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A. XVIII, n. 200, maggio 2024
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Recensioni brevi (a cura di La Redazione)

Il complesso splendore
e le ancestrali virtù
dell’universo femminile
tra dolore e intimità

di Pamela Quintieri
Da La Vita Felice, storie di donne che indagano e rivendicano se stesse.
Sfaccettature e meccanismi psicologici che portano (anche) alla vendetta


Il sesso femminile racchiude in sé una prodigiosa potenza, quella di riuscire a creare e generare un nuovo essere umano. Questo dono fa dell’essere donna una sorta di alchemico mistero portentoso che viene riversato in tutto quello che al mondo femminile si associa. Se le donne hanno questo quid, questo qualcosa in più che le rende speciali, è anche naturale che una tale caratteristica crei dentro di loro dei ricettacoli profondissimi di emozioni che spesso arrivano amplificate e lancinanti e che vengono vissute in modo viscerale nell’intima verità della propria persona.
Ansia, turbamento, amore, passione ma anche dramma, dolore, problematicità esasperata e, infine, patologia e morte: tutto questo e molto di più viene raccontato, descritto e analizzato attraverso le storie di quindici singolari protagoniste, pronte a svelare i propri intendimenti e accorgimenti a chi vuol accostarsi e ascoltarne la storia e la memoria.
Femmine che mai vorreste come amiche (La Vita Felice, pp. 104, € 12,50), della giornalista Manuela Minelli, ha tutta l’intenzione di indagare questo universo raro, intricato, possente: quello umano e fragile della femminilità, non apprestandosi di certo ad accarezzarne sterilmente la rifulgente patina dorata, ma incamminandosi e penetrando gli abissi più cupi e neri della psiche, a volte anche disturbata.
«Quando mi portarono qui tirandomi via da quella galera piena di puzza e lamenti, ero giovanissima, non stavo più nella pelle dalla gioia. All’inizio a casa nuova c’erano i bambini, che sono degli umani piccoletti, urlanti e prepotenti, viziati da quelli grandi, che a me non permettono di stare sul divano, dicono che lo sporco, e loro ci possono saltare con le scarpe e mangiarci la cioccolata e altre schifezze».

Femmine
Sono storie fragili e dolorose, levigate dalla magia dell’attimo e dal tormento. Imprigionate in una vita che non appartiene loro del tutto e in un’esistenza spesso non voluta, queste donne danno sfogo al femmineo nascosto che è in loro per trasformarsi e trasfigurare il resto del mondo.
Appare, dunque, coraggio dietro la timidezza e voglia di riscatto dietro una storia già scritta per loro da qualcun altro. La forza, l’audacia, la passione… ma anche il rigore, lo sconforto, l’incanto disilluso sono tasselli sfaccettati della stessa intelaiatura dove hanno la funzione di impersonare e mistificare stereotipi ancestrali e psicologici.
«Come sono capitata qui non lo ricordo. Avevo un ragazzo, poi l’ho lasciato, ma forse solo perché lui aveva lasciato me. Mi aveva abbandonata inebetita e inutile, appoggiata al muretto della stazione, mentre la pioggia si mescolava alle mie lacrime. Attraversai più strade a occhi chiusi, ma le macchine mi evitavano, suonando forte il clacson».
Queste donne ci affascinano, ci illuminano e poi ci rapiscono con la loro personalità accesa, con le storie che sentiamo particolarmente vicine a noi e coinvolgenti, perché si raccontano umanamente, si confidano nel modo più semplice, quasi sussurrando quello che hanno vissuto o stanno per vivere. Ci sono gioie e dolori nelle fragili esistenze di questi esseri: intensi, carismatici, commoventi, nel bene e nel male, che si esprimono vivendo situazioni logiche o al limite della realtà nelle quali, a volte, chi si accinge alla lettura del libro potrà facilmente specchiarsi, rivedersi. O potrà anche solo provare la paura agghiacciante che un evento simile possa toccare la sua esistenza e sconvolgerla.
In alcune storie ci si misura con patologie molto serie del nostro secolo, come nello splendido racconto Gala, in cui la protagonista è affetta da uno dei mali più chiacchierati e pericolosi per le giovani donne: l’anoressia. «Gala ha capelli di fieno, labbra di zucchero rosa, pelle d’ambra e nocciole nello sguardo. E ha un unico, preciso obiettivo. Quaranta. All’inizio va per gradi, cinquantacinque, cinquantadue, cinquanta, quarantotto, quarantacinque, via via fino alla meta. Si sente forte, Gala, fortissima. Ha il potere della sua fragilità, tiene a digiuno la vita a causa di colpe non sue».

Conclusioni
Se la lettura ha il potere di affascinarci ma anche di farci potentemente riflettere, questo testo ci permetterà di assaporare il complesso mondo femminile e le sue contraddizioni, lasciandoci spesso un aspro sapore in bocca, quello che serve per dare sfogo e vita al desiderio di fare di più, di proteggere ed aiutare quell’universo tanto luccicante e fulgido quanto spesso pieno di insidie e di problemi…
«Si chiama Gioia, ma a vederla non lo diresti. Ha gli occhi infossati e tristi, i capelli di colore indefinito, color buccia di patata e le gambe magre, da antilope. Sul sopracciglio sinistro ha una cicatrice che le dà un’aria torva e sotto l’occhio destro ha un alone giallo, che qualche giorno fa doveva essere stato viola. Quando cammina non alza mai gli occhi al cielo e sembra andare sempre di fretta […] Le botte cominciò a prenderle quando la società di lui fallì, il socio divenne irreperibile e i debiti aumentavano vertiginosamente. Tornava a casa ubriaco e la picchiava, così, senza un motivo, per il semplice gusto di farlo. Una domenica mattina le schiacciò la faccia con lo scarpone da caccia e le infilò in bocca la canna del fucile, facendola sanguinare per un’ora».

Pamela Quintieri

(www.bottegascriptamanent.it, anno VIII, n. 86, ottobre 2014)

Collaboratori di redazione:
Elisa Guglielmi, Ilenia Marrapodi
Progetto grafico a cura di: Fulvio Mazza ed Emanuela Catania. Realizzazione: FN2000 Soft per conto di DAMA IT