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Anno VIII, 85, settembre 2014
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Home Page (a cura di Ilenia Marrapodi) . Anno VIII, 85, settembre 2014

Zoom immagine Il bisogno di popolarità che anima
l’attuale “società dello spettacolo”

di Giuseppe Licandro
Tonino Perna indaga le ambiguità nel mondo degli old e new media
e dei nuovi modi dell’agire politico in un saggio edito da Rubbettino


Nel 1967 lo scrittore francese Guy Debord, esponente di spicco dell’Internazionale situazionista, denunciò nel saggio La société du spectacle (Buchet/Chastel) l’alienazione di massa che caratterizzava il capitalismo della sua epoca e la tendenza a spettacolarizzare ogni aspetto della vita sociale, asserendo che «lo spettacolo diviene realtà e la realtà s’instaura nello spettacolo».

Oggi, in virtù degli innumerevoli mezzi di comunicazione che bombardano la vita dei cittadini, il mondo nel quale viviamo appare ancora più accecato dai riflettori rispetto a quello degli anni Sessanta del Novecento. All’inizio del XXI secolo, infatti, ai mass media tradizionali (cinema, radio, stampa, televisione) si sono affiancati sia i quotidiani che le riviste on line, unitamente ai blog e agli innumerevoli social network (Facebook, Google+, Meetup, Myspace, Twitter, ecc.) che ormai collegano miliardi di abitanti del nostro pianeta in una sorta di villaggio globale.

Un’attenta riflessione sugli aspetti manipolatori delle più avanzate tecnologie della comunicazione di massa e sulle nuove modalità dell’agire politico è stata sviluppata da Tonino Perna, ordinario di Sociologia economica presso l’Università di Messina e assessore alla Cultura della Giunta comunale messinese, nel saggio Schiavi della visibilità (Rubbettino, pp. 88, € 10,00).

 

Il bisogno di visibilità

Nella Prefazione, Perna si chiede se sia inevitabile rassegnarsi all’idea secondo la quale «pensiamo di esistere, di valere, di avere un ruolo nel mondo o nella storia, solo quando siamo “visibili”», soffermandosi a riflettere, nella prima parte del testo, sul bisogno di popolarità che anima molte persone nella società odierna.

Il desiderio di attirare su di sé l’attenzione risulta normale nei bambini, perché connesso al loro bisogno di affetto, ma appare un sintomo patologico negli adulti che «non riescono a contenere questo istinto infantile di mettersi al centro della scena».

Il capitalismo odierno, fortemente impregnato di valori individualistici, dà impulso al narcisismo esasperato attraverso molteplici forme comunicative, la più importante delle quali è senza dubbio la spettacolarizzazione della politica, che ha messo in crisi il modello di democrazia rappresentativa affermatosi in Occidente nel corso del XX secolo.

Perna fa notare che «mentre i partiti di massa scompaiono, i leader diventano onnipotenti, si identificano totalmente con il partito»: se un tempo la classe dirigente si plasmava attraverso una lunga militanza dentro organizzazioni politiche che selezionavano accuratamente i propri quadri, oggi la fortuna di un leader dipende principalmente dalle apparizioni nei talk show televisivi, dalla bravura nel “twittare” e dalla partecipazione ad eventi mondani che procurino popolarità.

Chi non riesce a pubblicizzare se stesso tramite i mezzi di comunicazione di massa rischia la “morte mediatica” perché «“uscire dalla scena mediatica” significa “morire”»: ciò vale non solo per i politici ma anche «per tutti i grandi uomini dello spettacolo, del giornalismo televisivo, e in generale per tutte le élite che hanno “visibilità”».

Anche per i movimenti ambientalisti e pacifisti new global è diventato fondamentale apparire sui grandi mezzi d’informazione: l’hanno capito molto bene associazioni come Greenpeace e Legambiente, che devono la propria fortuna alla «continuità nella presenza sui mass media».

La Primavera araba, esplosa nel 2011, è stata in parte fomentata proprio dai «network mondiali della comunicazione» che hanno pubblicizzato fin dall’inizio le manifestazioni di protesta, amplificando così la lotta degli egiziani e dei tunisini contro «governo e presidenti corrotti e impopolari».

