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A. XVIII, n. 200, maggio 2024
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Pedagogia e Scienze dell'educazione (a cura di Francesca Ielpo)

Zoom immagine Le esigenze del sistema
didattico e i bisogni
propri di ogni bambino:
una sintesi impossibile?

di Irene Nicastro
Da Sonda, un’utile guida educativa per genitori e insegnanti
per affrontare al meglio l’adattamento scolastico dei più piccoli


Il titolo e il sottotitolo di questo saggio, presi da soli, danno molto su cui riflettere. La prima domanda che ci si pone è: «Com’è possibile che dei bambini vadano a male?». Un quesito che trova presto risposta tra le pagine del testo in questione. L’autore stesso dice che «i bambini possono essere “guastati” in tanti modi: gli adulti, il sistema, gli apparati hanno escogitato e praticano, spesso senza averne consapevolezza, infinite forme di corruzione, precoci, sottili, insistite, alle quali la pur eroica capacità di resistenza (e resilienza) della vitalità primitiva non riesce a opporsi». Dai bambini si pretende che facciano ciò che non sono in grado di fare, esponendoli ad eventuali insuccessi e fallimenti; oppure sono i modi di essere della scuola che sconfiggono l’alunno, dal quale si pretende che sia ciò che non può essere. Il risultato è sempre lo stesso: lo studente meno integrato è quello che ha maggior bisogno di cure, che spesso rimane indietro rispetto al resto della classe e viene allontanato dai compagni e dall’insegnante. Un circolo vizioso che può essere spezzato, come spiega Maurizio Parodi nella prima parte di Gli adulti sono bambini andati a male. Per genitori, educatori e insegnanti che vogliono imparare a non insegnare (Edizioni Sonda, pp. 174, € 14,00), prendendo di petto i principali problemi della scuola italiana. Mentre, nella seconda parte, alcuni personaggi prestigiosi che lavorano all’interno dell’ambiente scolastico, accademico e pedagogico propongono concrete soluzioni per risolvere questi problemi. 

 

Il contenuto del saggio

Nel suo testo, Parodi vuole denunciare gli aspetti più dannosi dell’istituzione scolastica, lanciando un allarme per evitare che «gli adulti di domani siano bambini andati a male oggi».

Il saggio è diviso in due parti; nella prima, di cui si è occupato lo stesso Parodi, viene analizzato l’ambiente scolastico e familiare, all’interno del quale i bambini trascorrono le loro giornate. Egli esamina come possono essere interpretati da un bambino i continui rimproveri e le punizioni. Ci spiega, infatti, che la maggioranza delle procedure scolastiche è dettata dalle necessità proprie del sistema didattico, che spesso prevalgono sulle ragioni dell’azione educativa. In questo modo può facilmente accadere che il bambino sia soggetto ad esperienze intese a favorirlo e ad altre che, invece, favoriscono la burocrazia. Il bambino per sua natura è portatore sano di novità, e potrebbe sentirsi mortificato nella sua esuberanza, nell’esprimersi, comunicare e manifestarsi per quello che è. Da qui scaturisce il disadattamento scolastico, che secondo Parodi, può insorgere per due motivi. Il primo di questi è «la discrepanza tra le capacità dell’alunno e le prestazioni richieste». Si pretende, cioè, che il bambino faccia ciò che non è in grado di fare, esponendolo ad un eventuale insuccesso; oppure può accadere che si verifichi una forma di disadattamento scolastico a causa di una maggiore capacità intellettiva che mal sopporta il ritmo lento e uniforme dell’insegnamento. Il secondo caso è «il conflitto tra la personalità del bambino e il sistema scuola». Questo caso è spesso associato al primo, ma ciò che viene discusso è il modo di essere della scuola, ossia i suoi metodi, le procedure e i valori, che sconfiggono l’alunno dal quale si pretende che sia ciò che non può essere. Il risultato in questi due casi di disadattamento è sempre lo stesso: lo studente che ha più problemi, non reggendo il ritmo della classe, rimane indietro rispetto ai compagni, che si allontanano insieme all’insegnante. La politica che vige ora è quella «dell’ognun per sé»; poiché a scuola si opera separatamente, non ci si può interessare al compagno, quindi viene bandita ogni forma di collaborazione e di scambio. Ciò fa nascere nei bambini uno spirito competitivo, quando invece essi sono portati ad instaurare rapporti di cooperazione con i compagni, sia nella formazione che nel gioco. Come sottolinea l’autore, infatti, «siamo animali comunitari, molto più portati alla collaborazione che a competere; e la cooperazione funziona meglio se ci sentiamo tutti partecipi, alla pari, animati da valori comuni: non soggetti all’autorità indiscussa che disciplina dall’alto». Quindi s’impara meglio insieme. E secondo Parodi s’impara anche sperimentando l’errore: riprendere il bambino ad ogni sbaglio non serve; è più utile fornirgli i mezzi e l’opportunità di valutare da sé ciò che potrebbe comportare ogni sua possibile azione, aiutandolo a capire se ciò che ha fatto è giusto o sbagliato. In tal modo lo si indirizza verso diverse soluzioni, gli si dà la possibilità di imparare dai propri sbagli, facendo, allo stesso tempo, delle esperienze. Per Parodi, infatti, gli adulti dovrebbero imparare a non insegnare, ma ad ascoltare le richieste e i bisogni dei bambini, semplicemente lasciandoli vivere la loro tenera età, senza pretendere di trasformarli in “miniadulti” impegnati ogni giorno in mille attività.

