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Pedagogia e Scienze dell'educazione (a cura di Francesca Ielpo)

Zoom immagine La scuola interculturale
come forma didattica:
una nuova prospettiva
volta all’internazionalità

di Adelina Guerrera
Da Armando editore, un saggio che analizza il concetto di educazione
come scoperta della propria identità e valorizzazione della diversità


Nell’odierna società che ci circonda misurarsi con il fenomeno del multiculturalismo significa prendere atto non solo delle molte variabili che lo hanno connotato ma, soprattutto, capire fino in fondo le varie problematicità che lo hanno contraddistinto, per riflettere su come e in che termini siamo davvero aperti a un pluralismo culturale, politico e sociale.

Non a caso, i flussi migratori più recenti dimostrano come l’incontro tra culture diverse manifesti una complessa fenomenologia in cui occorre considerare più fattori: in primis, indubbiamente, le cause del flusso migratorio a cui bisogna aggiungere soprattutto la qualità – a volte efficiente, altre molto meno – delle politiche di accoglienza e dei servizi e le risposte da parte delle varie strutture economiche e del mercato del lavoro.

Tuttavia, più di ogni altro fattore preminente, ciò che davvero predispone alla mancanza di apertura e di dialogo interculturale è l’esistenza di mentalità monoculturali, monolinguistiche ed etnocentriche.

Il saggio Didattica e intercultura (Armando editore, pp. 128, € 12,00) di Donatello Santarone, professore associato di Didattica interculturale presso il Dipartimento di Scienze dell’educazione e della formazione dell’Università degli studi “Roma Tre”, nasce, come ribadisce lo stesso autore, «dalla necessità di definire la didattica intercultura quale forma di mediazione […] per individuare, di conseguenza, metodi, strumenti e contenuti al fine di una prospettiva internazionale e internazionalista nell’educazione».

Il filo conduttore che rende legato il ragionamento consiste, dunque, nell’ottica dell’autore, nell’affermare la centralità della didattica come obiettivo formativo da far coincidere con le esigenze di un mondo divenuto sempre più interdipendente, ma che non ha, di fatto, i dispositivi culturali per governare l’attuale complessità.

Per dirla con le parole dell’autore, è per far fronte, quindi, «a questi bisogni che la ricerca didattica, nel corso del ’900, si è spostata dal problema dell’insegnamento […] al problema dell’apprendimento».

Per comprendere fino in fondo la tesi sostenuta da Santarone bisogna necessariamente partire da questo presupposto: oggi, infatti, non si può più parlare del docente come «depositario unico di un sapere indiscusso e indiscutibile», bensì come «facilitatore dell’apprendimento» e, si potrebbe aggiungere ancora, mediatore della conoscenza.

Si tratta, dunque, come spiega l’autore nel suo testo, di mettere in atto una trasformazione, di proporre una didattica che diventi non solo occasione di formazione ma, soprattutto, apertura all’interpretazione della pluralità, intesa come capacità di cogliere il valore dell’esistenza nella differenza divenendo attitudine allo scambio e all’intersoggettività.

 

Il docente come facilitatore dell’apprendimento

Alla luce di quanto è stato detto, l’autore si sofferma sull’importanza che John Dewey, filosofo e pedagogista statunitense, ha ricoperto nell’ambito dell’educazione, “spostando” «il centro di gravità dei processi di insegnamento/apprendimento dal maestro all’allievo» e operando, dunque, «una vera e propria rivoluzione copernicana».

In tal modo emerge che l’educazione può e deve essere considerata come forma di cooperazione in cui l’allievo e i suoi bisogni sono posti al centro.

In particolare negli ultimi anni, è sempre più sentita l’esigenza di creare una «scuola aperta a tutti» in cui valorizzare ogni singolo allievo come risorsa preziosa; a riguardo, l’autore sofferma la propria attenzione sui ragazzi stranieri e sulla cultura di cui sono portatori. Questa deve essere intesa come fonte di ricchezza e di scambio culturale; infatti, è da anni ormai che a scuola si adottano particolari forme di didattica definite “individualizzate”, tali da essere su misura dell’alunno, in particolare se straniero, che parte da una situazione diversa rispetto al gruppo classe.

 

La differenza come nuovo paradigma educativo

L’obiettivo di Santarone in questa sede è proporre, dunque, un nuovo concetto di educazione, da intendersi come scoperta della propria identità e, contemporaneamente, valorizzazione della differenza.

Si tratta di considerare la diversità come il nuovo paradigma educativo, così da creare una cultura dell’accoglienza che parta innanzitutto dalla scuola, una tra le più importanti “agenzie” di socializzazione e formazione, e includa l’intera comunità.

Di particolare importanza si rivela, all’interno del saggio, l’analisi condotta sulla Costituzione e sulla Repubblica alla luce di una didattica interculturale che guarda sempre più alla costruzione di valori e principi etici in vista di una società democratica e aperta al dialogo.

Questo presuppone la fuoriuscita dalla propria soggettività con la conseguente apertura ad una relazione in cui non ci sia semplicemente un io e un tu ma un noi.

Per realizzare ciò è necessario che sia la famiglia sia la scuola, aiutate dalle istituzioni, conferiscano all’identità un valore unico, da intendersi come ricchezza in funzione dell’alterità.

L’autore propone, quindi, in chiusura del proprio scritto una serie di percorsi didattici che si basano su argomenti cruciali dell’educazione interculturale, quali ad esempio l’emigrazione, la globalizzazione, il razzismo di fondamentale importanza non solo perché costituiscono proposte concrete da utilizzare nel piano dell’offerta formativa di una scuola, ma anche perché possono essere veri «stimoli-integratori per innervare i saperi tradizionali e spingerli ad uscire da una loro, talvolta, autoreferenzialità».

Dunque, si può concludere sostenendo che la scuola potrà diventare il luogo in cui sperimentare il pluralismo, la pacifica convivenza e la democrazia a condizione che fuoriesca dal suo modello culturale, istituzionale e pedagogico di matrice monolinguistica, monotematica ed etnocentrica.

 

Adelina Guerrera

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno VII, n. 67, marzo 2013)

Collaboratori di redazione:
Elisa Guglielmi, Ilenia Marrapodi
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