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ANNO I, n° 0 - Agosto 2007
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Home Page (a cura di Tiziana Selvaggi) . ANNO I, n° 0 - Agosto 2007

Zoom immagine Contro la ’ndrangheta: un impegno
e un’efficacia di giustizia e di verità

di Francesca Viscone
L’istanza di cambiamento è forte, ed è diffusa soprattutto tra le nuove
generazioni, le quali sperano in un futuro dove l’onestà non sia inutile


«La disperazione peggiore di una società è il dubbio che vivere onestamente sia inutile». Questa citazione di Corrado Alvaro introduce il saggio di Nicola Gratteri ed Antonio Nicaso, Fratelli di sangue. La ’ndrangheta tra arretratezza e modernità: da mafia agropastorale a holding del crimine (Luigi Pellegrini Editore, pp. 320, € 20,00), e ne costituisce il leitmotiv morale indiscutibile, dall’inizio alla fine. Gratteri è sostituto procuratore della Repubblica di Reggio Calabria, uno dei magistrati di punta nella lotta contro la ’ndrangheta. Nicaso, autorevole giornalista, è anche autore di numerosi bestseller sulla criminalità organizzata. Due personalità molto diverse, ma con una passione civile comune. Nonostante la distanza che li separa, Nicaso vive infatti in Canada, sono riusciti a scrivere insieme un libro che nasce dal desiderio di capire, per far capire. Da una parte uno studio profondo del fenomeno criminoso, dall’altra una critica impietosa della società in cui esso continua a manifestarsi.

In questo senso, è come se la bella frase di Alvaro esprimesse un timore, o rappresentasse una denuncia irrevocabile di qualcosa che non osiamo più dirci, ma che non abbiamo nemmeno il coraggio di negare.

Come potrebbe essere definita infatti una società in cui è così radicata, così diffusa, la criminalità organizzata? Difficile immaginare che proprio di una società disperata si tratti? Eppure, sembrano dirci i due autori, è necessario resistere. Non stancarsi mai di difendere il diritto alla speranza. L’onestà e la fiducia nel futuro sono le sole cose che possono aiutarci a non soccombere.

Nel capovolgimento di valori attuato dalla mentalità mafiosa, non appare disperata la malavita, che viene presentata come se godesse solo di guadagni e successi, sovente dovuti ai fallimenti collettivi. Il senso comune vorrebbe far credere che la disperazione più profonda sia piuttosto quella degli onesti: pochi in una società che considera il vivere nella legalità inutile e dannoso, poiché spesso implica la rinuncia ad amicizie, protezioni, favori in cambio di compromessi, sempre accettabili e sempre preferibili all’isolamento sociale, al fallimento professionale, alla povertà. Sappiamo bene invece che il destino individuale del mafioso non è invidiabile. Raramente muore nel suo letto, spesso trascorre lunghi anni in carcere, vive senza mai potersi fidare completamente di nessuno. A che cosa servono ricchezza e potere se non è possibile stare accanto ai propri figli? A cosa serve una vita trascorsa accanto a falsi amici, quelli che promettono protezione e che prima o poi tradiranno o saranno traditi? È solo così che la frase di Alvaro può essere compresa nella sua essenza: come monito, come avvertimento. Non c’è una terza via tra l’onestà e la disperazione.

Fratelli di sangue è scritto con un linguaggio asciutto, che non lascia spazio alla retorica, che smaschera immediatamente la viltà della mafia e non traveste di eroismo negativo (ma pur sempre eroismo) la vita dei criminali.

Gratteri e Nicaso raccontano la storia della ’ndrangheta sfatando stereotipi e miti consolidati. Non esistono valori positivi nelle mafie, spiegano. Non c’è nessuna vecchia mafia eroica e coraggiosa. Non è mai esistito l’uomo d’onore difensore dei poveri e degli oppressi. La ’ndrangheta non è figlia del sottosviluppo, non è nata nel degrado e nella povertà. Al contrario, la “picciotteria” dominava là dove c’era economia fiorente, dove c’era ricchezza, dove crescevano gli uliveti e gli agrumeti. È un mito da sfatare quello della ’ndrangheta che da fenomeno agropastorale, dall’intermediazione parassitaria, si sarebbe lentamente trasformata in imprenditrice, nel segno della modernità. La ’ndrangheta ha sempre fatto da mediatrice, e ha sempre accumulato ingenti patrimoni. La sua attuale ricchezza è certamente molto più visibile rispetto al passato, perché enorme, e paradossalmente calcolata in volume d’affari ed in rapporto al Pil, come fosse lei l’azienda più solida nel mercato nostrano.

