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Filosofia e religioni (a cura di Denise Amato) . Anno IX, n 92, aprile 2015

Zoom immagine Pensare l’infinito:
quando gli emisferi
del nostro cervello
fanno la differenza

di Maristella Occhionero
Un approccio olistico a uno dei temi
filosofici e teologici più importanti
di sempre. Da Spazio Interiore


Tra i tanti e interessanti eventi che si tengono ogni anno al Centro olistico “Harmonia Mundi” di Roma, il 19 ottobre del 2012 si svolse la conferenza Angeli tenuta dallo scrittore, saggista e filosofo Igor Sibaldi.
In seguito a questo evento di successo, l’autore venne invitato da Andrea Colamedici, direttore della casa editrice Spazio Interiore, a rielaborare e ampliare il discorso fatto quel giorno, per poi pubblicarlo. Così è stato e, ad arricchire la collana Amuleti, che raccoglie proprio i testi degli incontri organizzati da “Harmonia Mundi”, è arrivato il libro Discorso sull’infinito (Spazio Interiore, pp. 128, € 8,00).

Come Edmond Dantès
Il parallelo principale da cui parte, nel suo discorso, Igor Sibaldi è tra la nostra esperienza e quella di un personaggio famosissimo della letteratura: il conte di Montecristo, ovvero Edmond Dantès.
Come a questo personaggio, infatti, a tutti noi capiteranno o sono capitati dei momenti in cui ci siamo sentiti ingabbiati in una cella oscura senza possibilità di uscita. Dantès svolge, cioè, il ruolo di “Io autentico” di ognuno di noi che è soggetto a sentire il buio, l’isolamento di una cella mentre tutti fuori pensano di non rivederlo più.
Nel testo di Sibaldi si intrecciano diversi riferimenti letterari, da Dumas a Collodi fino ad arrivare ai Testi delle Piramidi dell’Antico Egitto. Il tutto unito da un filo conduttore, minuziosamente illustrato, grazie al quale l’autore ci accompagna per mano mostrandoci un percorso che va oltre la logica, le date e i periodi storici, ma che in qualche modo trova un senso e un significato che va al di là di quello che la nostra mente razionale può comprendere.

“Ravvicinamenti filosofici”
Questa è un’espressione utilizzata sempre ne Il conte di Montecristo e che Sibaldi riprende nel suo discorso per riferirsi ad un argomento a cui la filosofia, la psicologia e la neurologia si sono riavvicinati da poco. Facendo riferimento al testo degli anni Settanta di Julian Jaynes, Il crollo della mente bicamerale e l’origine della coscienza, l’autore incomincia a delineare le varie scoperte fatte nel corso degli anni relativamente alle funzioni dei due emisferi del nostro cervello: il destro e il sinistro.
Semplificando il discorso, si può affermare che il destro è risultato essere quello più attivo nei bambini e nella fase onirica perché sede della creatività, mentre il sinistro è quello che possiamo definire più “razionale”; queste differenze vengono descritte in modo dettagliato da Sibaldi ma, allo stesso tempo, egli mette in discussione la centralità del cervello come unico organo di pensiero effettivo.
L’autore prospetta, inoltre, la possibilità di vivere e vedere una realtà non più solo in tre dimensioni (altezza, larghezza e profondità), ma utilizzando una dimensione ulteriore: il tempo. Esso, però, ad una prima occhiata, sembra non essere tridimensionale come la realtà che ci circonda e nella quale siamo immersi, ma unidimensionale come una linea retta che procede in un’unica direzione.
Sibaldi, invece, pone al lettore un dubbio: e se all’interno del nostro emisfero destro anche il tempo non sia un 1D, ma un 3D? E che quindi sia possibile percorrerlo avanti e indietro proprio come se fosse lo spazio nel quale siamo abituati a vivere e a muoverci? Tutto questo però non ci risulterebbe comprensibile o fattibile per l’influenza dell’emisfero sinistro che in qualche modo ci limita, ma che non limita alcuni soggetti, come ad esempio gli autistici savant, che riescono a ricordare un’infinità di cose, non come se queste fossero elementi passati da riportare alla mente, ma perché semplicemente essi le hanno davanti agli occhi quando vogliono, essendo capaci di spostarsi avanti e indietro su questa linea immaginaria che è il tempo.

Il finito e l’infinito
Allora cos’è “finito” e cosa “infinito”? Secondo Sibaldi: «Nella nostra psiche, noi siamo in una dimensione “finita” ogni volta che ̶ a voler proprio parlare come un neurologo ̶ utilizziamo soltanto le facoltà dell’emisfero sinistro, e siamo “infiniti” quando estendiamo la nostra attività cosciente anche all’emisfero destro: allora ognuno di noi, nel suo nutshell, nel suo guscio di noce, comincia a diventare re di uno “spazio infinito”».
Tutto cambia nell’utilizzo dell’uno o dell’altro emisfero: chi utilizza prevalentemente quello sinistro è colui che si sente a proprio agio nell’usare il linguaggio della massa, colui che si adatta alle circostanze e alla società così com’è e che si pone le domande “dove”, “cosa”, “quando”, senza mai chiedersi “perché”.
A conclusione di questo complicato e affascinante Discorso sull’infinito, l’autore pone due capitoli relativi alla teoria antica degli angeli, argomento principe della sua conferenza, in cui illustra il suo percorso personale e in che modo si è avvicinato all’argomento nel corso degli anni.
Interessante è la sua spiegazione dell’Albero della vita della Qabbalah e di come esso rappresenti proprio quel rapporto tra il 3 più 1 dello spazio-tempo multidimensionale di cui aveva parlato in precedenza.
Un discorso complicato ad una prima lettura ma che, rileggendolo, pian piano svela alcuni lati della nostra “mente” e aiuta a porci delle domande capaci di ampliare i nostri orizzonti e spingerci ad andare oltre al nostro piccolo e limitato spazio di realtà.

Maristella Occhionero

(www.bottegascriptamanent.it, anno IX, n. 92, aprile 2015)

Collaboratori di redazione:
Elisa Guglielmi, Ilenia Marrapodi
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