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A. XVIII, n. 199, aprile 2024
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Recensioni brevi (a cura di La Redazione)

Mentalità antimafiosa:
educare alla legalità
per riconquistare
democrazia e libertà

di Federica Lento
Da Aracne, un resoconto a più voci sui notevoli progressi conseguiti
dalle procure di Milano e Reggio Calabria nella lotta contro la malavita


Negli ultimi anni il Museo della ’ndrangheta si è preoccupato di compiere un’analisi storica, sociale e culturale circa la mafia calabrese, per colmare il vuoto intellettuale delle università e dell’informazione del territorio. Il libro bianco sulla ndrangheta (Aracne editrice, pp. 440, € 25,00), a cura di Claudio La Camera, con ricerca iconografica e foto di Adriana Sapone, è il resoconto di questa analisi, portata avanti insieme alle attività della Procura di Reggio Calabria e del procuratore Pignatone che ha coordinato l’intenso lavoro di magistrati e forze dell’ordine nella sede reggina. Un testo con una composizione “corale”, dunque, grazie ai contributi di procuratori, rappresentanti delle forze dell’ordine, studiosi, giornalisti e attivisti che si occupano di promozioni culturali che contengano il messaggio di contrasto alla mentalità mafiosa.

La condivisione della cultura antimafiosa
L’intento principale del saggio è agire ed educare attraverso la cultura per sconfiggere le associazioni mafiose e riconquistare la libertà. Così scrive infatti il curatore del testo: «È questa la strada da seguire e dovremo continuare ad interrogarci ed interrogare tutti i protagonisti e gli attori politici e sociali della regione su come far fuoriuscire la lotta alla ndrangheta dalla esclusività della dimensione repressiva, giudiziaria e penale, pur sapendo che quest’ultima è fondamentale e irrinunciabile non solo per affermare l’azione di legalità, ma anche per riconquistare territori e spazi di democrazia e di libertà. Per questo ritengo che le diverse voci e le pagine di questo testo rappresentino un materiale prezioso di analisi e di riflessione». Il libro bianco sulla ndrangheta è il resoconto dettagliato di una svolta rispetto al passato, di un nuovo modo di contrastare la criminalità organizzata. Dal 2008 al 2012 si è aperto non solo un periodo di grandi indagini e svolte giudiziarie, ma anche una discussione pubblica, finalmente, su questi temi. Se, infatti, oggi sulla stampa e nel dibattito politico si parla di ’ndrangheta anche in Lombardia e nelle principali regioni del Nord Italia, è per merito delle operazioni e dei risultati ottenuti dalle inchieste coordinate dalle procure di Reggio Calabria e Milano oltre che dal clima di forte collaborazione e fiducia creato dai procuratori Pignatone e Boccassini. Il testo riflette su come proprio l’apertura, la conoscenza, il dialogo e la discussione di questi temi, che vengono condivisi tra Nord e Sud Italia, abbiano permesso di ottenere grandi risultati, insperati prima: «Non era e non è stato così, almeno dai tempi dei grandi processi milanesi della fine degli anni ’80 e dei primi anni ’90; mai si era giunti a risultati simili per quantità e qualità delle persone coinvolte e colpite dall’azione delle due procure. Se il baricentro del contrasto, dell’azione investigativa e di quella penale, si è spostato dal narcotraffico, sul quale comunque non si è mai allentata la tensione, alla dimensione economica-imprenditoriale e alla cosiddetta zona grigia del sistema mafioso, la ragione sta nell’aver scelto una visione della ndrangheta come sistema criminale che incontra, organizza ed egemonizza interessi sociali ed economici diffusi e pervasivi dell’intera società. Semmai, la cosa che stupisce è che ci sia ancora chi si attarda in analisi che negano l’esistenza della zona grigia e di una conseguente borghesia mafiosa anche in Calabria e in una città come Reggio dove, invece, la promiscuità dei rapporti e delle relazioni sociali le rendono più pericolose e diffuse che altrove».

La relazione stato e mafia
Ciò che emerge prepotentemente dal testo è la volontà di sottolineare come il problema della Calabria sia stato proprio l’aver negato l’esistenza di un sistema di relazioni economiche e sociali, la convivenza della ’ndrangheta con la politica e le classi dirigenti. Il libro testimonia ed elenca concretamente tutti i colpi inferti alla mafia negli ultimi anni, grazie alla consapevolezza di questi rapporti, evidenziandone tutte le difficoltà: «Certo, a questo livello le indagini diventano più complesse perché più forte è la cappa dell’omertà e anche le coperture istituzionali assicurate. Ma questa è la strada da battere e che non deve essere interrotta. Occorre farlo con rigore». Tra le soluzioni proposte per sconfiggere la ’ndrangheta e per lanciare un messaggio forte ai cittadini, per educarli al bene, al riconoscimento dei valori giusti, vi è la confisca dei beni mafiosi, che comporta la riappropriazione del “primato” di legalità: «Primato significa arrivare prima: ripulire se stessi, le proprie liste, i propri candidati indipendentemente e prima che arrivi l’azione della magistratura. Primato significa recuperare la propria autonomia culturale e la dimensione sociale di una lotta che non può essere solo repressiva e penale. Primato vuol dire aprire un grande dibattito pubblico tra le categorie sociali e produttive della Calabria sulla trasparenza e l’etica dei comportamenti individuali e collettivi e sul rapporto tra la politica, l’economia, e la società, Insomma, in Calabria, più che altrove, il tema della lotta alla ndrangheta è il tema della trasparenza dello stato e della credibilità della Repubblica».

Federica Lento

(www.bottegascriptamanent.it, anno IX, n. 90, febbraio 2015)

Collaboratori di redazione:
Elisa Guglielmi, Ilenia Marrapodi
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