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Politica ed Economia (a cura di Elisa Pirozzi) . Anno VII, n 74, ottobre 2013

Zoom immagine Il riscatto
delle donne
nella Storia

di Guglielmo Colombero
Due secoli di politica e teorie
sull’emancipazione femminile
in un saggio edito da Amaltea


«Una storiografia maschilista ha scientemente lasciato nell’ombra, per molti decenni, il contributo determinante delle donne alla costruzione della nostra storia nazionale, in virtù di una distinzione quanto meno falsa, dovuta a snobismo storiografico, che distingue tra argomenti seri, degni di indagine accademica, e argomenti per così dire leggeri, non meritevoli di alcuna attenzione. E tra questi ultimi, ovviamente, rientrerebbe a pieno titolo la questione della donna». Così scrive Leonardo La Puma nella Prefazione al volume Pensiero politico e genere dall’Ottocento al Novecento (Amaltea edizioni, pp. 248, € 20,00), a cura di Fiorenza Taricone, docente di Storia delle dottrine politiche presso l’Università degli studi di Cassino, e di Rossella Bufano, assegnista di ricerca in Storia delle dottrine politiche presso l’Università del Salento.

 

Donne ribelli contro l’ingiustizia sociale e le catene nuziali

In Harriet Martineau tra economia e politica, Ginevra Conti Odorisio tratteggia con passione una grande figura intellettuale femminile della seconda metà dell’Ottocento. «L’ideale della Martineau, per certi versi geniale, fu quello di illustrare i principi dell’economia politica in una trama letteraria accessibile a tutti». Vissuta in Inghilterra fra il 1802 e il 1876, Harriet Martineau divenne celebre in tutta Europa con le Illustrations on Political Economy, racconti che tentavano di divulgare tematiche inerenti alla Prima rivoluzione industriale e ai risvolti sociali che implicava (come la limitazione per legge del lavoro minorile e i sussidi per i poveri). Harriet (in questo simile all’indimenticabile, muta protagonista di Lezioni di piano di Jane Champion) era afflitta da una precoce sordità, per cui la scrittura costituiva per lei lo strumento privilegiato di espressione: dai suoi testi affiorano la consapevolezza, ancora terribilmente attuale, dei «rischi che un mercato sempre più industrializzato e carente di ogni regola poteva portare, e una grande sensibilità verso quella che era la condizione della classe operaia del tempo: disoccupazione, fame, povertà».

In Politica e società nel pensiero di Daniel Stern, Fiorenza Taricone ci racconta invece la turbinosa vita sentimentale di una battagliera nobildonna francese che, sfidando il clericalismo egemone nella Francia del Secondo impero, osò mettere in discussione l’indissolubilità del matrimonio. Firmando le proprie opere con lo pseudonimo di Daniel Stern, Marie Catherine Sophie, viscontessa di Flavigny, vissuta fra il 1805 e il 1876, salì alla ribalta delle cronache mondane dell’epoca per il suo “scandaloso” legame con il musicista Franz Liszt, al quale diede tre figli. Saggista politica e anche narratrice, Daniel Stern, nel suo Essai sur la liberté, riflette sul rapporto fra politica e questione femminile, ponendosi come antesignana dell’ideologia femminista in quanto ostile a un legame irrevocabile, e quindi inevitabilmente oppressivo per la donna, come quello nuziale: «l’autrice si chiede sorpresa come una nazione che ha versato il sangue per conquistare la libertà, rompendo i legami con il sacerdozio, lasci perpetuare la contraddizione dell’indissolubilità del matrimonio, un giogo che attesta al contrario la loro influenza».

 

“Cittadinanza” femminile e crisi del modello patriarcale

In Segni di una cittadinanza femminile: partecipare, includere, intraprendere, Marisa Forcina ricostruisce il percorso dell’emancipazione femminile in Italia, faticosamente avviato da una legge del 1877, che finalmente consentì alle donne di testimoniare in atti pubblici. E focalizza la sua indagine su un termine recentemente balzato alla ribalta politica in seguito all’affermazione elettorale del Movimento cinque stelle: “cittadinanza”, inteso come «capacità degli individui di essere presenti nella comunità con sguardo critico e propositivo», innestandosi su tematiche contigue come l’ampliamento evolutivo e il rafforzamento della tutela dei diritti soprattutto in materia di pari opportunità. «Una pratica sapiente di cittadinanza femminile», osserva l’autrice, allargando il discorso sul versante etimologico e anche ermeneutico, «più che rivendicare spazi e quote di riconoscimento istituzionalizzato, lavora verso un uso di parole adeguate, portavoce di simbolico, per lasciar passare nuovi modelli e nuovi contenuti. Si tratta di cambiare codici e significati cristallizzati in desueti parametri e scoprire nuove definizioni e modalità».

In Donne del Sud tra tradizione ed emancipazione, Rosanna Basso sottolinea come «l’emancipazione economica, ovvero la possibilità, per le donne, non solo di faticare in famiglia, ma di percepire una remunerazione per un’attività svolta in ambito extradomestico, incrina le basi materiali di un assetto tradizionale e patriarcale».

