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Anno VII, N. 69, maggio 2013
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Politica ed Economia (a cura di Alba Terranova) . Anno VII, N. 69, maggio 2013

Zoom immagine L’evasione fiscale in Italia:
un illecito molto discusso
anche da chi ne è complice
e una piaga da sconfiggere

di Valeria Vaccaro
Da Armando, un’analisi sociologica
di un paese diviso tra onesti e “furbi”


Quando si parla di evasione fiscale tutti, chi più chi meno, ci sentiamo toccati. Dal più onesto cittadino a quello più furbo, tutti abbiamo qualcosa da dire su questa terribile e ormai gigantesca piaga sociale. Se solo ci soffermassimo più a lungo a riflettere su cosa davvero sia l’evasione, su cosa si celi dietro ad essa, potremmo rimanere impressionati e profondamente turbati. Non da ciò che taluni fanno o hanno fatto, non da azioni distanti da noi: rimarremmo turbati nel riconoscere noi stessi in questo colpevole comportamento o quantomeno nel pensiero che ad esso soggiace.

Non intendiamo certo insinuare che i lettori che si accingono a leggere questo saggio possano necessariamente essere evasori. Il significato di quanto si è appena scritto, in verità, si cela dietro a ben più profonde analisi, che Andrea Leccese ci illustra passo passo in modo magistrale. L’autore prende in considerazione, nel suo libro dall’evocativo titolo di Innocenti evasori, (Armando editore, pp. 80, € 9,00), la teoria di un sociologo e politologo statunitense, Edward Banfield, e con essa ci fa percorrere un viaggio a ritroso nel tempo, alla scoperta delle radici dell’evasione fiscale in Italia. Banfield vedeva come base della nostra società il «familismo amorale», una teoria secondo la quale gli interessi della famiglia sono in netta contrapposizione con quelli della comunità e su di essa devono primeggiare. In che modo questa teoria può avere a che fare con noi italiani, innocenti evasori? Per rispondere, basterebbe citare una più che nota frase che, siamo certi, avrete sentito tutti più di una volta: «Evado perché tengo famiglia; del resto così fan tutti».

 

La centralità della famiglia come individualismo fiscale

Insomma, noi italiani abbiamo questo atteggiamento nei confronti dell’evasione: cerchiamo di ottenere più vantaggi possibili per il nostro nucleo familiare, con la convinzione che tutti lo facciano, dunque sia giusto farlo. Ecco perché ci sentiamo innocenti, perché in fondo quello che fanno tutti è giusto: quale miglior motivazione c’è se non quella della famiglia da mantenere?

Quel che però ci dimentichiamo è che privilegiando il nucleo familiare in questi termini mettiamo a duro rischio la salute della comunità, dello stato. Ci sembra qualcosa di distante da noi stessi eppure non lo è.

Ciò che non ha la comunità si rifletterà ben presto su noi stessi e sulle nostre famiglie; ecco che la nostra innocente evasione si trasforma in un errore madornale che, moltiplicato per l’immenso numero di evasori, priva le casse dello stato di miliardi di euro ogni anno.

 

Le radici

Questo stato però cosa ha fatto per evitare che questo atteggiamento dilagasse? Da dove arriva questo sentimento comune che sembra essere tanto radicato nella nostra cultura?

Leccese lo spiega con un dettagliato percorso storico che fa partire dal Risorgimento italiano.

Egli ci ricorda che lo stesso processo di unificazione nazionale fu realizzato con l’esclusione delle masse popolari. Sin dagli albori, dunque, il nostro stato si è valso di un atteggiamento individualistico, che prima si rifaceva alla preminenza delle caste più agiate ed oggi è divenuto preminenza del nucleo familiare.

Nello stesso periodo un ruolo fondamentale lo ebbe il Vaticano, che boicottò le elezioni del 1861, provocando un altissimo tasso di astensionismo. Leccese sostiene, inoltre, che la stessa ideologia cattolica abbia favorito la diffusione del familismo. Basti pensare infatti alla «primazia che nella famiglia cattolica si attribuisce agli obblighi interni rispetto a quelli esterni o alla preminenza assegnata alla famiglia rispetto alla società civile».

 

L’evoluzione

Nel tempo lo stato ha continuato ad infliggere duri colpi alla coscienza popolare, dandole sempre più elementi per disaffezionarsi e soprattutto per convincersi che non pagando le tasse non si rischia nulla. Andando avanti nel tempo, Leccese ci ricorda quanto il contributo fascista sia stato importante in questo senso. Il Fascismo, infatti, ha dato una spinta in più alla perdita del senso di legalità, che già prima scarseggiava, una perdita che «è stata determinata dalla slealtà del legislatore fascista, che faceva leggi fittizie, truccate, meramente figurative».

Dunque è vero: nella storia del nostro paese, ci sono profonde e motivate radici di questo problema che oggi però non accenna ad abbandonarci. La situazione non è cambiata in effetti, soprattutto alla fonte. Basti pensare al fatto che le nostre attuali leggi, in molti casi, ci risultano incomprensibili; molte altre sono interpretabili ed interpretate secondo convenienza; altre ancora vengono fatte ad hoc e magari in forma retroattiva. Dunque non deve suonar strano il fatto che «col tempo, la gente si convince che è tutto un bluff, che la Costituzione dice una cosa, ma se ne fa un’altra». Quasi ci siamo abituati a questa situazione e ci siamo adeguati, seguendo il cattivo esempio che ci porta a dire appunto: «tanto lo fanno tutti, lo faccio anche io».

Indubbiamente non è semplice uscire da questo labirinto, ma vi invitiamo a leggere con attenzione le pagine che Leccese ci ha regalato. La sua esperienza tecnica e di cittadino ci offre una nuova lettura per smuovere e risvegliare le nostre coscienze. Proprio di questo ci parla nelle sue conclusioni, che invitiamo ad accogliere in modo personale ma pur sempre attento. In fondo è vero: non possiamo chiedere al nostro stato di migliorare il nostro futuro, se ci preoccupiamo solo di noi stessi e dell’immediato presente.

 

Valeria Vaccaro

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno VII, n. 69, maggio 2013)

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