questo l’imperatore, oltre ai maggiori funzionari civili, convoca anche il vescovo Luciano, il principale punto di riferimento della comunità religiosa. Più che sul colloquio con Luciano, del resto congedato in fretta e con quel senso di disappunto che spesso Diocleziano prova nei confronti degli esponenti del cristianesimo, è utile al lettore soffermarsi sul passo immediatamente precedente.
In esso Passannante ci aggiorna sullo stato del cristianesimo del III d. C., rendendo giustizia alle varie culture che vi confluiscono e che causano quelle numerose scissioni che per secoli accompagneranno la Chiesa. L’espansione della nuova religione, infatti, porta il suo nucleo centrale, uscito dall’alveo del pensiero giudaico, a contaminarsi con tradizioni culturali diverse, prevalentemente greche e romane, e a declinarsi localmente in forme dottrinali diverse. Quando a un primo coordinamento, nato proprio per assicurare il confronto, si sostituisce una struttura piramidale gerarchica che rivendica anche il controllo sugli altri, ecco che le diverse comunità entrano in conflitto. Ogni singolo vescovo si arroga il diritto di essere l’unico detentore di Verità rispetto agli altri vescovi suoi pari, con scontri anche violenti che ben presto creano all’interno della comunità religiosa a una situazione tutt’altro che “fraterna”.
Questa la situazione nel momento in cui Diocleziano incontra Luciano e percepisce il suo livore nei confronti del pur deposto Paolo di Samosata. È importante sottolineare che è proprio da questo momento che Diocleziano realizzerà con maggiore chiarezza che i cristiani costituiscono un reale pericolo. Sono proprio le rivalità di potere dei vertici ecclesiastici, camuffate da divergenze dottrinali, che possono condizionare un popolo illuso e influenzabile. Per questo Diocleziano ribadisce seccamente a Luciano il suo preminente interesse al mantenimento dell’ordine pubblico, dedicando un’attenzione assolutamente marginale ai cavilli dottrinali sulla natura divina o umana del Cristo, che il vescovo gli spaccia come reale problema da risolvere. L’attualità della riflessione sulle reali implicazioni delle cosiddette guerre di religione è sotto i nostri occhi e l’autore ne approfitta per farci conoscere il suo impegno come uomo e come scrittore.
In sintonia con il suo personaggio principale, si schiera contro tutti i fanatismi e dogmatismi, quando si allontanano troppo dalla ragione. Egualmente, dichiara la propria lontananza da quella forma di fanatismo rappresentata dalla semplificazione ideologica della storia, per evitarla ci ha quindi proposto una attendibile e problematica visione del cristianesimo dei primi secoli. Passannante è contrario a chi nasconde la «polifonia dei popoli», lo stratificarsi di culture diverse nella ricostruzione della storia che risulta tanto più credibile quanto più al suo interno è riconosciuto l’apporto di tutti, dai vincenti ai resistenti ai perdenti.
Posizionatosi così tra gli autori che non disdegnano di veicolare un messaggio di ragionevolezza e di rispetto per la complessità, Passannante procede per condurre Diocleziano a un nuovo incontro.