L’esempio più eclatante di un leader che si è affermato grazie ai mass media è rappresentato da Beppe Grillo: secondo Perna, il comico genovese ha saputo dapprima costruire «una “visibilità” sulla rete del M5s che non aveva mai avuto nessuno» e in seguito è riuscito a farsi pubblicità anche attraverso gli altri mezzi di comunicazione. Al suo successo, infatti, hanno contribuito tanti giornalisti della carta stampata e della televisione che, intervistandolo e riprendendolo continuamente durante i meeting del Movimento 5 stelle, gli hanno fornito «involontariamente il massimo della visibilità».

 

La mistificazione dei fatti

Nella società postmoderna i mass media tendono spesso a manipolare i fatti, ricostruendoli arbitrariamente «attraverso una ripetizione di messaggi, non importa quanto basati su dati storici o scientifici».

L’autore, in tal senso, porta vari esempi: l’errata convinzione, diffusa tra molti giovani, che «l’Italia sia stata gestita e rovinata dai comunisti»; le dichiarazioni rilasciate da alcuni “esperti” per «dimostrare l’infondatezza del rapporto tra inquinamento da CO2 e mutamento climatico»; le campagne allarmistiche in favore della somministrazione di alcuni tipi di vaccini «che mettono la popolazione nel panico e procurano grandi guadagni alle industrie farmaceutiche»; le bugie sulla presenza di armi chimiche in Iraq con le quali il governo statunitense nel 2003 «ha giustificato l’intervento militare degli Usa e dei suoi alleati».

Nel mondo odierno chi vuole attingere notizie dal web è soffocato da una quantità impressionante d’informazioni. L’“iperconnessione”, tuttavia, finisce per creare disinformazione ed aumentare la confusione mentale dei “cybernauti” che spesso «navigano seguendo impulsi emotivi, miscelando le informazioni senza verificarne l’autenticità».

Il sociologo calabrese fornisce dati molto indicativi a proposito dell’eccessiva dipendenza delle persone da Internet: «i cittadini di sua maestà britannica dedicano alla vita on line una media di 746 minuti alla settimana», superati solo dagli statunitensi che «hanno il primato con una media di 791 minuti», mentre gli italiani si assestano a livelli più bassi, con 415 minuti settimanali.

Connettersi continuamente al web può diventare un bisogno compulsivo e, dunque, un vizio o addirittura «una droga subdola, legale, illusoria, che crea non pochi danni».

 

I «poteri invisibili»

Un altro connotato estremamente negativo dell’odierna «società dello spettacolo» è rappresentato dall’esistenza, dietro le quinte della visibilità pubblica, di poteri occulti «che agiscono con logiche e pratiche “invisibili”».

Già all’epoca della Guerra fredda i servizi segreti delle superpotenze ordirono varie trame contro illustri personaggi politici (John e Robert Kennedy, Aldo Moro, Giovanni Paolo II, Olof Palme, ecc.), organizzando cruenti colpi di stato e stragi sanguinose.

Dopo la scomparsa dell’Urss, i poteri occulti hanno continuato comunque a destabilizzare molte nazioni, come è emerso dalle denunce del giornalista australiano Julian Assange e dell’esperto di informatica statunitense Edward Snowden, i quali hanno svelato molti segreti inconfessabili del governo degli Usa, «provocando un terremoto a livello politico su scala globale».

Esiste, poi, un altro “potere invisibile” che negli ultimi venticinque anni è cresciuto a dismisura su tutto il pianeta: la grande criminalità organizzata. Perna, riportando le stime relative all’aumento vertiginoso del giro di affari delle varie “mafie”, informa i lettori che oggi esse producono «intorno al 10-12 per cento del Pil mondiale».

Un inquietante segno del potere di cui dispongono i clan è fornito dalla loro formidabile capacità di condizionare le classi dirigenti, giungendo persino a controllare di fatto alcuni stati «come il Messico, la Russia, la Nigeria, il Montenegro, la Bulgaria, e molte ex Repubbliche sovietiche del Caucaso e piccoli Paesi africani».

