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A. XVIII, n. 199, aprile 2024
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Dibattiti ed eventi (a cura di Natalia Bloise)

Vita politica opinabile di un uomo coerente
di Ulderico Nisticò
Vito Casalinuovo, al di là delle simpatie politiche, ha mostrato ferma fedeltà,
sino a Verona e a Piazzale Loreto, alle proprie idee di fascista intransigente


Vito Casalinuovo nasceva 110 anni fa, esattamente il 21 febbraio del 1898, a San Vito dello Ionio, in provincia di Catanzaro.
La sua era una buona famiglia secondo quei tempi, di quelle ai cui giovani si prometteva nulla più che una grigia e comoda professione in un tranquillo, modesto benessere. La Grande guerra, cui partecipò da volontario, e le aspirazioni rivoluzionarie del nascente Fascismo aprirono a lui, come a molti altri, anche calabresi – Michele Bianchi, Luigi Razza ecc. – la prospettiva di partecipare attivamente alla storia nazionale e non più, solo pigramente, di votare per qualunque governo, come era accaduto dal 1861: la nazionalizzazione delle masse della borghesia meridionale.
Reduce e promosso ufficiale, si iscrive al Partito nazionale fascista nel 1921, che gli fa ottenere la “Sciarpa Littoria” e la qualifica di “antemarcia”.
Preso il potere (28 ottobre 1922), Mussolini istituì una milizia volontaria per la sicurezza nazionale, anche per inquadrare e normalizzare gli squadristi ed evitare che divenissero un pericolo per l’ordine pubblico. Casalinuovo, entrato in servizio permanente nel ’23, ne percorre i gradi. Nel ’27 è nel corpo di guardia del duce. Nel ’31 sposa Clara e diviene comandante della corte di Oristano.
Nel 1935 l’Italia invade l’Etiopia. L’ufficiale, su sua istanza, viene inviato al fronte. Appena cessate le operazioni in Africa, la milizia partecipa alla guerra civile spagnola. Vito è inquadrato nella divisione “21 aprile”.
Si addensano nubi oscure di guerra mondiale. Già nel maggio del ’39 è inviato a presidiare i possedimenti italiani del Dodecanneso e Rodi, al comando della 221ª legione egea “Conte Verde”. Ha ormai il grado di console. Torna in patria per assumere servizio al quartier generale della milizia.
Il 25 luglio 1943 si trova, come molti altri fascisti, impreparato agli eventi. Ma, liberato Mussolini e costituita, il 13 ottobre, la Repubblica sociale italiana, Casalinuovo raggiunge il Nord. La milizia non verrà ricostituita e, per venti mesi, l’ultimo mondo fascista assisterà a un turbinio di formazioni militari e paramilitari e relative collocazioni personali. Casalinuovo è giudice al processo di Verona contro i firmatari dell’Odg. Grandi, accusati di tradimento e poi condannati a morte: tra questi, Galeazzo Ciano ed Emilio De Bono.
Il 3 settembre ’44 Mussolini lo sceglie come ufficiale di ordinanza e, fino agli ultimi giorni, vive a Gargano. Lo segue fino ai colloqui con il cardinale Schuster e alcuni esponenti del Clnai (Comitato di liberazione nazionale Alta Italia). Subito dopo, gli eventi, tuttora coperti da mistero e che, forse, non saranno chiariti mai, lo separano da Mussolini. Successivamente viene sorpreso insieme a Pavolini, Farinacci, Starace e in compagnia di quel Bombacci che, nel lontano 1921, avevano fondato, prima di pentirsene, il Partito comunista d’Italia e, infine, fucilato. I cadaveri vennero appesi a piazzale Loreto, accanto, se è vero, a quelli di Mussolini e di Claretta Petacci. Ma sul corpo di Casalinuovo venne scritto, per equivoco, Gelormini. Due anni dopo la salma venne traslata a San Vito.
Il nipote Nicola Sinopoli ne tracciò la biografia in Vito Casalinuovo (G. Greco editore).

Tra il mistero e il fascino della storia
Per il Neofascismo, che non tardò a ricostituirsi sotto varie forme e sigle, Vito Casalinuovo divenne presto un mito: l’uomo coerente, il combattente, il volontario, l’alto ufficiale della milizia, l’uomo vicino al duce nei giorni, se non nelle ore, della fine, bastavano ad ammantare la sua vita e la sua morte di un’aura di dramma ed eroismo. Si aggiunga che, per le vicissitudini della politica italiana si impose una sorta di interessata convenzione a tacere, ufficialmente, di lui. Una convenzione alla quale si sono attenuti un po’ tutti: un ottimo incentivo per parlarne, anche perché a tale silenzio si sono associati dei suoi stretti congiunti – quali, ad esempio, Mario Casalinuovo – che hanno avuto un importante rilievo politico e culturale in Calabria e in Italia.
E il 17 luglio 1980 una piccola folla accoglieva con il “Presente!” militare e fascista le spoglie di donna Clara Alessandroni, che raggiungevano Vito Casalinuovo nel cimitero di San Vito dello Ionio, nelle Preserre catanzaresi. Finiva, così, l’episodio terreno di una coppia destinata all’amore e alla tragedia e uno specchio della vicenda degli italiani negli anni più foschi e più intensi della loro storia moderna.
Lo storico, messa da parte ogni simpatia o antipatia personale, vuole trarre occasione proprio da queste circostanze e da questi mutamenti, del resto comuni in Italia tra il 1914 e, perché no, oggi, per intuire in Vito Casalinuovo lo specchio delle inquietudini e delle speranze, delle illusioni e delle audacie di una generazione di uomini comunque capaci di combattere e morire per le proprie idee. E di cui si avverte in questi nostri grigi anni una desolante carenza, che non pare possa trovare presto rimedio.

Ulderico Nisticò

(www.bottegascriptamanent.it, anno II, n. 6, febbraio 2008)
Collaboratori di redazione:
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