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Filosofia e religioni (a cura di Angela Potente) . Anno II, n° 6 - Febbraio 2008

Zoom immagine Una tradizione ostica
da riportare a parole:
quella dei musulmani

di Roberta Santoro
Un viaggio verso la reale comprensione
dell’Islam, in un volume della Pellegrini


La volontà di istituire un lessico riguardante la cultura islamica non nasce dalla superficialità di proporre la trita e ritrita arringa in difesa dell’Islam, bensì da un’esigenza  vera e ponderata. L’esigenza di dare un carattere, un’appartenenza ed un significato a parole che troppo spesso, per la loro provenienza, sono capite ed interpretate in modo sbagliato. Parole che non sono comprese profondamente anche perché figlie di una tradizione poco vicina alla nostra. Il lessico di cui stiamo parlando è Simboli della Tradizione islamica. Lessico ragionato in 33 voci (Luigi Pellegrini editore, pp. 168, € 15.00) di Dario Tomasello, che ha insegnato, presso l’Università di Messina, Storia dell’Islam e collabora alla rivista Incontri Mediterranei per il medesimo editore.

Il lessico si pone soprattutto l’obiettivo di fare chiarezza su alcune parole che, non appartenendoci, potrebbero subire delle distorsioni dal loro significato autentico. Uno stravolgimento effettuato in primo luogo dai mass media che, fuorviati dai consueti luoghi comuni, sono troppo spesso portati a tradurre erroneamente alcune espressioni islamiche.

Inoltre, sradicare un termine dal proprio contesto costitutivo non è cosa semplice: bisogna tener conto del peso che quella parola porta in sé e del senso che possiede per la propria cultura, bisogna ragionare per simboli e capire che ogni espressione è saldamente ancorata al contesto che la circonda, che la crea che ne ha determinato la nascita.

 

Motivazioni e orientamenti

Non si può essere approssimativi quando ci si accosta ad una cultura che non ci appartiene e che risulta così enormemente distante dal nostro modo di rapportarci al mondo.

Alcune espressioni risultano poi, oltre che strettamente collegate al contesto sociale, anche connesse alla tradizione religiosa, perciò, se non accuratamente tradotte, finirebbero per generare poca chiarezza su questa cultura.

Lo stesso scrittore ci ricorda, nella Premessa, che già notevoli incomprensioni sono legate alla stessa parola islam, che esattamente vuol dire “essere sottomessi a Dio nella pace”, ma che l’opinione comune stenta a riconoscere come tradizione religiosa. «Negare che esista un’ortodossia islamica costituisce il primo passo verso la negazione dell’Islam come religione». Questo sembra essere il punto costitutivo del discorso. Le false interpretazioni ai danni della tradizione islamica hanno innescato il proliferare di fraintendimenti e, se non si riesce ad andare al di là della lingua in sé, non si giungerà mai a scalfire questa superficie di malintesi e guardare al significato effettivo.

L’auspicio che guida l’autore alla scrittura del libro è che questo possa costituire una sorta di manuale per il corretto uso sviscerato in trentatrè voci. Ma in agguato vi è una doppia possibilità di pericolo. Lo si potrebbe accusare di essere stato troppo superficiale e che, non esistendo una civiltà islamica omogenea, concentrarsi su aspetti che non entrano nel vivo della concreta esperienza musulmana potrebbe etichettarlo come studioso approssimativo. Ma egli ha espressamente voluto curare in modo particolare questo aspetto per così dire esterno, anche a costo di essere accusato di eccessiva leggerezza. La seconda trappola, per converso, è invece quella di poter risultare eccessivamente tecnico, insomma un manuale per una ristretta élite di conoscitori; ma in questo caso è evidente che il carattere didascalico del libro non permetteva di muoversi altrimenti.

 

Il lessico islamico

Ovviamente gli elementi del lessico sono riportati nel testo secondo l’ordine alfabetico arabo.

