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Letteratura contemporanea (a cura di Francesca Rinaldi) . Anno VII, n. 70, giugno 2013

Zoom immagine Un passato oscuro e difficile
in un presente pieno di dubbi
tra ricordi delle torture del lager

di Angela Patrono
Un romanzo edito da Torri del vento,
l’Olocausto e la ricerca di una verità


Di quella tragedia chiamata Olocausto si è detto e scritto molto, ma non sarà mai abbastanza. Perché quella pagina cupa e vergognosa della Storia non va nascosta e nemmeno strappata ma, al contrario, mostrata senza filtri agli occhi delle giovani generazioni, con l’invito a non dimenticare. Ben vengano quindi storie che sappiano far riflettere e al contempo suscitare orrore per le efferatezze naziste. Storie purtroppo vere, senza abbellimenti di sorta, mostrate in tutta la loro cruda realtà. Storie di famiglie lacerate e di altre marchiate da terribili sospetti, dove il confine labile tra il bene e il male, tra l’apparenza e la sostanza, si perde nella foschia del dubbio: un tarlo straziante che rode piano l’anima, un invito a ribaltare le proprie certezze. Ma il dubbio, citando Isidore Ducasse de Lautreamont, è anche «un omaggio alla speranza». Il dubbio (Torri del vento edizioni, pp. 96, € 9,00) è appunto il titolo del romanzo di Nuccio Pepe, chirurgo siciliano originario di Bompietro che, nell’elaborare la storia, ha deciso di partire da dati concreti e assolutamente reali: la sua personale amicizia con lo psichiatra viennese David Vyssoki e il ritrovamento casuale di un archivio segreto degli ebrei. Tutto questo è bastato a mettere in moto la macchina narrativa, con un esito pregevole, sobrio e insieme emozionante.

 

Nel nome dell’amicizia

Il romanzo, diviso in due parti, ruota intorno all’amicizia che lega la voce narrante, con ogni probabilità l’alter ego dell’autore, e il personaggio Natham, ispirato a David Vyssoki e alla sua personale vicenda. Da quel primo incontro sul treno Venezia-Vienna negli anni Settanta, Natham e il narratore non hanno più perso i contatti. Un legame che il tempo ha solo rafforzato e che è andato via via consolidandosi in quei rari ma preziosi incontri in un caffè di Monaco, dove confrontarsi sugli affetti, sulla politica, sui temi esistenziali con la naturalezza di sempre. Natham, persona entusiasta, aperta, piena di vita, nasconde una ferita atroce ed indelebile. I suoi genitori, che non ha mai conosciuto, erano stati deportati nel campo di concentramento di Dachau dove avevano trovato un triste destino: il padre, usato per barbari esperimenti di resistenza agli schianti e alle cadute, la madre, morta dopo aver dato alla luce il piccolo Natham, nelle settimane successive alla liberazione.

 

Una sconvolgente rivelazione

Natham ha una famiglia in apparenza serena: una moglie discreta e comprensiva, due figli nel fiore degli anni. L’unica nota stonata è il rapporto con i suoceri, in particolare con Hans, ex simpatizzante nazista e militare dal passato poco limpido, che però sorprende il protagonista per la sua assoluta dedizione verso i nipoti. Tuttavia Natham sente che il “puzzle” non è completo: vuole vederci chiaro, riappropriarsi delle sue radici, restituire a se stesso la memoria di quei genitori che gli sorridono da foto d’epoca sbiadite. Cosa aveva sofferto quella madre che si era sfregiata il bellissimo viso con il vetriolo per sfuggire alla violenza degli aguzzini e salvare il bambino che aveva in grembo? L’occasione arriva quando a Monaco, la sua città, viene scoperto un archivio segreto degli ebrei: «Menorah di tutte le fogge e materiali, kippà di tessuti umili […]. Rotoli della Torah», ma anche e soprattutto «documenti portati via dai campi di concentramento nei momenti seguiti alla liberazione». Sulle tracce dei genitori perduti e mai dimenticati, Natham ispeziona con frenesia ogni foglio, ogni cartellina, ogni fotografia, in cerca di un indizio. E finalmente lo trova. Anche se non è ciò che si aspettava.

Infatti, accanto al nome di sua madre, tra scritte sbiadite che impediscono la completa decifrazione, campeggia il nome di suo suocero Hans, indicato come «carrista». Natham è sconvolto. «Stringe i fogli ingialliti tra le mani. Vorrebbe strapparli, fare finta di non avere letto nulla».

Dopo alcuni interminabili momenti di angoscia, di apnea mentale ed emotiva, l’uomo si accorge che la prima e negativa interpretazione potrebbe non essere attendibile. Colpa di quelle parole illeggibili, che il tempo ha cancellato e che non permettono di capire come siano davvero andate le cose. «È stato lui che ha… aiutato? È stato lui che ha procurato il vetriolo? Che ha coperto la gravidanza, magari corrompendo i suoi commilitoni? […] Oppure è stato lui che ha portato un carico umano dopo i rastrellamenti fino al treno della vergogna?». Il documento lascia intendere un invito a «ricordare» e «dire ad altri», con altri vaghi riferimenti a una «famiglia» e a un «figlio». Ma cosa significano in realtà quelle frasi spezzate, su quella carta ormai deteriorata dall’usura del tempo? Forse Natham non lo saprà mai e rimarrà a macerarsi nel dubbio, o forse cercherà di andare a fondo rischiando di alterare l’equilibrio familiare; di certo troverà il conforto e il sostegno del suo fedele amico italiano, al quale confida questa vicenda sconvolgente.

 

Un libro sulla complessità della natura umana

Difficile non emozionarsi davanti a questa storia di un «sopravvissuto ai sopravvissuti», precisa nei riferimenti e intensa nella narrazione, che coinvolge al contempo gli istinti più brutali e la pietas: pulsioni che si dibattono senza fine nella natura umana, che ci fanno capire quanto può essere sottile il confine tra il nonno amorevole e il feroce aguzzino. Ambiguità che si riflettono anche nelle domande interiori di Natham, costretto a fare i conti con una realtà più beffarda e complessa del previsto: «Avrà davanti un criminale? Un nazista per “convenienza” poi pentito? Un presunto eroe, un Perlasca, un Oskar Schindler? […] Avrà davanti semplicemente un uomo?».

 

Angela Patrono

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno VII, n. 70, giugno 2013)

Collaboratori di redazione:
Elisa Guglielmi, Ilenia Marrapodi
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