 

Impiccate, ghigliottinate, marchiate come esseri inferiori

In L’editoria femminile come impegno civile e politico: le donne del giornalismo italiano, Laura Pisano rievoca la figura di Eléonora de Fonseca Pimentel, la giacobina napoletana impiccata dagli aguzzini borbonici il 20 agosto 1799 dopo il crollo della Repubblica Partenopea, «la prima donna che intuisce la possibilità di fare dell’editoria giornalistica uno strumento per l’educazione del popolo», e, dopo una fitta panoramica sulle riviste dedicate all’emancipazione femminile (come Cordelia, pubblicata fra il 1881 e il 1942), rammenta che «colpisce la grande varietà di idee e di significati che le donne hanno portato nel giornalismo, colpisce quel particolare sguardo sulla società che esse hanno saputo esprimere come affermazione di una diversità e insieme di ricchezza interiore».

Di un’altra martire della lotta per l’emancipazione femminile, Olympe de Gouges, drammaturga e libellista, ricostruisce l’itinerario ideologico Christiane Veauvy in Le donne e la costruzione dello Stato-nazione in Italia e in Francia (1789-1860). Ma stavolta i carnefici sono quegli stessi giacobini fra i quali militava Fonseca: Olympe, infatti, aveva condannato le Stragi di settembre e si era opposta al sanguinario dispotismo di Marat e di Robespierre. Nel 1791, Olympe espone le proprie teorie nel saggio Les Droits de la Femme: «sposata a 17 anni con un uomo che non amava, avrà un figlio da lui al quale scriverà fino agli ultimi istanti della sua vita. Questi invece, quattro giorni dopo la morte della madre, ghigliottinata il 3 novembre del 1793, dichiarò di non riconoscerla più come tale e di condannare i suoi scritti». Una vera e propria damnatio memoriae di una delle intellettuali più acute della Rivoluzione francese, forse troppo lungimirante per i tempi. Sottolinea infatti Veauvy che «il relativo sviluppo della scrittura femminile durante la Rivoluzione francese non ha impedito a questo periodo di diventare il momento per eccellenza della costruzione di una sfera pubblica, non solo senza le donne, ma contro di loro».

Nella sua Introduzione alla seconda parte del libro, incentrata sulle discriminazioni subite dal sesso femminile in nome di una presunta inferiorità rispetto a quello maschile, Rossella Bufano nota che «in Italia è Cesare Lombroso, stimato fondatore dell’Antropologia criminale, a sistematizzare concetti, idee e soprattutto pregiudizi nei confronti dell’universo femminile», pubblicando nel 1893 il libro La donna delinquente, la prostituta e la donna normale, in cui sentenzia che «la donna è un uomo arrestato nel suo sviluppo». Bufano prosegue l’indagine in L’influenza di Mazzini sul periodico “La Donna” (1868-1891), osservando che nella visione mazziniana la donna «concilia emancipazione e ruolo tradizionale di madre e moglie – in una visione dello Stato che individua nella famiglia la sua prima cellula – ma che assurgerà a ruoli ben più importanti di quelli previsti dal Maestro». A ulteriore riprova di questo, quando nel 1867 cade nel vuoto la proposta di legge Morelli per il voto alle donne, «Mazzini sconsiglia al deputato di perseverare con le sue battaglie a favore dei diritti politici delle donne perché i tempi non sono ancora maturi». Le teorie lombrosiane sulla presunta inferiorità biologica della donna sono analizzate da Massimo Ciullo in L’inferiorità dimostrata. Positivismo scientista vs emancipazione, e in questo ambito si raggiungono veramente i vertici del grottesco: un seguace di Lombroso, lo psichiatra tedesco Moebius, agli albori del XX secolo incardina la propria teoria della “deficienza mentale fisiologica della donna” sulla constatazione che «il peso del cervello e la circonferenza del cranio della donna sono minori di quelli dell’uomo».

 

Sulle barricate: femminismo e polvere da sparo

A chiudere questo ricco e stimolante volume, intervengono Giuliana Mancino in Il dibattito sulla teoria della differenza sessuale di Carol Gilligan, e Gianna Proia in Patriottismo ed emancipazione femminile in Cristina di Belgiojoso. Mancino, nell’indagare sui teoremi del femminismo differenzialista statunitense elaborati dalla geniale psicologa Carol Gilligan, si sofferma su alcune enunciazioni di ampia e quasi profetica portata: «Secondo Gilligan le donne percepiscono e interpretano la realtà sociale in modo diverso dagli uomini, e tale diversità riguarda fondamentalmente le esperienze dell’attaccamento e della separazione. Si deduce che il senso di sé delle donne è diverso da quello degli uomini: nelle donne infatti il senso di integrità personale si intreccia con un’etica della cura responsabile». Infine, Proia illumina le sfaccettature più intriganti dell’eroina risorgimentale Cristina di Belgiojoso, amica fraterna di Mazzini e instancabile infermiera dei combattenti feriti durante la disperata difesa della Repubblica Romana nel 1849: «donna nubile, separata, indipendente, viaggiatrice e corrispondente estera, cospiratrice, letterata, finanziatrice di testate patriottiche, alla testa di una Divisione armata e infine madre di una figlia di cui non volle rivelare la paternità».

 

Guglielmo Colombero

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno VII, n. 74, ottobre 2013)

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