Diocleziano e Giamblico
La seconda tappa scelta da Diocleziano è Apamea, una cittadina molto diversa da Antiochia, vivace ma equilibrata, colta ma non decadente, accogliente ma discreta. Lontana dalle scorribande persiane la cittadina rappresenta quanto di meglio possa essere offerto al riposo dell’esercito, ma Diocleziano, pur ottemperando ai suoi doveri militari, l’ha scelta anche per motivi personali. Vuole infatti incontrarvi il famoso filosofo Giamblico, seguace del neoplatonico Plotino, che appunto ad Apamea insegna.
Diocleziano spera che la saggezza del filosofo possa contribuire a lenire il suo dolore per Prisca e a restituirgli un migliore equilibrio. Ritenendo inopportuno per la sua posizione un colloquio privato, troppo incline a diventare intimo, l’imperatore fa annunciare la sua presenza in aula a una lezione di Giamblico, chiedendo che questa venga svolta sull’amore. Bella la descrizione dell’aula e del maestro, del discreto soppesarsi reciproco tra Diocleziano e Giamblico che fino all’ultimo rispettano le distanze imposte dalla situazione, pur nell’intuizione di risvolti personali taciuti.
L’amore per Giamblico è più nell’amante che nell’oggetto amato, è una sorta di proiezione reciproca che ci fa vedere nell’altro una serie di virtù spesso del tutto inesistenti e che comunque svaniscono quando viene meno il sentimento. Cosa può fare chi, non più amato, mantiene invece intatto il suo sentire? In nessun modo può riconquistare caratteristiche che solo la mente dell’altro gli aveva attribuito. A livello pratico può cercare una sublimazione del dolore, incanalando in altro modo l’energia amorosa, oppure può provocare il disgusto della persona amata fino a che le sue offese finiscano per risvegliare l’amor proprio e rendano possibile il distacco dalla fonte di tanto dolore.
Ma Giamblico non può limitarsi a offrire semplici rimedi, è un neoplatonico e la lezione continua sui più alti valori dell’“idea”. È l’amore in sé che non muore, mentre gli amori vissuti seguono il percorso di tutte le cose che nascono, deperiscono e muoiono.
Giamblico sembra sminuire l’interesse che la maggior parte delle persone nutre per le questioni terrene, ma Diocleziano, mettendosi quasi a nudo controbatte che «è di queste questioni che vive l’uomo, forse ai filosofi è dato di tralasciare le necessità quotidiane… ma i comuni mortali svolgono esperienze di carne e di sangue». Nonostante la lontananza tra i due il coinvolgimento dell’imperatore è molto forte, visto che la posta in gioco è una via di salvezza dal deperimento che avverte per sé e nell’Impero. Né gli dispiacerebbe addentrarsi in particolari riguardanti lui e Prisca, il cui ricordo è ancora pungente, ma proprio questo sentimento fa sì che si accomiati subito dal filosofo, deciso a non rivederlo.

La complessità dei rapporti umani
La ripresa del viaggio continua a rivelare il lento ma continuo indurimento di Diocleziano.
Se durante l’incontro con Paolo di Samosata accetta di occuparsi della figlia che il vescovo rivela aver avuta da Zenobia, cogliendone l’ansia paterna e facendola sua, nei confronti di Valeria, colpisce però una carenza. Diocleziano non si sofferma sulle caratteristiche di quella figlia così poco goduta per le sue lunghe assenze, sa che deve offrirle un matrimonio confacente al suo status, ma non dedica un solo attimo a interrogarsi su quali potrebbero essere i suoi giovanili desideri.
Altrettanto poco flessibile, durante il ritorno presso i confini occidentali, si dimostra nel giudicare Carausio, il condottiero romano che si era messo alla testa dei ribelli britanni. Invece di valutare l’opportunità di un accordo sul modello dei molti già stipulati con altre popolazioni, Diocleziano, venendo meno a quell’intuito politico che era stato sua caratteristica distintiva, non coglie l’occasione offerta e, allineandosi a Massimiano, si limita a rimandare il conflitto a quando la flotta romana sarà in grado di affrontarlo. Ancor più, a Mediolanum comincia a delineare quel progetto di ulteriore consolidamento dello stato che porterà alla tetrarchia e a nuove guerre.
Prima del rientro dell’imperatore a Nicomedia, Passannante si sposta su un altro personaggio segnato dall’amore, il tribuno Aurelio, le cui reazioni alla delusione sentimentale saranno diverse ma non meno tragiche. Venuto a conoscenza da Costanzo della volontà di Diocleziano di dare in sposa Valeria a un altro, Aurelio sente l’urgenza di riproporsi alla giovane che lui stesso aveva allontanato.
Il ritratto di Aurelio è una delle più profonde riflessioni sull’animo umano condotte all’interno dell’intero libro. La natura complessa e contraddittoria del tribuno dà la possibilità di indagare sul senso del dovere e sull’orgoglio, sulla capacità di isolarsi e quella di indulgere a qualunque compagnia e sulla sensualità e sulla castità.
La risposta di Valeria alla lettera del tribuno, mostra ad Aurelio un cambiamento inatteso nella giovane e lo porta istintivamente a incolpare lei del mancato coronamento del loro amore. È una reazione umana molto diffusa quella di attribuire al comportamento di altri le nostre mancate capacità e i nostri insuccessi. La descrizione di Passannante, veramente lirica nelle sue metafore, è molto toccante e non si può evitare di rivedere noi stessi nella goffagine di mille tentativi messi in atto per evitare un’autocritica o nella difficoltà di accettare le nostre vere conquiste, ben più povere delle infinite possibilità perdute.
Già incline all’avvilimento di sé, Aurelio riceve dal rifiuto di Valeria una ulteriore spinta negativa che lascia presentire, nell’eccessivo ricorso occasionale all’amore carnale, la caduta verso la dissolutezza.