Un ulteriore “potere oscuro” del nostro tempo è costituito dalla “finanza ombra” che, accumulando profitti per decine di miliardi di dollari all’anno, danneggia l’economia reale senza essere ostacolata da alcun governo «proprio perché […] non è visibile, e quindi identificabile e attaccabile»; secondo alcune stime, nel 2012 i profitti del settore finanziario hanno oltrepassato i 67.000 miliardi di dollari, «superando il valore del Pil mondiale».

Perna passa poi a esaminare il complesso meccanismo degli hedge funds, i fondi speculativi d’investimento che consentono lauti guadagni in Borsa attraverso la compravendita di prodotti finanziari come i futures, i “titoli derivati” quotati sulla base dell’andamento del prezzo futuro di un “prodotto sottostante”.

Poiché tra i beni di riferimento delle “scommesse finanziarie” ci sono anche i cereali, si verifica spesso l’assurda circostanza per cui «le borse di Chicago e Zurigo ne determinano in anticipo il prezzo finale che si avrà al tempo del raccolto», provocandone il rialzo artificiale.

 

Tre punti per una svolta

Nell’ultima parte di Schiavi della visibilità l’autore avanza varie proposte per «liberare il nostro immaginario dall’ossessione della Crescita Economica», riprendendo un noto assunto del sociologo francese Serge Latouche.

Il programma di Perna si può riassumere in tre punti: «a. Andare al di là del pensiero unico. […] b. Disvelare la società nascosta, liberare le energie sommerse. […] c. Promuovere le Buone Pratiche».

Il primo punto prevede che la ricchezza delle nazioni non sia più misurata sulla base dei parametri quantitativi con i quali si calcola il Prodotto interno lordo, ma attraverso criteri che stabiliscano la reale qualità della vita (tenendo cioè conto del tasso d’inquinamento ambientale, del valore biologico dei cibi consumati, del livello dei servizi sociali erogati, del grado di alfabetizzazione, ecc.).

Il secondo punto comporta la diffusione di un’informazione giornalistica libera e affidabile «che vada al di là del visibile e facilmente accessibile», svelando i segreti e le contraddizioni dell’odierno sistema capitalistico, spesso tenuti nascosti da molti cronisti mainstream.

Il terzo punto implica un nuovo modo di amministrare il territorio che sia in grado di spaziare «dalla cura dell’ambiente alla creazione e manutenzione di “beni comuni”, alla promozione di spazi culturali, fino alla creazione di monete di scopo […] che servono per raggiungere obiettivi di promozione sociale e tutela ambientale».

Per realizzare questo progetto è necessario che la maggioranza delle persone modifichi le proprie abitudini e smetta di «vivere turisticamente», cioè di guardare superficialmente il mondo senza assumersi responsabilità, dimenticandosi di chi soffre e di chi «vive nei sotterranei della storia».

È indispensabile, inoltre, impegnarsi nella costruzione di un nuovo tessuto sociale che valorizzi l’“essere” e non più l’“avere” o l’“apparire”, diffondendo tra i giovani la convinzione che «un altro modo di vivere sia realmente possibile, se ci si crede e si libera il nostro immaginario dalla falsa immagine […] che non ci siano alternative, che ingiustizie, soprusi, guerre, siano date per sempre».

Perna conclude la sua accurata disamina della disumanizzante deriva intrapresa dalla società occidentale facendo propria l’esortazione con la quale Vittorio Arrigoni, il reporter pacifista morto in Palestina nel 2011, terminava i suoi articoli: «Restiamo Umani».

Apprezziamo e condividiamo le idee esposte in Schiavi della visibilità, pur essendo consapevoli della difficoltà di realizzare gli obiettivi proposti dall’autore, a causa dell’ostracismo dei “poteri forti”, i quali hanno interesse a mantenere inalterato lo status quo e a perpetuare i dettami del capitalismo neoliberista che tanti guasti stanno arrecando alla maggioranza dell’umanità.

 

Giuseppe Licandro

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno VIII, n. 85, settembre 2014)

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