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Anno VII, N. 69, maggio 2013
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Politica ed Economia (a cura di Alba Terranova) . Anno VII, N. 69, maggio 2013

Zoom immagine Se la chiesa
possiede
un caveau

di Serena Poppi
Da Rubbettino, un saggio
del “decano dei vaticanisti”
sulle finanze ecclesiastiche


Da secoli la storia della Chiesa cattolica è stata caratterizzata da una sorta di ambivalenza tra il messaggio cristiano, che ne è fondamenta e scopo, e la gestione del potere economico e politico, che ne è mezzo di sostentamento, vorremmo dire, ma che ne è mezzo di speculazione finanziaria, ci ritroviamo a constatare.  L’esempio di S. Francesco d’Assisi o dell’abbé Pierre sono indicativi di quanto la chiesa, nel corso dei secoli, sia stata più volte lontana da quella che tuttora dovrebbe esserne la missione, ovvero di professare la dottrina cristiana portatrice di messaggi e opere a difesa e sostegno dei più deboli, degli “ultimi”, e allontanarsi dalle tentazioni terrene, quali il materialismo fine a se stesso o la cupidigia. «Il Vaticano, come tutte le istituzioni terrene, è sempre stato abitato da grandi personaggi, ma anche da figure a dir poco discutibili. Sulla carta uomini di Dio, ma che hanno avuto col potere, a partire dal denaro un rapporto incestuoso, pericoloso per la chiesa, un rapporto per niente evangelico, privo del laico insegnamento di Cristo di “dare a Cesare quel che è di Cesare, e a Dio quel che è di Dio”», come ebbe a ricordare (in un’intervista su La Repubblica del 17 luglio 2012) Benny Lai, autore del testo Finanze vaticane. Da Pio XI a Benedetto XVI (Rubbettino, pp. 200, € 12,00).

 

Un patrimonio segreto

Nel libro emerge fin da subito la difficoltà di sapere a quanto ammontasse la totalità del patrimonio della Santa Sede dopo la stipula dei Patti lateranensi del 1929, che permisero l’applicazione delle leggi delle Guarentigie del 1871, nelle quali era stabilito il risarcimento (3.225.000 di lire a cui aggiungere interessi pari a 5% per 58 anni, Ndr) che lo stato italiano avrebbe versato nelle casse del Vaticano a seguito dell’occupazione e relative spoliazioni ai danni della Chiesa romana. Risarcimento poi riparametrato in difetto. Tale riserbo era, perlopiù, dovuto al fatto che le amministrazioni vaticane erano gestite da persone inesperte o da affaristi che si approfittavano di una situazione mal governata; fino a quel momento, infatti, la chiesa si era retta solo con gli aiuti dell’Obolo di San Pietro alimentato dalle offerte dei fedeli, dallo scarso gettito delle tasse ecclesiastiche e dai lasciti. Mancavano all’interno figure che potessero gestire d’un tratto, con intelligenza e parsimonia, una ricchezza di tale portata. Inoltre, per gestire tali fondi fu costituita un’Amministrazione speciale della Santa Sede, che mal si conciliò con le già esistenti Amministrazione dei beni della Santa Sede o quella per le opere di religione. Quest’ultima, in realtà, si trovò ben presto a dover ampliare le proprie possibilità operative, al punto che, per mantenere un operato giuridicamente corretto, fu trasformata in Istituto per le opere di religione (Ior, 1942). Questo, dotato di personalità giuridica propria, divenne sempre più una banca vera e propria, con la missione, paventata e in parte realmente condivisa, di partecipare alla ricostruzione dell’Italia, tramite interventi nell’industria italiana con acquisizioni di azioni, partecipazioni bancarie e la creazione di una flotta navale comprendente anche una petroliera, che fruttò positivamente fino agli anni Sessanta, quando fu ceduta a un imprenditore francese.

Si dovrà aspettare gli anni Ottanta per riuscire a ottenere una maggior trasparenza nella gestione economica del patrimonio vaticano, ovvero quando il nuovo papa Giovanni Paolo II istituì un consiglio di quindici cardinali che aveva il compito di partecipare allo studio dei problemi di carattere organizzativo ed economico della Santa Sede; o ancora nel 1989 quando, con la riforma della Curia, si prospettò un cambiamento di fisionomia dello Ior con l’assegnazione di un segretario in grado di controllare dall’interno l’istituto.

 

La “questione economica”

La gestione economica relativa alla Chiesa cattolica romana rappresenta una sfida ancora aperta, prova ne è il fatto che il papa emerito «Ratzinger non si serve dello Ior per incamerare i diritti d’autore dei suoi libri – che incassano cifre pazzesche –, ma della Fondazione ad hoc da lui voluta con sede in Germania. Una scelta singolare che forse fa capire tante cose, anche il perché la tanto attesa trasparenza dei conti dello Ior, chiesta anche dallo stesso Ratzinger, sia ancora di là da venire». Una frase, questa, dell’intervista sopra citata, pronunciata da Benny Lai, che nella Prefazione al libro ricorda che «per penetrare in quel mondo spesso misterioso, ridotto all’essenziale, in cui le persone quando parlano usano esse stesse un codice […] occorrono anni, bisogna formarsi un capitale di relazioni, esperienze, confidenze. Ed è appunto quello che è stato fatto mettendo insieme alle notizie quanto mi hanno raccontato coloro che hanno diretto le amministrazioni finanziarie del Vaticano».

 

L’autore

Benny Lai, giornalista professionista dal 1946 e vaticanista dal 1951, unico ad aver raccontato ben quattro conclavi, ha scritto anche Racconti vaticani (2010, Fede & Cultura), Giuseppe Siri. Le sue immagini, le sue parole (con Annamaria Scavo, 2008, De Ferrari), Il «mio» Vaticano. Diario tra pontefici e cardinali (2007, Rubbettino) e Affari del papa. Storia di monsignori, nobiluomini e faccendieri nella Roma dell’Ottocento (1999, Laterza).

 

Serena Poppi

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno VII, n. 69, maggio 2013)

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