Trentasei miliardi di euro sarebbe il volume d’affari della ’ndrangheta. Il 3,4 % del prodotto interno lordo. Oltre ventidue milioni di euro gli introiti del traffico di stupefacenti. Il 18% della ricchezza complessiva prodotta in Calabria sarebbe dovuta ad appalti truccati ed alla compartecipazione nel settore imprenditoriale. Oltre quattro milioni di euro il giro d’affari dell’usura. Traffico d’armi e prostituzione, secondo l’Eurispes, avrebbero prodotto nel 2004 introiti per oltre quattromila milioni di euro. La ’ndrangheta è inoltre coinvolta nel business dei rifiuti tossici e radioattivi. I consigli comunali sciolti dal 1995 al 2006 sono stati trentadue. Dal 2000 al 2004 ci sono stati trecentoventitrè atti intimidatori contro amministrazioni locali.

Fratelli di sangue inoltre presenta un’interessante mappa della criminalità organizzata suddivisa per aree e per province. È impressionante come tutto il territorio sia controllato da una o più famiglie. Ma gli autori non si limitano semplicemente alla Calabria. Notevoli sono infatti le proiezioni fuori dalla regione: in Friuli Venezia Giulia, Liguria, Lombardia, Piemonte, Trentino Alto Adige, Valle d’Aosta, Veneto e così via… Ma anche e soprattutto, le proiezioni all’estero. La presenza della ’ndrangheta, infatti, è ormai attestata nell’America del Sud, in Australia, in Libano, nel Marocco, nell’ex Unione Sovietica.

Rapporti stretti con il potere da una parte, con i cittadini dall’altra: «Più di un quarto della popolazione è coinvolta, a diverso titolo, in attività delinquenziali», anche perché intorno a questi gruppi «ruotano, da sempre, migliaia di “colletti bianchi”, molti dei quali insospettabili».

A Vibo Valentia spetta il più basso livello di fiducia che i cittadini ripongono nelle istituzioni (39,5% a fronte di una media regionale del 48 %), a Crotone il primato degli omicidi per ’ndrangheta: sedici per centomila abitanti, avvenuti tra il 1999 ed il 2003.

Sorprendente poi l’indice di permeabilità mafiosa: Reggio Calabria 52,7 punti; Crotone 32,2; Catanzaro 30,9; Vibo Valentia 28,1; Cosenza 24,5.

Un quadro a dir poco sconfortante, che non lascia spazio a speranze né ad illusioni. Per cambiare le cose, dicono gli autori nelle conclusioni, «c’è bisogno di fatti concreti, di iniziative coraggiose, di svolte radicali. Nella società, nella mentalità della gente, nell’impegno della classe politica. La voglia di riscatto, soprattutto, quella delle nuove generazioni, non manca».

Intensa è l’analisi della storia, dei miti, dei riti, dei codici. Mai sottovalutarli, sembrano dirci gli autori: i riti sono elementi comuni a tutte le mafie, anche a quelle più antiche, anche a quelle più lontane da noi. E permangono, convivono nella modernità. Un crescendo implacabile di crimini, affari, collusioni. Hanno ragione Gratteri e Nicaso a dire che c’è bisogno di scelte radicali. Non solo i giovani, non solo il loro buon cuore, le loro intelligenze, l’impegno per il loro e il nostro futuro. Ci vuole anche uno stato che non riconosca le mafie né come parte di sé, né come parte malata di se stesso e che decida di espellerle dal suo seno e di combatterle con vigore. Una classe politica migliore, meno concentrata sugli interessi personali e di parte. Capace, soprattutto, di esercitare un profondo controllo dall’interno sui suoi membri e di rinunciare ai troppi privilegi lesivi della dignità dei cittadini.

La riflessione critica sulla funzione della politica è un elemento centrale del pensiero di Gratteri, che abbiamo avuto modo di incontrare a Lamezia Terme, durante un confronto a tratti serrato con gli studenti dell’Istituto magistrale. La sua energia e il suo carisma hanno trasformato la spensieratezza di centinaia di ragazzini in silenziosa attenzione. Siamo rimasti stupiti davanti a quegli adolescenti in fila indiana, ognuno con la sua domanda. A volte timidi, a volte un po’ provocatori e persino un po’ sfrontati. Gratteri non ha usato mezzi termini. Ha invitato i giovani a stare lontani dai mafiosi, a non considerarli amici, a non frequentarli, a isolarli. Com’è suo costume, non ha nascosto le difficoltà del suo lavoro, il rischio che si corre oggi di perdere per sempre la battaglia contro le mafie. Ci piace ricordare quell’evento e concludere la nostra riflessione con le parole del giudice. Non solo perché indicano delle responsabilità, ma anche perché suggeriscono un percorso possibile, una pista di lavoro, e sottolineano quale dovrebbe essere il ruolo dei giovani e dei cittadini: non considerare mai i diritti come un fatto definitivamente acquisito e la democrazia come qualcosa che non debba più essere difeso.

«Le mafie votano e fanno votare», ha ribadito più volte. «L’ultima legge elettorale non era degna di uno stato libero.  Grazie alle liste bloccate, la composizione del parlamento è stata determinata da venti persone. Se dalla politica nazionale ci spostiamo sul piano locale, la situazione non cambia in meglio. Prendiamo un paese-tipo ad alta densità mafiosa, un paese di diecimila abitanti. Se la ’ndrangheta controlla il venti per cento dei voti, basterà spostarli da una parte o dall’altra per decidere chi sarà il sindaco. Le mafie non hanno ideologie, non sono né di destra né di sinistra: sono con il potere. Appoggiano il cavallo vincente. E quando riescono ad eleggere qualcuno, chiedono sempre il conto…».