Per ogni parola viene così esplicitato il suo effettivo significato. Ma la spiegazione non è riduttiva a tal punto. Il termine, infatti, è poi riportato al contesto, all’interno della tradizione che lo ha forgiato e che ne fa uso. Citando anche passi dal Corano, cosicché si possa dare una spiegazione in toto, partendo dalle origini autentiche.

Apprendiamo così che la parola imam non solo si riferisce all’uomo a cui spetta il dovere di guidare la preghiera comunitaria e di pronunciare il discorso che la precede, ma anche che quest’uomo viene scelto per anzianità e sapienza, visto che la tradizione islamica non concepisce altre gerarchie fra uomini se non quelle di natura intellettuale. Il fatto che l’Islam manchi di un clero fa sì che ogni uomo adempia alla funzione di sacerdote come reminiscenza del Signore.

Vi sono poi alcuni termini che ormai sono incorporati nel nostro linguaggio e che spesso ci troviamo ad usare, soprattutto dopo l’11 settembre. Infatti questa data segna, oltre che una terribile e devastante svolta negativa, anche la conoscenza di una cultura lontana anni luce da noi e che abbiamo imparato a conoscere anche grazie ai mass media, ci riferiamo a termini come hijab. Nell’Islam, ma anche in altre tradizioni, la necessità di indossare il velo è dovuta al fatto che la religione passa anche attraverso l’abbigliamento. Ed il vestirsi in un determinato modo, costituisce un’esternazione della propria condizione interiore, e se per l’uomo è il portare l’abito tradizionale, per la donna si traduce nell’indossare il velo.

Non vogliamo inoltrarci qui in “territori” che potrebbero risultare spinosi e che aprirebbero discorsi troppo delicati riguardanti la dignità femminile e la vera libertà di scelta delle donne, ma l’autore tende a precisare che la preferenza di estendere questa imposizione a tutta l’esistenza è un fatto personale e riguarda esclusivamente le donne. Una propensione al pudore suggerita, e non resa obbligatoria, dal Corano, in un passo che l’autore cita: «Dì alle tue spose e alle tue figlie e alle donne dei credenti che si ricoprano dei loro mantelli; questo sarà meglio affinché vengano riconosciute e non vengano offese».

Un’altra parola che molti conoscono e che appartiene alla tradizione islamica è salam. Questo termine indica salvezza, pace, integrità dell’uomo in quanto capace di rappresentare l’equilibrio dell’universo. Dalla medesima radice si forma proprio la parola islam della quale abbiamo già precedentemente specificato la traduzione. Salam dunque è anche un modo per esprimere armonia fra gli uomini e che si stabilisce fin dal saluto fra questi.

La parola masjid si traduce come estrema reverenza. Ed è grazie a questa completa e assoluta adorazione che l’uomo trova la sua effettiva collocazione. Maometto, infatti, ha detto che l’uomo si trova estremamente vicino al Signore solo prostrandosi a lui.

La sakina costituisce la presenza pacificata di Dio nei cuori degli uomini, la quale può essere raggiunta solo allontanando da sé la confusione del mondo e accogliendo la vera pace. La vera pace, secondo questa cultura, è intesa come ciò che rende possibile l’elevazione dello spirito intellettuale al di sopra di tutte le altri parti dell’anima. A tal proposito l’autore cita dal Corano: «Huwa Alladhi anzala as-Sakinata fi qulubil muminin è lui che fa scendere la Presenza della Sua Pace nei cuori di coloro che credono».

È difficile in un ambito quale può essere quello di un articolo rendere la complessità e la meticolosità con la quale il libro restituisce degnamente le tradizioni islamiche. Certo, sarebbe stato impossibile riportare pedantemente tutti i lemmi che fanno capo a questo lessico, infatti, quello che abbiamo cercato di proporvi è stato un semplice assaggio della doverosa precisione con la quale è stato costruito questo difficile studio all’insegna dell’autentica migliore comprensione dei termini islamici.

 

Roberta Santoro

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno II, n. 6, febbraio 2007)

 

Collaboratori di redazione:
Elisa Guglielmi, Ilenia Marrapodi
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