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Riflessi d'autore (a cura di Mària Ivano)

Zoom immagine Franz Kafka e il conflitto
tra individuo e sistema:
ideare una nuova legge
per vincere l’alienazione

di Francesca Ielpo
Da Galassia Arte, un saggio ripercorre le opere dell’autore praghese,
rivelandone l’innovativo principio ontologico basato sulla scrittura


Il mondo è un ritratto di masse che, alienate da realtà precostituite, non conoscono l’autentica visione dell’Io. La gente è un accumulo di individualità confuse e legate l’una con le altre. Non si riconosce il tratto originale che le delinea, ed esse, nel trascinante dubbio, si annullano a vicenda senza riconoscersi. Franz Kafka tenta di estirparsi dal disordine dei corpi senza senso attorno a lui, ricerca la perfetta armonia degli accaduti quotidiani, collettivi e non, con il proprio essere. Lotta, rinuncia, scrive. Marco Stentella, scrittore laureato in Filosofia estetica, analizza e approfondisce questo aspetto della letteratura kafkiana nel saggio Kafka e la scrittura di una nuova legge (Galassia Arte, pp. 156, € 13,00). L’autore, attraverso il saggio, offre delle linee-guida all’identificazione di una nuova legge che ci governi.

 

Il passeggero e la scimmia

Il processo che porta a questa legge è lungo e prevede determinati percorsi ontologici, esistenziali, filosofici, se non, da ultimo, scientifici. Ma andiamo per gradi, ricalcando il lavoro di Marco Stentella.

L’obiettivo di Kafka, si legge, è: «cancellare la legge di un mondo necessario e sovvertirlo con una nuova legge che sia congrua all’anima dell’estraneo che non sa muoversi nelle vie dell’esistente. Ipostatizzare se stessi per salvarsi, e al contempo salvare la gente tutta che non impazzirebbe a guardare gli occhi dell’estraneo che non si ritrovano». Per dare vita concretamente alla nuova legge si utilizza la scrittura. Solo tramite essa gli “estranei” potranno vivere nel loro mondo, senza sentirsi esclusi.

Ma cosa s’intende esattamente per “estraneo”? Vi si offrono due esempi tratti da due diversi racconti di Kafka. Ne Il passeggero queste sono le parole del protagonista: «Sono sopra una piattaforma di un tram e provo una sensazione di completa insicurezza nei riguardi della mia posizione in questo mondo, in città, nella mia famiglia. Non saprei dire neppure approssimativamente quali pretese potrei avanzare con ragione in un senso qualsiasi. Non sono in grado di giustificare il fatto di trovarmi su questa piattaforma, di reggermi a questa cinghia, di lasciarmi condurre a questo veicolo. Nessuno me ne chiede ragione ma ciò non ha importanza». L’estraneo ha quindi un «difetto d’esistenza» o «mancanza ad esistere». Nel racconto successivo, Relazione per un’accademia, una scimmia cerca di assimilare il comportamento e il linguaggio umani, al fine di trovare una via d’uscita, ma non la libertà: «Felicità è perdersi in una via d’uscita, imboccarla, “dimenticarsi”. Felicità è perdersi nella macchia, ammesso che la macchia sia accogliente, e rinunciare alla libertà. È rendersi schiavo in un’imitazione per ottenere l’assenza delle sbarre e “rinchiudersi” nell’imitazione».

L’estraneo tenta la libertà oltrepassando la natura umana, come il passeggero. Altri fanno il contrario, come la scimmia.

Kafka, sottolinea Marco Stentella, non vuole divagare letterariamente. Nella scrittura della nuova legge utilizza un linguaggio simbolico, che è essenza e identità delle cose, più che metaforico, è una «lingua essenziale, che non possa dare adito a sviluppi letterari; ogni parola sarà significativa, svelerà l’estraneo cancellandone così la negatività».

 

Ignota colpevolezza

Chi è che scatena nell’estraneo la voglia di scrivere una nuova legge per vivere in questo mondo? Una donna: «Perché il rapporto con la donna non sia inevitabilmente fallimentare egli dovrà normarlo in modo che la donna possa vivere nel suo io fuori di sé». Questa è una delle linee d’interpretazione de La condanna di Kafka. Segue poi Il processo, in cui si narra dell’inevitabile colpevolezza dell’estraneo se inserito in questo mondo, e si dimostra che «la sua resistenza ad assoggettarsi a una legge che non capisce decreta la massima pena, la morte».

D’altra parte, in Lettera al padre sopraggiunge il senso di colpevolezza del protagonista per la sua avversità a una vita governata da regole precise, incongrue e incomprensibili. Egli sente rimorso verso il padre, rappresentante simbolico della legge, ma inutilmente, giacché il suo senso di ribellione è più forte, e Stentella osserva: «Sarebbe stato il modo migliore di “darsi” alla Legge, portare a compimento ciò che la Legge esige, diventare egli stesso padre e educatore, ma poteva Kafka accettare questo stato delle cose e non impadronirsi mai di sé?». Il figlio, inadatto alla vita, non sa reggere un matrimonio, fallisce perennemente negli obiettivi che il padre ha per lui. Ma Kafka è innocente, semplicemente «la vita qui è impossibile».

Successivamente Marco Stentella procede con l’analisi della legge e della nuova legge con Indagini di un cane, in cui sono sottoposte a giudizio la scienza e la filosofia, colme di «teoremi di limitazione» che imprigionano l’animale indagatore in sistemi chiusi e metodici: «il cane non cerca intelligenza e cultura ma di rompere il silenzio, non se ne fa niente delle costruzioni razionali […] di ogni campo scientifico, lui vuole le risposte fondamentali che nessuno sembra potergli prospettare».

 

Chiarezza di fronte al dubbio

Inadeguatezza alle regole del mondo e consapevolezza che nessun metodo di ricerca possa offrire una soluzione emergono con chiarezza dal saggio dello studioso di Filosofia estetica, il quale, attraverso una scrittura chiara e precisa, fa in modo che il pensiero di Kafka sia chiaro e lineare a chi si avvicini al suo lavoro d’indagine e d’approfondimento. I lettori si trovano, così, di fronte a un quadro le cui linee e colori permettono la percezione di ciascun particolare, senza troppa difficoltà.

 

Francesca Ielpo

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno VII, n. 67, marzo 2013)

Collaboratori di redazione:
Elisa Guglielmi, Ilenia Marrapodi
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