In che cos’altro riporre la speranza, se non nella nostra forza e nella capacità di essere noi stessi i guardiani della democrazia?

 

Intervista ad Antonio Nicaso

Abbiamo rivolto alcune domande a Nicaso, che dopo una intensa settimana di presentazioni del libro in tutta la Calabria, è ritornato in Canada.

 

Crede davvero che le manifestazioni di massa contro la ’ndrangheta e in particolare quelle organizzate dai giovani indichino un cambiamento di mentalità in Calabria? Non teme che potrebbero diventare una moda, o essere facilmente strumentalizzate dalla politica? O esaltate dai mass media?

Rappresentano dei segnali di cambiamento che non bisogna sottovalutare. Per anni la gente    ha piegato la testa. I pericoli di strumentalizzazioni esistono, anche se la lotta alla ’ndrangheta non dovrebbe dividere, o meglio dovrebbe essere al di sopra delle parti. Speriamo che i giovani lo capiscano.

 

Mi ha stupito molto l’assenza, nel vostro libro, di proposte concrete. È vero che non spetta ai giornalisti e ai magistrati avanzare proposte di legge, ma siamo tutti per prima cosa cittadini. Ogni volta che leggo un libro sulle mafie, raramente trovo indicazioni su possibili vie da percorrere. Eppure, credo che basterebbe anche solo indicare le falle del sistema legislativo italiano

Non sta a noi fare proposte di legge, ma è chiara la nostra posizione. L’unica soluzione normativa – come indichiamo nel libro – è quella della certezza della pena. Non siamo d’accordo con l’attuale legislazione che prevede il rito abbreviato e il patteggiamento allargato in appello. Inoltre, come sottolineiamo nel libro, bisogna procedere al sequestro e alla confisca dei beni illegalmente conseguiti. Naturalmente, il problema non è soltanto normativo, ma anche culturale, sociale. E quindi è necessario promuovere la cultura della legalità, soprattutto tra i giovani. Sono tante le cose che non funzionano, ma soprattutto manca la volontà politica di arginare il fenomeno mafioso. L’attività di contrasto è sempre stata legata all’emergenza, mai ad una azione di lungo corso. Bisogna riconquistare il controllo del territorio, recuperando quella credibilità che col tempo è venuta meno. Lo stato purtroppo in Calabria non è credibile. Troppe contiguità, troppe zone grigie.

 

Cosa pensa del disegno di legge “Lazzati”?

È molto significativo. La ’ndrangheta senza la politica non sarebbe ’ndrangheta. Essa non delega più, partecipa, si infiltra, decide. È bipartisan e non sta mai all’opposizione. L’unico modo per arginare il fenomeno mafioso, oltre al sequestro ed alla confisca dei beni   illegalmente conseguiti, è quello di colpire gli intrecci politico-finanziari. Ma per fare questo c’è bisogno di una volontà politica forte che oggi non esiste.

 

Che senso ha, ancora oggi, dare così tanto spazio ai riti, ai codici, ai miti della mafia?

I riti non fanno parte del passato. Sono attuali, fondamentali e danno l’idea di una organizzazione che nel tempo è riuscita ad adattarsi a tutte le situazioni, senza mai venire meno ai principi e ai valori. Continuità e trasformazione, in una parola adattabilità.

 

Il delitto Fortugno non ha  poco spazio nel vostro saggio? Perché?

Le indagini sono ancora in corso. E le funzioni di Gratteri impedivano divagazioni sull’argomento.

 

Se fette così consistenti della società sono coinvolte a vario titolo in rapporti e complicità dirette e indirette con la ’ndrangheta, su che cosa si può basare una ragionevole speranza di riuscire a sconfiggere questo fenomeno?

Partendo da un presupposto semplice. A fronte di parti consistenti della società coinvolte a vario titolo in rapporti e complicità dirette ed indirette con la ’ndrangheta, ci sono centinaia di migliaia di persone che sono stanche di vivere in una realtà dove i diritti sono regolati dalla cultura dello scambio ed i doveri sono pressoché inesistenti. C’è gente che sogna una Calabria più vera, più onesta, più giusta. Gratteri è uno dei magistrati più esposti nella lotta alla ’ndrangheta. Vive in una caserma, negli ultimi venti anni non è mai andato in vacanza. Ha subito attentati, minacce, ma è ancora lì, in prima linea, a combattere e a resistere. Neanche io mi sono mai tirato indietro e spesso ho pagato caro per le mie battaglie. Ma sono ancora qui, convinto che si possa e si debba cambiare mentalità, registro. Noi ci crediamo.

 

Francesca Viscone

 

( www.bottegascriptamanent.it, anno I, agosto 2007)

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