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Problemi e riflessioni (a cura di Angela Galloro) . Anno VII, n 73, settembre 2013

Zoom immagine L’impegno giornalistico
nella Turchia democratica

di Francesca Ielpo
Da Biancaevolta, un reportage indaga il rapporto
tra libertà d’informazione e dinamiche politiche


Il giornalismo è il potere di chi non ne ha, ovvero dei cittadini di quei paesi in cui non si rispettano diritti e doveri. Esso però diventa pericoloso e manca della sua funzione principale quando si asservisce, imputridendosi, al potere politico. Si trasforma in uno strumento inutile, vuoto: non informa, innescando e favorendo un processo di stupidità e inconsapevolezza all’interno del sistema informativo. Se si dice la verità, e questa è scomoda, si rischia la vita e si perde la libertà: non è distopia, è realtà.

Ordinario, per esempio, è per la Turchia contare ottantacinque giornalisti detenuti: perché qui giornalismo significa illegalità? Il libro Sansür: Censura. Giornalismo in Turchia, di Marco Cesario (Biancaevolta edizioni, pp. 150, € 16,00), italiano a Parigi, giornalista per Ansamed, ResetDoc, MicroMega, Linkiesta e Mediapart, prova a spiegare le dinamiche politiche di un paese che, tra militarismo e religione, combatte per la libertà.

 

Storia, numeri e interviste

Il libro di cui parliamo è un vero e proprio reportage: di quelli che a prenderli tra le mani ti si solleva il cuore, forse perché semplicemente suggerisce ai nostri occhi verità invisibili.

Suddividendolo principalmente in due parti, Sansür: Censura e Le interviste di Sansür, più un Epilogo, un Approfondimento e un’Appendice, Marco Cesario riporta in prima persona la propria esperienza a Istanbul, luogo della sua inchiesta su una Turchia che vive di repressione e di un’informazione flagellata da minacce e arresti.

«La Turchia è e potrà essere davvero, nel prossimo futuro, un modello per il mondo islamico e la primavera araba?»: questo si chiede Anna Lisa Rapanà, redattrice Ansa, nella Prefazione al libro. In effetti, per Egitto, Libano, Siria, quale speranza può rappresentare nella regione mediorientale la nuova potenza economica mondiale? Nella capitale ottomana il potere e la supremazia del premier islamico nazionalista, Recep Tayyip Erdoğan, dilagano e divampano. Da una decina di anni al governo, la sua ascesa è stata agevolata da una graduale crescita economica. Nello stesso tempo i cittadini turchi si trovano vicini a una legislazione di ispirazione islamica integralista.

Oltre la scrittura di Marco Cesario, altri elementi parlano in quest’opera: foto in bianco e nero che ritraggono donne occupate in mansioni domestiche di fronte a case ridotte quasi a macerie, profili nascosti da una luce che non li comprende, occhi combattivi e musi duri.

L’autore intervista vari giornalisti al fine di scoprire le trame di un sistema d’informazione incomprensibile e, in particolare, delle vicissitudini di Ahmet Şik, autore de L’esercito dell’Imam (di cui è possibile trovare alcune pagine nell’Appendice di Sansür), censurato per aver rivelato retroscena scomodi del processo “Ergenekon”. Ben spiegato tra gli Approfondimenti, esso è un movimento terroristico di stampo kemalista e ipernazionalista: «[…] si parla di omicidi contro le minoranze non musulmane, e per la prima volta, si paventa una partecipazione della rete terrorista Ergenekon all’omicidio turco-armeno Hrant Dink, a quello dei tre missionari cristiani a Malatya nel 2007 e all’uccisione del padre Andrea Santoro a Trebisonda nel 2006».

Marco Cesario ha ricostruito fatti indispensabili a comprendere un mondo mediatico intriso di cruente falsità e sofferenze. Si riportano con precisione numeri: nel 2010 vengono arrestati, secondo l’Osservatorio dei media, 43 giornalisti, 665 persone tra scrittori, editori, politici; nel 2012 sono 104 i giornalisti finiti in manette. Si riportano con precisione parole e stati d’animo degli intervistati, giornalisti messi a tacere perché in dissenso con il potere o accusati di servire organizzazioni terroristiche ed eversive vicine ai curdi: «approvata nell’aprile del 1991, la legge 3713 sull’Antiterrorismo era stata concepita per sferrare un duro colpo alla ribellione curda nel sud-est della Turchia con punizioni esemplari. L’idea era quella di stroncare sul nascere ogni forma di minaccia terrorista ma la vaghezza delle definizioni giuridiche […] l’aveva trasformata nel Malleus Maleficarum che i neoinquisitori inviati dal governo usavano contro i giornalisti».

Tra i racconti delle interviste si ricorda l’incontro con Zeynep Kuray, corrispondente del giornale curdo Birgün: «d’un tratto notai che non sentivo più il vocio degli avventori e la musica di sottofondo ma solo il suo accento francese tagliato, spigoloso, memore di un passato difficile vissuto nelle cités alle porte di Parigi e di chi aveva attraversato indenne le rivolte nelle banlieues per poi ritrovarsi catapultata nella sporca guerra turco-curda». Durante la scrittura del reportage di Marco Cesario, Zeynep Kuray si ritrova presto dietro le sbarre. In Kurdistan i massacri continuano e a Istanbul nessuno ne sa niente.

In che modo la Turchia potrebbe rappresentare per gli altri paesi mediorientali la democrazia e la laicità? La primavera araba non ha portato i suoi frutti, e ancora l’integralismo e la negazione della libertà più naturale, quale l’utilizzo delle parole a piacimento del locutore, sono evidenti, insieme a un uso del potere a danno del popolo: si pensi agli scontri in piazza Taksim, risalenti a pochi mesi fa.

 

Giornalismo letterario

Marco Cesario è un bravo giornalista e un abile scrittore. Due sono i fili narrativi che si riescono a scorgere nel suo reportage, puramente tratto da accadimenti reali, condito però da descrizioni sfumate di emozioni: i cambiamenti di luogo e il sonno (o meglio la veglia).

Si descrive Istanbul con le sue vie colme di gente. Gente che qui si sente, si vede: non si tratta dell’anonimato di New York. Poi saltuariamente si torna a Parigi, tratteggiata spesso con gli occhi di chi si porta dietro l’inquietudine: così appare gotica e piovosa, lontana dalla città stereotipata che rende tutto morbido e leggiadro.

Il nostro giornalista italiano è, infatti, circondato dalla paura, dalla minaccia, dalla prigionia, dalla morte. Vivendo in uno stato d’allerta, il sonno fatica a venire e spesso fa posto alla veglia o agli incubi. A fine libro, quando la sua inchiesta è terminata, i sogni si liberano e con essi si fanno avanti nella mente «cortili pieni di sole con le impronte dei piedi di un bambino impresse nel cemento fresco».

Il passaggio emotività-realtà è breve e di qualità: non si cade in patetismi o banali personalizzazioni. Un libro di denuncia, questo, ben scritto, ben fatto.

 

Francesca Ielpo

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno VII, n. 73, settembre 2013)

 

Collaboratori di redazione:
Elisa Guglielmi, Ilenia Marrapodi
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