Nella seconda parte del testo Parodi lascia spazio a sette scritti di persone che lavorano all’interno dell’ambiente scolastico, accademico e pedagogico, le quali propongono delle soluzioni per migliorare la scuola italiana. Ciò che emerge da questi brevi saggi è la necessità di porre lo studente al centro della scuola, liberandolo da ogni paura, come ad esempio quella del primo giorno in aula e dal trauma che può nascere dal distacco dai genitori se questo avviene in modo troppo brusco. Viene ribadita ancora una volta l’importanza di saper riconoscere i bisogni e i desideri dei più piccoli, motivarne il lavoro aiutandoli a condividere ogni nuova esperienza con i compagni in modo da non farli entrare in competizione gli uni con gli altri. In definitiva, bisogna lasciare che i bambini siano semplicemente bambini, senza costringerli a giornate impegnate come quelle degli adulti: una cattiva abitudine, questa, causata spesso dalla latitanza o, viceversa, dall’invadenza dei genitori nella vita dei figli. Un genitore troppo assente o troppo presente, infatti, spesso ostacola la crescita del bambino. È necessario invece che il figlio/studente sia al centro di un apprendimento soprattutto in collaborazione con gli altri bambini.

 

Cosa s’intende con sindrome di Adhd

Il testo scritto da Parodi è molto ricco di informazioni e suggerimenti. In particolare, punta i riflettori su un problema già conosciuto in America e di cui si comincia ad avere consapevolezza anche in Italia. Si tratta del disturbo da deficit d’attenzione e iperattività (Adhd). Ancora oggi, i bambini refrattari alle regole sono considerati “guasti”: «i bambini che non stanno tranquilli mentre la maestra spiega, che disturbano il compagno di banco, diventano piccoli ammalati da curare, precisano i medici statunitensi che ogni anno compilano 20 milioni 600 mila prescrizioni pediatriche di farmaci anti-Adhd». Con una pillola l’alunno sta tranquillo per tutta la giornata di scuola, e purtroppo questi psicofarmaci sono ampiamente pubblicizzati per invogliare i genitori a farli usare ai propri figli. Ma cosa s’intende precisamente con sindrome di Adhd?  Si tratta di un disturbo evolutivo dell’autocontrollo; cioè i bambini diventano ipercinetici e incapaci di mantenere l’attenzione e la concentrazione, e quindi, di controllare i loro impulsi durante le attività. Questo comportamento scaturisce dall’incapacità del bambino di controllare il proprio comportamento in funzione degli obbiettivi da raggiungere. Va precisato che questo disturbo non è una fase della crescita che ogni bambino deve superare. L’Adhd è un problema molto serio sia per l’individuo che ne è affetto, sia per i famigliari e gli insegnanti che gli sono vicini, poiché spesso si trovano impreparati nella gestione di tale comportamento. Di fronte ad una reiterata mancanza di autocontrollo, tentano di porre loro stessi un freno all’eccessiva “esuberanza” ma, non riuscendoci, concludono che il bambino sia intenzionalmente maleducato e distruttivo. Diventa, dunque, urgente riuscire a riconoscere e gestire l’Adhd: capire se il bimbo in questione è solo un po’ irrequieto o è veramente affetto dal disturbo dell’iperattività è fondamentale, e ciò può essere diagnosticato e curato solo con l’aiuto di medici specialisti.

 

Irene Nicastro

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno VIII, n. 77, gennaio 2014)

Collaboratori di redazione:
Elisa Guglielmi, Ilenia Marrapodi
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