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A. XVIII, n. 200, maggio 2024
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Recensioni brevi (a cura di La Redazione)

Sfatare i luoghi comuni
in terra d’Aspromonte:
quando la grande Storia
non è solo di passaggio

di Federica Lento
Da Annibale alle tristi vicende del campo di internamento di Ferramonti:
storie di ribelli che hanno lasciato il segno nella regione bruzia. Da Aracne


Chiunque parli della Calabria la definisce, ancora oggi troppo superficialmente, come luogo che ha subìto la Storia, in cui le personalità più importanti hanno vissuto solo di passaggio. Gianfranco Confessore, Oreste Parise, Felice Vinci dimostrano invece quanto questa regione sia stata tutt’altro che passiva nel saggio Calabria guerriera e ribelle (Aracne editrice, pp. 144, € 10,00), a cura di Giampiero Mele.

Ribellione e fascino in terra calabra
Il titolo del testo è dedicato alle storie e ai nomi di personaggi che nacquero, vissero, scrissero o morirono in questa terra. Un luogo che sembra aver attirato a sé guerrieri ribelli, per rimanerne eternamente segnata: il generale Annibale e il gladiatore Spartaco che si diressero verso la città di Thurii; Giulia maggiore, figlia di Augusto, il primo imperatore romano, che insieme al marito Tiberio fu ospitata dalla città di Reggio Calabria, presso la Torre Giulia; il re Alarico che, dopo avere saccheggiato Roma, morì a Cosenza, sepolto nel letto del fiume Busento. Uomini illustri nacquero in Calabria, come Gioacchino da Fiore, che elaborò la sua teoria del mondo divisa in sette periodi e fu condannato per queste dal Concilio Lateranense, e come Tommaso Campanella, anarchico nel suo pensiero. Ribelli per definizione furono ancora i briganti. Molti scrittori rimasero affascinati da questa regione dallo spirito battagliero, tanto da dedicarle dei libri, come Alexandre Dumas e Norman Douglas. Ribellione a uno dei massacri più vergognosi della nostra storia fu quella dei cittadini di Tarsia, che aiutarono i prigionieri del campo di detenzione di Ferramonti, all’interno del quale nessuno subì violenza.

Dalle rovine del terremoto alla riscoperta del mito
Felice Vinci racconta del drammatico terremoto di Messina del 1908 attraverso le parole del nonno sopravvissuto: «Mio nonno Bruno Campolo mi parlava spesso di una domenica di tanto tempo fa – allora aveva vent’anni – che rappresentò l’ultimo giorno prima dello spartiacque, così lo chiamava, che spaccò letteralmente in due la sua vita. Quella domenica di dicembre, nel clima di festività del Natale che si respirava in ogni angolo della sua Reggio Calabria, favorito da un calendario che quell’anno regalava tre giorni di festa consecutivi, la sera lui se ne andò in giro con i suoi amici per i caffè più alla moda; poi, sazio e forse anche un po’ brillo dopo le libagioni natalizie, verso mezzanotte tornò a casa, salì nella sua stanza e si mise tranquillamente a dormire». L’autore scrive come, ai suoi occhi di bambino, quel racconto toccasse la dimensione del mito, di un mondo perduto, sepolto dalle rovine. Ed è probabilmente dai racconti di quell’uomo che nacque nel nipote l’ispirazione alla ricerca del passato. Da questa indagine che guarda alla storia trascorsa, l’autore trae le sue deduzioni circa le origini nordiche dell’Odissea e dell’Iliade, che nei secoli successivi alla discesa degli Achei nel Mediterraneo furono dai loro discendenti rilocalizzate a occidente della Grecia, nella penisola italiana, e in particolare nell’area del Mar Tirreno, «così l’isola di Circe fu identificata con il Circeo, l’ingresso all’Ade con i Campi Flegrei, Scilla e Cariddi con lo Stretto di Messina, la Trinachia con la Trinacria, ossia la Sicilia, l’isola di Eolo con una delle Eolie, e così via».
Questa scoperta non toglie nulla ai miti mediterranei nati nel mondo ellenico dopo la discesa degli Achei, piuttosto ci ricorda l’importanza delle migrazioni e degli incontri fra i popoli nella storia delle civiltà, e «getta una nuova luce – e che luce! – sulle origini della civiltà greca e su tutta la preistoria dell’Europa». Da un terremoto che stravolge il quotidiano, l’autore propone un “terremoto storico” che, invece di distruggere, ricompone pezzi mancanti del nostro passato. Tra i luoghi corrispondenti della Calabria e della Norvegia, uniti dal racconto omerico delle avventure di Ulisse, l’autore auspica dunque un gemellaggio, un filo invisibile della Storia che possa creare, alla luce del mito omerico, una rete di legami tra il Sud e il Nord dell’Europa, «ossia, rispettivamente, i territori del “mito” e quelli della “storia” che di esso è all’origine, da considerarsi un po’ alla stregua dei due emisferi del cervello (di cui forse in qualche modo riflettono le diverse modalità di percezione e funzionamento): non contrapposti, bensì complementari». Nord e Sud Europa, quindi, che si toccano in un contesto tanto importante, quello delle origini della storia e della cultura del continente. Questo studio ci permette di riflettere sull’assoluta insensatezza di certe nostre divisioni culturali e, soprattutto, restituisce l’importanza storica di una terra che oggi, come in passato, si rivela sempre guerrigliera e combattiva, in quest’ultimo caso, contro i luoghi comuni della Storia.

Federica Lento

(www.bottegascriptamanent.it, anno VIII, n. 88, dicembre 2014)

Collaboratori di redazione:
Elisa Guglielmi, Ilenia Marrapodi
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