L’epilogo: un confronto inevitabile
Nell’ultima parte del libro si fronteggiano le due figure dei coniugi imperiali. Ciascuno per proprio conto, ma parallelamente, sia Diocleziano sia Prisca si preparano all’inevitabile incontro a cui li costringe la fine della campagna militare e il rientro delle truppe a Nicomedia.
Prisca, che la religione da poco abbracciata ha consolato ma non placato, ripercorre i molti, troppi anni di matrimonio affrontati senza amore. Pesa la subalternità della donna ai desideri dell’uomo, che l’ha indotta a lungo a mentire, ad accettare una intimità non condivisa, a sperare nelle partenze del coniuge, nella lunghezza delle sue assenze. Mette in dubbio lo stesso innamoramento, forse determinato dalla posizione del promettente soldato, arriva a pensare che il suo stesso desiderio di piacere per ottenere affetto l’abbia guidata a esser proprio come l’altro la voleva, ma conclude con la comprensione che l’amore a cui aspirava era di tipo ideale, di una purezza che il concreto Diocleziano non poteva offrire.
Riversato questo bisogno di assoluto sulla figlia, aveva sempre più ridimensionato il sentimento verso il marito e ora non sentiva altro che stima. Avrebbe potuto amarlo come un fratello, come un padre, ma non era questo che accettava Diocleziano.
Al di là del rispetto nei suoi confronti che il marito ha sempre dimostrato, Prisca sa che Diocleziano può legittimamente reclamare i suoi diritti coniugali, sa che può ripudiarla, non conosce invece quali reazioni potrà avere nell’apprendere che lei e per di più anche Valeria si sono convertite. Oltre al tremore per tutta questa incertezza, Prisca percepisce però anche un nuovo coraggio che la fede le dà ed è così che si prepara a incontrare lo sposo.
Anche Diocleziano, ormai sulla strada di casa, si abbandona al pensiero di Prisca e a quello dell’organizzazione da darsi per limitare a entrambi il disagio della convivenza.
Cerca di fare confronti tra la sua persona, che può vantare tanti successi e quella insignificante di lei, cerca di ripetersi che è stato lui ad ammantarla di virtù inesistenti, ricorda la freddezza, i puntigli, i rifiuti giunti proprio nel momento in cui, diventato imperatore, più si sarebbe aspettato di ricevere calore e gioia. Lo soccorre la consapevolezza di poter sancire il distacco della moglie relegandola in una ala del palazzo lontana dalla sua stanza, di poterla in seguito ripudiare, pur assicurandole una vita dignitosa, di potersi dedicare totalmente al suo lavoro. Cerca di dirsi, facendo suo quanto ascoltato da Giamblico, che conserverà nel suo pensiero “l’altra” Prisca, quella della dolcezza della tenerezza, della grazia, e che sarà appunto lei ad accompagnarlo «tra i trionfi e gli errori del suo transito terreno, fedelmente, per sempre, fino a calargli le palpebre degli occhi nel giorno in cui avrebbero scorto per l’ultima volta la luce».
Dopo averci mostrato diverse declinazioni di Eros e Thanatos, è con questo senso di morte che si chiude Amore e Disamore, un volume così ricco, culturalmente e psicologicamente, da rendere difficile effettuare i tagli, pur necessari a una recensione.

Stefania Ciavattini

(www.bottegascriptamanent.it, anno XI, n. 119, agosto 2017)

Collaboratori di redazione:
Teresa Elia, Ilenia Marrapodi, Antonella Napoli, Giusy Patera
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