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Recensioni brevi (a cura di La Redazione)

Il forte potere emotivo
della fotografia si fonde
con la sua magnifica
facoltà di rivelare storie

di Letizia Rossi
Edito da Quinlan, un libro fotografico che ci racconta, attraverso Siena,
il volto amaro e contraddittorio, eppure amato, dell’Italia dei nostri giorni


La straordinaria capacità narrativa della fotografia di racchiudere in un’immagine statica un’intera storia, nel caso di scatti d’autore, ci consente di esplorare mondi insoliti dove a guidarci è lo sguardo del fotografo. Per questo, quando ci si trova davanti ad un libro fotografico, non sappiamo se verremo trascinati in un’unica storia, in cui le immagini si susseguono e si completano, proprio come accade per i capitoli di un romanzo; o se invece si vivrà l’esperienza di tanti frammenti a sé stanti, che si compongono per dar vita a una raccolta di racconti. In Purtroppo ti amo (Editrice Quinlan, pp. 128, € 32,00), di Federico Pacini, entrambe le soluzioni convivono, dando luogo a un intreccio su diversi livelli e temi, in cui storie singolari si scontrano e incontrano su uno stesso sfondo: Siena.

Un luogo come metafora della società
È proprio la cittadina toscana a fare da fil rouge dell’intera narrazione, perché Pacini, come ci fa notare Elio Grazioli nella sua Prefazione, «non perde uno scatto quando vede un’immagine o un richiamo a Siena al di là di un vetro, dentro una casa, da qualsiasi parte». Quella che viene presentata è quindi una Siena che si fa portavoce di un discorso più ampio di denuncia del degrado e della disperazione che caratterizzano l’Italia del XXI secolo.
Ecco quindi la contrapposizione tra sacro e profano, in cui la fede e la sacralità del cattolicesimo vengono corrotte da dinamiche di marketing e profitto. E ancora la bellezza si contrappone all’orrido, l’arte si snatura macchiandosi di consumismo, e la pornografia si fonde e confonde nel pop. Ma l’immagine a nostro avviso più cruda è quella in cui lo splendore della natura convive con la mostruosità dell’operato umano: cemento che soffoca e deturpa il paesaggio in nome del progresso e dell’evoluzione degli abitanti più ingrati della terra. Eppure, a dimostrazione della supremazia e della forza della natura, in primo piano troviamo quel ramo di ciliegio fiorito che racchiude in sé fragilità e tenacia.

Nei ritratti, racconti di vita
Sullo sfondo di questo scenario quasi postapocalittico in cui le grandi presenze sono i vuoti e la desolazione, ecco comparire delle figure umane; ignari automi che si crogiolano al sole senza curarsi troppo della bruttura che li circonda, ma che catturati singolarmente recano sui loro volti tutta la sofferenza e la disperazione che vivono e hanno vissuto. Così un vecchio dall’aria terrorizzata, accovacciato in un ambiente asettico, racconta il dramma di una generazione sfibrata nel corpo e nell’anima. A fare da contraltare un giovane, dall’identità frantumata, che ingrigisce nell’attesa, immobile vittima di un inesorabile destino.
Ma è proprio in questa sezione che si percepisce a pieno il messaggio di Pacini, che alterna foto fredde e cupe con altre dai toni caldi e allegri: «Il gruppo dei ritratti ci ricorda che a riscattare la parte negativa è il senso di comunità e di appartenenza […] È così che la provincia, invece di chiudersi nella rivendicazione del particolare, traspira universalità».

Il riflesso del fotografo
Quella che Pacini ci propone è quindi una visione emotiva e viscerale dell’Italia e della nostra società, in cui i sentimenti si mescolano e si confondono tra loro, ma restano comunque i veri protagonisti. E lui, l’autore, da osservatore distaccato decide di farsi avanti, in maniera discreta ma decisa, rivelandosi attraverso i riflessi del flash e al contempo firmando quei colpi al cuore che infligge ai lettori/spettatori che “purtroppo lo ameranno”.

Letizia Rossi

(www.bottegascriptamanent.it, anno IX, n. 93, maggio 2015)

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