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Riflessi d'autore (a cura di Aurora Logullo) . Anno VIII, n 77, gennaio 2014

Zoom immagine Un nuovo percorso
d’indagine interiore
parlando di sé
come in un blog

di Daniela Vena
Ventidue racconti-riflessioni
di un uomo di oggi. Da Opposto


Il primo libro di Roberto Albini raccoglie ventidue racconti che sono un attento resoconto delle sue esperienze e delle conseguenti riflessioni maturate sullo sfondo di una quotidianità in cui sono numerosi i “sentieri” che permettono di scoprire gli angoli più remoti dei ricordi. Ogni racconto è una vetrina sui pensieri dell’autore, che più che custodire sembra regalare le sue esperienze. Albini, originario di Roma, dopo aver frequentato l’Istituto di stato per la Cinematografia e la Televisione, specializzandosi in Grafica pubblicitaria ed editoriale, da cinque anni si occupa di due blog, uno in italiano, l’altro in spagnolo. Tra le sue passioni il rock, i modellini di Mazinga e la metropolitana romana. Il bidello dell’amore (Edizioni Opposto, pp. 90, € 10,00), costituito da una serie di posts più che da veri e propri racconti, ricalca in pieno il modus vivendi contemporaneo.

 

La vita e i suoi riflessi

Nella “monotonia” di una caotica Roma si delineano le idee di un uomo che sembra vivere fra il certo e l’incerto dell’ordinario. Le sue giornate sono regolate dallo stordimento di quella futilità che spesso avvolge i nostri pensieri. Il narratore, ovvero «il bidello dell’amore», alter ego dell’autore, assomiglia ad un giovane viaggiatore, enigmatico e indolente, che si confronta sempre più a fondo con la sua identità, attraversando momenti pacifici ed altri frenetici. A questo si aggiunge la visione fatalista evidente nelle sue parole: «mi guardai le mani: erano solo carne e ossa, troppo poco per battere il mio destino». Seguendo il percorso tracciato dalle storie di Albini, si scopre cosa vuol dire per lui vivere da solo, trovare la casa vuota e in disordine, preparare la cena, sentendo soltanto il rumore dell’acqua che bolle ed aspettare guardandosi intorno o fuori dalla finestra. È durante una di quelle tante serate che l’autore scrive: «[…] quante altre solitudini vivono dentro quelle celle gialle, quanti come te stanno […] aspettando un abbraccio che anche per questa sera non arriverà». Vinto da questa solitudine, cede alle ammiccanti bugie dei social networks, predatori della notte. Il falso e fugace inno alla bellezza dell’essere single, e alla conseguente libertà smodata, viene interrotto con queste parole: «in fondo soli si sta bene, fino a quando troverai un calzino disposto ad ascoltarti». Sul divano di casa il narratore si abbandona alle riflessioni, “vivisezionando” se stesso, la gente, il tempo che svanisce, l’atmosfera della sua casa e gli affetti, e si sofferma poi sulla consuetudine di perdere di vista se stesso: «mi sono perso di vista, mi stavo seguendo quando sono sparito dietro quella siepe, e non mi sono più incontrato. Difficile starsi dietro». La sequenza di immagini che la lettura ci offre permette di cogliere il dualismo anatomico del protagonista, alle prese con la sua “parte destra” e con la sua “parte sinistra”: alla morigeratezza e abitudinarietà della prima si oppongono la disinvoltura ed il cinismo della seconda e così attraverso le due si snodano le complessità e le antitesi che convivono nell’anima. Nel racconto da cui è tratto il titolo del libro, Albini ironizza scrivendo: «e sì che pure a me sarebbe piaciuto essere un maestro dell’amore, ma devo essermi presentato tardi perché quando mi hanno assunto non c’erano più posti liberi, e così adesso faccio il bidello. Il bidello dell’amore». Albini poi racconta e descrive il suo atteggiamento nella metro quando si trova senza qualcosa da leggere. È in quei momenti che la timidezza e la capacità d’osservazione raggiungono l’apice. I suoi occhi, quasi sempre nascosti dagli occhiali da sole, evitano gli sguardi altrui per paura, per imbarazzo, ma anche per indolenza. In quegli attimi i cartelloni pubblicitari, i graffiti, ogni tipo d’avviso o volantino diventano le sue scialuppe. Ciò che gli fa conoscere la vita degli altri, come se stesse leggendo un diario personale, sono le scarpe, la loro usura, le loro pieghe e l’altezza dei tacchi. Giunto a destinazione però, l’osservazione s’interrompe: «le scarpe smettono di raccontarmi le storie dei loro proprietari, i graffiti tornano a imbrattare invece che ricordare gioia e i cartelloni delle pubblicità a nasconderne la mancanza». Nel racconto Sulla giostra, momento qui inteso come metafora della vita, il narratore esprime la propria malinconia e la nostalgia per un passato ormai lontano. Sulla giostra, infatti, i pensieri si alleggeriscono e le paure si dissolvono, tornando alla spensieratezza dell’infanzia, quando non tutti ma solo «chi spinge di più si diverte mentre tutto il resto rimane a guardare».

Leggendo l’opera di Albini è possibile compiere un’interessante immersione nella vita di un uomo contemporaneo che non ha perso lo stupore e la curiosità di osservare e di osservarsi. Un libro che, per certi versi, sembra scritto d’impeto e che regala un’alchimia inedita, svelata da uno stile diretto ed incisivo, quasi disarmante, quando fotografa la quotidianità, pervasa da quel duro realismo di cui tutti siamo ormai reduci.

 

Daniela Vena

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno VIII, n. 77, gennaio 2014)

Collaboratori di redazione:
Elisa Guglielmi, Ilenia Marrapodi
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