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Storia (a cura di Fulvia Scopelliti) . Anno VIII, 87, novembre 2014

Zoom immagine Incuria e degrado:
i mali nostrani
dei tesori dell’arte

di Daniela Vena
Da Viella, l’ennesimo grido d’allarme
sulle negligenze nei beni culturali


Comprendere la tessitura profonda della realtà che per alcuni versi viviamo e per molti altri subiamo non è semplice. Tuttavia, il testo che andremo qui ad analizzare sembra riuscire in tale arduo intento: schietto e diretto, suscita anche nei lettori più frettolosi la curiosità di capire quali sistemi regolino il nostro paese. Le numerose Recensioni in esso contenute e divise per argomenti generali mettono in luce la deriva politica e la mancanza di competenze, cause prime ed ultime dell’impoverimento economico in tutte le sue forme ed espressioni. La mancata marginalizzazione di questo depauperamento perpetuato ha comportato un’assenza globale del sistema di tutela del lavoro, causa del massiccio espatrio dal nostro paese, che accomuna e affligge tanto il Sud quanto il Nord. Un’epidemia di smemoratezza e il ricorso a soluzioni obsolete rappresenta il rovesciamento di prospettive che, invece di puntare allo sviluppo e alla crescita del ricercatissimo made in Italy, ne causano il decremento. Tocca dunque agli imprenditori e ai lavoratori muoversi in un labirinto di segnali indecifrabili, di aiuti non arrivati e di impedimenti continui, sospesi a vivere tra la rinascita e il timore della prossima caduta economica. Il saggio Il mestiere di storico. Rivista della Società Italiana per lo Studio della Storia Contemporanea IV / 2, 2012 (Viella edizioni, pp. 300, € 40,00) si apre con le Riflessioni di Giuliano Amato e di Maddalena Carli; Discussioni, Rassegne e Letture lo arricchiscono, rendendolo ancor più comprensibile e fruibile.

 

L’Italia allo specchio

Nella parte iniziale del saggio, scritto in occasione del centocinquantenario dell’Unità nazionale, il professore Giuliano Amato riflette sull’Italia odierna, lanciando uno sguardo sul Rinascimento e sul periodo seguente, quando erano già contrapposte le fazioni antitetiche che da una parte sostenevano l’operato di Cavour, mentre dall’altra parte erano fautori dell’Italia di Garibaldi, di Mazzini o di Cattaneo. Poi si sofferma sui sostenitori dello stato, della società civile e del sentimento nazionale: «Centocinquant’anni dopo non dovremo essere partigiani dell’uno o dell’altro, dovremo essere in grado di valutare l’insieme delle loro interazioni. E al di là delle contrapposizioni residue, questa valutazione ha finito per prevalere, riportandoci a quella lettura sincretica del Risorgimento, che si era affacciata a fine ’800 e che successivamente era caduta in disparte». Secondo l’ex primo ministro, gli italiani hanno sempre avuto la consapevolezza di essere il risultato di una fusione di popoli e culture diverse. Ed è proprio questa consapevolezza che ha determinato la caduta del regime fascista, che rifiutava l’italianità dei non ariani e degli ebrei. Mai come in occasione del Centocinquantenario si è discusso sul processo di formazione del nostro paese. La storia ha mostrato i progressi che l’Italia postunitaria ha compiuto, ma anche l’arretratezza conclamata del Sud. Sullo sfondo di un’Italia politicamente incerta, le imprese e le industrie denunciano il loro stato di precarietà e di emergenza; costrette a lottare da sole a mani nude in un paese che si regge a malapena. A tutto ciò si aggiunge la liquidità negata dalle banche, fonte imprescindibile per la sopravvivenza e la crescita degli esercizi più piccoli come di quelli più grandi.

Per scongiurare la crisi alcune imprese hanno ripiegato sulla cooperazione, trovando un modo alternativo per arginare o, in alcuni casi, per procrastinare il fallimento. Nei grandi numeri, però, l’economia italiana mostra il crescente impoverimento e la scomparsa di centinaia di attività. Tra i vari settori il turismo costituisce una cospicua risorsa non ancora del tutto utilizzata. Il nostro Belpaese ha sempre esercitato il suo fascino attrattivo in tutto il mondo: il clima, i monumenti, la buona cucina, l’accoglienza e il famoso vivere all’italiana hanno riempito ed incrementato le entrate nazionali. Eppure, nonostante queste potenzialità, il nostro patrimonio artistico è insidiato dal logorio del tempo e dall’incuria delle istituzioni preposte. Basti pensare ai crolli avvenuti a Pompei o al degrado del Colosseo.

La conservazione dei beni culturali è un argomento molto sentito da Maddalena Carli, che a tal proposito scrive: «parlare di patrimonio culturale, della sua valorizzazione e della sua salvaguardia dovrebbe presupporre un serrato confronto tra i diversi punti di vista che si occupano del passato e delle sue tracce, della copia e del vero, dell’uomo, dunque, e della sua temporalità». In Italia, infatti, esistono monumenti e luoghi colmi di fascino e di suggestioni, che in un arco di tempo plurisecolare sono stati testimoni di eventi unici e straordinari. Visitarli e contemplarli genera un’ammirazione incondizionata. Sembra impossibile che il numero imponente e massivo dei nostri monumenti, derivanti dal fermento creativo che si è alternato nelle diverse fasi storiche, si sia rilevato penalizzante. Molti, infatti, sono stati dimenticati e abbandonati, cadendo inesorabilmente nell’oblio. Questo atteggiamento così superficiale è deplorevole, poiché l’importanza storica, archeologica e antropologica di queste forme d’arte è indiscutibile.

Con queste parole il professor Amato conclude le sue riflessioni: «Secondo la ricerca, l’apporto dei valori collettivi, di fattori identitari e comuni proiettati verso un futuro migliore ha incrociato un bisogno crescente degli italiani, ormai smarriti nel presente senza uscita al quale li stava condannando la cultura dell’individualismo e delle separatezze, propria della lunga stagione che avevano vissuto. Mi fermo qui, perché avevo il compito di fare un bilancio consuntivo e temo, su questa strada, di finire in un preventivo, che potrebbe apparire a molti ipotetico. Ma non riesco a concludere senza una citazione che nulla ha a che fare col nostro 150° e che mi ha tuttavia accompagnato per l’intero anno delle celebrazioni. La citazione è dell’ultimo libro di Tony Judt, Il mondo è guasto, là dove Judt dice che anche quando si tratta di problemi economici, parlare solo di mezzi non basta a risolverli. Occorre avere dei fini dotati di una forte valenza etica ed essere capaci di farli condividere. È infatti la mancanza dei fini a rendere insolubili i problemi dei mezzi. Dubito che Judt abbia mai riflettuto sul passato e sul futuro degli italiani. Di sicuro aiuta noi a farlo».

 

Daniela Vena

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno VIII, n. 87, novembre 2014)

Collaboratori di redazione:
Elisa Guglielmi, Ilenia Marrapodi
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