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Anno IX, n 92, aprile 2015
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Letteratura contemporanea (a cura di Francesca Rinaldi) . Anno IX, n 92, aprile 2015

Zoom immagine Antichi valori
di famiglia
narrati ai nipoti

di Letizia Rossi
Sovera edizioni pubblica
la storia vera di una donna
negli anni duri della guerra


La memoria del passato è un tesoro prezioso che va custodito a tutti i costi. Tenendo fede alla più antica esigenza dell’essere umano, ci si abitua fin da bambini ad ascoltare i racconti dei nonni che tramandano storie, tradizioni e aneddoti legati alla famiglia. Ma quando non c’è più nessuno che possa raccontare, il rischio è quello di perdere il contatto con epoche che diventano sempre più sconosciute e lontane, perché non possono più rivivere attraverso i ricordi.
Per tramandare una storia di famiglia ci si può allora affidare alla solidità della scrittura. È proprio quello che accade in Una vita fa (Sovera edizioni, pp. 78, € 10,00) di Isa Ligabue: un breve, ma intenso, romanzo che racconta le vicende di una famiglia di gente semplice. Come si legge nel frontespizio, si tratta di «una storia vera raccontata attraverso le persone, i luoghi, gli eventi che ne hanno intessuto la trama».

Racconti di famiglia e testimonianza storica
La narrazione apre una finestra di diciannove anni su questa famiglia che vive nella campagna emiliana. La vita quotidiana dei personaggi si intreccia inevitabilmente con le vicende della Seconda guerra mondiale, diventando una vera e propria testimonianza storica. Il libro non può quindi considerarsi solo una sorta di reportage familiare, ma acquisisce il valore di documentazione sugli usi e costumi di un’epoca che a poco a poco sta sbiadendo, oscurata dal ricordo di una guerra che mantiene intatto solo il proprio valore simbolico, avendo ormai perso la vividezza dei dettagli che solo chi l’ha vissuta sulla propria pelle può trasmettere. L’arco temporale della narrazione va dal 1930 al 1949; ecco quindi che abbiamo sullo sfondo l’ascesa del Fascismo, la Guerra e la Resistenza, mentre in primo piano restano le esperienze di vita, autentiche, rese ancora più intense grazie allo stile dell’autrice che accompagna una sintassi semplice e diretta con un linguaggio scorrevole e mai banale. La ricchezza di dettagli, inoltre, rende le descrizioni estremamente vivide a livello sensoriale, al punto che il lettore può arrivare a percepire il calore del sole sulla pelle, sentire l’odore del grano e il profumo della terra. Quello che Ligabue propone è un vero e proprio viaggio nel tempo, alla riscoperta di un mondo che ormai non esiste quasi più.

La semplicità delle piccole cose
La vita raccontata è quella delle cose semplici, il quotidiano di una famiglia di contadini che basa il proprio sostentamento sul lavoro della terra. Uno stile di vita molto distante da quello odierno delle città, che fa volare la mente indietro nel tempo, quando era il ciclo delle stagioni e dei contratti di mezzadria a dettare i ritmi di lavoro, e delle nascite. Famiglie numerose, patriarcali, in cui mettere al mondo più figli significava avere maggiori speranze di poter lavorare appezzamenti di terra grandi, e quindi guadagni più alti. Le case di corte erano strutture molto estese, adatte a ospitare queste famiglie che diventavano più numerose ogni qualvolta un figlio si sposava, e portava con sé la moglie. All’interno di queste costruzioni trovavano spazio, oltre alle camere da letto, anche la cantina, le stalle e l’aia, per cui era tra quelle mura che si svolgevano tutte le attività della famiglia. In un ambiente così ristretto era inevitabile condividere qualsiasi cosa accadesse, gioie e sofferenze, ma era altrettanto inevitabile che si sviluppassero nervosismi e incomprensioni. La vita in una famiglia patriarcale soprattutto per le donne e i bambini non era semplice; dovevano sottostare alle regole e imposizioni del capofamiglia, che non esitava a punire in modo più o meno esemplare chiunque non si comportasse secondo i suoi dettami. Non c’era troppo spazio per dolcezza e sentimentalismi, la cosa principale era portare avanti il duro lavoro della terra.

Ribellione in nome dell’amore
I protagonisti di Una vita fa sono Carmelina e Marino, una coppia di giovani molto innamorati. Il carattere docile di Marino non riesce però a tenere a bada il temperamento della moglie, che prima si scontra con il cognato e capofamiglia Pietro su questioni religiose, poi porta il marito ad accettare una proposta di lavoro in una casa distinta, lontana da quell’ambiente per lei troppo repressivo. È Carmelina il motore della storia che, grazie all’indole indipendente, fa in modo che il suo piccolo nucleo familiare si stacchi dalla dipendenza di un avido “padre padrone” che tiranneggia, infierendo soprattutto sui membri più deboli. Solo grazie all’amore per la sua dolce moglie Marino riesce a riscattarsi ed emanciparsi, divenendo padrone di se stesso e prendendosi cura della propria famiglia. Si tratta quindi di una storia d’amore, che racconta di quegli amori di una volta, solidi, duraturi, che non venivano scalfiti dai litigi o dalle difficoltà. Un amore che non conosce limiti di tempo, una storia che si racconta ai nipoti, «sempre uguale eppure anche un po’ diversa» ogni domenica, «davanti ad una foto ovale su una lapide che ritraeva una donna bruna, con lo sguardo serio, dolce un po’ triste». Il messaggio che Marino vuole lanciare, in particolare alla propria nipote, è chiaro: in un tempo in cui le cose erano più semplici ma anche più faticose, si sapeva riconoscere quello che era davvero importante.
Per questo Una vita fa è un piccolo grande libro, che ha la capacità di trascinare il lettore in un passato autentico, non solo perché racconta una storia vera, ma anche perché parla di un’epoca in cui le emozioni avevano ancora un valore, e anche se a volte poteva assumere l’aspetto di un’eresia scegliere di essere felici, si sapeva come farlo. Prendersi un po’ di tempo per la lettura di questo breve romanzo può quindi diventare il primo passo per riconoscere che si possiede già tutto quello che serve per vivere in modo autentico, ed essere felici.

Letizia Rossi

(www.bottegascriptamanent.it, anno IX, n. 92, aprile 2015)

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