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Problemi e riflessioni (a cura di Mariacristiana Guglielmelli) . Anno VIII, n 77, gennaio 2014

Zoom immagine Giornalismo e politica:
una simbiosi perfetta?

di Francesca Ielpo
La dipendenza ideologica della stampa italiana
dalle classi dirigenti. Un saggio edito da Aracne


Una corretta informazione dovrebbe muoversi sempre in modo autonomo e democratico, al di là del sistema politico vigente in un stato. D’altra parte, nel giornalismo italiano, come capita di sentire in qualche talk show televisivo, questo non succede poi così spesso. In un recente saggio di Ugo Degl’Innocenti, giornalista addetto stampa presso il Consiglio regionale del Lazio, la questione viene affrontata di petto e senza mezzi termini. Giornalismo e politica Spa. Un sodalizio canaglia (Aracne editrice, pp. 252, € 16.00) è un breve excursus di quello che rende malata l’informazione, poco libera perché legata ad un sistema politico, già corrotto di per sé.

 

I «giornali-partito» e la Rai

Scrive Sergio Rizzo, giornalista e scrittore, nella Prefazione al libro: «L’Italia è l’unico Paese al mondo nel quale il mestiere di giornalista sia storicamente così contiguo al potere e alla politica. Lo è certamente per ragioni storiche e culturali. Cui ha contribuito l’esistenza di un apparato dell’informazione pubblica pletorico e lottizzato fino al midollo». Manca la democrazia, dunque, perché, a detta del prefatore, manca una voce capace di denunciare veramente l’illegalità in cui si è immersi: coloro che dovrebbero condannare misfatti e ingiustizie sono spesso legati ai presunti oggetti di denuncia e alle stesse mancanze delle classi dirigenti. Si capisce perché il riprendersi della democrazia è azione ardua.

L’autore fa un percorso a ritroso: dal giornalismo italiano dei nostri anni fino alle sue origini. Si scrive di Libero e il Giornale, la Repubblica, Il Foglio e l’Unità, si citano nomi come Giampaolo e Antonio Angelucci, Silvio e Paolo Berlusconi, Eugenio Scalfari, Concita De Gregorio. Molti giornalisti si avvicinano a personalità politiche. Scrive Ugo Degl’Innocenti: «Spesso s’intrecciano, dando vita a un modello tutto italiano di giornalismo schierato, lontano anni luce da quello liberale angloamericano, quello del “Washington Post”, il quotidiano che ha costretto alle dimissioni il presidente degli Stati Uniti Richard Nixon, per intenderci». A proposito de la Repubblica e il Giornale, l’autore parla di «giornali-partito». Si legge «macchine del fango, fabbriche di dossier, questi sono i giornali oggi secondo le accuse che vengono mosse da una parte all’altra della barricata e viceversa»: niente a che vedere con la Watergate story.

Da non dimenticare, in questo sistema corrotto, la Rai: «Qui l’abbraccio tra politica e giornalismo è talmente stretto che viene da pensare che fare il giornalista in Rai sia propedeutico alla carriera politica, passando magari attraverso un’esperienza da sindacalista». Giuseppe Giulietti, Lilli Gruber, Michele Santoro, David Sassoli: «Gli esempi sono tanti, ma soprattutto talmente “visibili” che riesce difficile non assimilare le redazioni della Rai a un vero e proprio vivaio di politici in erba, tanto più che è la stessa politica a governare l’azienda di viale Mazzini, attraverso le nomine dei membri del Consiglio d’amministrazione, e a decidere chi vi accede nelle direzioni delle reti, dei giornali, nelle strutture tecniche e perfino nei programmi d’intrattenimento».

Una volta spiegata la situazione giornalistica attuale, si volge lo sguardo al passato. Si viene a conoscenza di come l’informazione si atteggiasse a mestiere e mezzo di democrazia durante la Rivoluzione francese, il Risorgimento, l’Unità d’Italia, il Fascismo, il Dopoguerra.

Solo dopo l’accostamento ai nostri antenati, si ritorna a discutere della situazione giornalistica attuale. I giornalisti nostrani devono iscriversi a un albo professionale ideato durante il Fascismo per tenere sotto controllo gli operatori dell’informazione, successivamente debellato e poi ripristinato nel 1963. Nascono nuove opportunità di accedervi attraverso scuole di giornalismo, università o praticantato presso una testata, ma l’offerta non cresce proporzionalmente alla domanda, e i pochi giornalisti che riescono a entrare nel mondo del lavoro non hanno un contratto. Lavorano gratuitamente o si vedono pagare il proprio articolo al prezzo di un caffè. Non a caso, il giornalismo italiano, nella classificazione proposta da Daniel C. Hallin e Paolo Mancini per le democrazie occidentali, rientra nel modello «pluralista polarizzato» dei paesi mediterranei, costituito da bassa professionalizzazione e alto intervento dello stato e da una forte connessione tra mezzi di comunicazione e partiti politici.

 

Credibilità, creatività, contenuti

Ritornando alla questione della laurea, aumentano le opportunità per avvicinarsi al giornalismo, ma la disoccupazione dilaga e la sussistenza di tali specializzazioni non vede motivazioni valide, poiché la formazione giornalistica va al di là delle competenze peculiari della materia. La responsabilità dell’incremento di studenti aspiranti giornalisti è, in parte, secondo Ugo Degl’Innocenti, dell’università che propone tali corsi di laurea: «Ordine e Università stanno tentando di imbrigliare una professione in Italia fin troppo legata al potere politico che necessariamente dovrebbe essere libera. E tutto questo per autoalimentarsi di nuovi studenti e poi professionisti che ogni anno pagheranno il loro piccolo tributo alla corporazione. Ma soprattutto studenti. Di questo ha bisogno l’università per esistere». Stabilire responsabilità, in un sistema così complesso, è difficile. L’autore rassicura chi non sa più come muoversi nel mondo fluido di Internet e delle sue notizie: «A chi teme blogger, citizens journalist e altre figure del web Massimo Gaggi e Marco Bardazzi suggeriscono alcuni capisaldi del futuro professionista dell’informazione multipiattaforma che sembrano essere quelli di sempre: credibilità, creatività e contenuti».

 

Francesca Ielpo

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno VIII, n. 77, gennaio 2014)

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