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Home Page (a cura di Cecilia Rutigliano) . Anno VII, n. 65, gennaio 2013

Zoom immagine L’arduo percorso dell’Argentina
alla conquista della democrazia

di Silvio Gambino
Franco Angeli pubblica un impegnativo saggio, di Tiziana Salvino,
che studia e analizza il costituzionalismo dello stato sudamericano


Presto sarà in distribuzione il saggio di Tiziana Salvino intitolato L’Argentina tra democrazia e golpe: uno studio volto ad analizzare il difficile percorso  compiuto dall’Argentina – paese travagliato per i reiterati abusi degli autoritarismi al potere – per approdare alla conquista della democrazia.

Si tratta di un volume che, nel compiere l’analisi dettagliata dei motivi fallimentari del presidenzialismo latino-americano e nell’esaminare il costituzionalismo argentino, tratteggia le linee evolutive e i segni del cambiamento della storia del paese, dai Perón ai Kirchner, passando in rassegna attentamente e dettagliatamente riferimenti ed eventi storici.

Il libro, pubblicato dal prestigioso editore Franco Angeli (pp. 208, € 26,00), si caratterizza per il suo linguaggio chiaro e scorrevole, adatto tanto agli addetti ai lavori – anche grazie alla ricchezza dei riferimenti alle fonti e all’ampia bibliografia – quanto ai non specialisti.

L’autrice è dottoressa di ricerca in “Impresa, Stato e Mercato” presso il Dipartimento di Scienze giuridiche “Costantino Mortati” dell’Università della Calabria. Le dinamiche di apertura delle costituzioni nazionali all’ordinamento comunitario ed internazionale in un’ottica comparata tra est ed ovest d’Europa è il suo oggetto di ricerca.

Vi proponiamo di seguito la notevole Prefazione di Silvio Gambino – ordinario di Diritto pubblico comparato dell’Unical – che “inaugura” il saggio e che ne presenta i tratti e gli argomenti fondamentali, introducendo il lettore nell’excursus compiuto dall’autrice.

Ci sia concessa preliminarmente una piccola nota di “vanto”: questo volume scaturisce dalla collaborazione della nostra agenzia letteraria la Bottega editoriale con la casa editrice Franco Angeli.

Buona lettura!

 

La redazione

 

 

Prefazione

 

Democrazia e forma di governo presidenziale. L’esperienza nord-americana e quella dei paesi latino-americani

 

Nell’accostarci all’analisi della forma di governo argentina, a cui ora ci invita lo studio di Tiziana Salvino, deve continuare a sottolinearsi il saggio ammonimento di chi ci ricorda come si possa incorrere nel rischio di un’eccessiva generalizzazione quando si operano confronti comparatistici che portano a considerare l’esperienza costituzionale latino-americana come una “versione incompleta e spesso degenerata del sistema statunitense”[1]; un errore di valutazione – quest’ultimo – che trae le sue origini da una “certa qual comparazione per assonanza” [2]. Al contrario, l’analisi del costituzionalismo latino-americano [3] descrive un assetto proprio, specifico, della forma di governo di tali paesi [4] che solo l’assonanza terminologica, appunto, parrebbe rendere compatibile con il sistema presidenziale di governo vigente negli Usa. Come è stato già osservato, infatti, sul piano della organizzazione costituzionale dei poteri e sul piano delle funzioni distribuite costituzionalmente fra presidente e Parlamento, il presidenzialismo latino-americano parrebbe meglio collegarsi ad una “reviviscenza di un crittotipo radicato nell’antica storia coloniale” [5] e, dunque, ad un istituto precostituzionale che “corrisponde a quello che sarà poi l’istituto presidenziale una volta affermata l’indipendenza della corona di Spagna” [6].

Gli elementi comuni della forma di governo presidenziale si individuano [7] in almeno tre criteri, il primo dei quali risulta costituito dalla elezione diretta del presidente da parte del corpo elettorale (in forma diretta o ‘come-se-diretta’), per una durata prefissata di tempo. Tale criterio, tuttavia, costituisce una condizione necessaria ma non sufficiente a definire come presidenziale una forma di governo, trattandosi, con riguardo all’esperienza costituzionale di alcuni paesi europei a forma presidenziale (come in Austria, Irlanda e Islanda), di presidenze quali “mere figure cerimoniali” [8], che per il resto si differenziano poco o affatto dalle modalità di funzionamento dei regimi parlamentari classici. Un criterio rilevante in tale ricostruzione definitoria è costituito dalla considerazione secondo cui il presidente eletto a suffragio diretto non può essere sfiduciato nel corso del suo mandato, dal momento che nella forma di governo presidenziale non trovano applicazione i numerosi istituti del controllo parlamentare sul governo previsti nel parlamentarismo, essendo fondato il presidenzialismo sul principio della netta separazione fra potere legislativo e potere esecutivo. È rispetto a tale carattere connotativo del presidenzialismo che può cogliersi, ad esempio, uno dei profili caratterizzanti il presidenzialismo ‘attenuato’ o ‘parlamentarizzato’, di cui la recente riforma costituzionale boliviana costituisce una significativa esperienza di riferimento. Nelle esperienze di presidenzialismo parlamentarizzato, infatti, è prevista costituzionalmente la possibilità di esercitare il controllo parlamentare non solo nei confronti del capo del governo, che è al contempo capo dello Stato, bensì e soprattutto nei confronti dei singoli comportamenti dei membri del governo (responsabilità individuale dei ministri e collegiale del Consiglio di Gabinetto).

Il secondo criterio fondamentale alla base della definizione della forma di governo presidenziale, dunque, è quello proprio della separazione dei poteri, sulla cui base il Parlamento né può investire né può sfiduciare il governo che goda della investitura popolare diretta, nel quadro di un sistema di governo di tipo duale, nel quale sia il capo del governo che il Parlamento sono espressione diretta della investitura democratica. Sulla base di tale indirizzo politico-costituzionale, il presidente nomina e revoca i suoi ministri (ancorché nei presidenzialismi attenuati o parlamentarizzati il presidente avrà tutto l’interesse ai fini della stabilità del suo esecutivo di nominare i ministri maggiormente graditi al Parlamento e soprattutto alla coalizione parlamentare che sostiene il governo presidenziale). In tale quadro, l’eventuale previsione di una mozione di censura nei confronti dei ministri e la conseguente revoca degli stessi da parte del presidente non appare sufficiente a mettere in questione i tratti caratterizzanti la forma di governo presidenziale quale forma di governo duale.

Tale connotazione rinvia, infine, al terzo criterio fondamentale nella definizione del presidenzialismo, che consiste nel potere del presidente di dirigere i ministri dallo stesso nominati [9]. Nella forma pura di presidenzialismo ritroviamo tale tratto caratterizzante nell’ambito della forma di governo presidenziale degli Usa, nella quale, come sottolinea Lijphart, siamo in presenza dell’“esecutivo di una persona”, di un esecutivo assolutamente monocratico. In tale forma, il criterio appare eccessivamente rigido, ritenendosi soddisfatto da parte della dottrina giuridica e di quella politologica se il capo dello Stato è anche il capo del governo, ovvero, come sottolinea Sartori, se “la linea di autorità discende linearmente dal Presidente in giù” [10], risultando sufficiente in tal senso che il presidente diriga l’esecutivo, secondo una formula che avvicina tale forma di governo a quella del semipresidenzialismo francese [11].

Nella loro generalità, i criteri richiamati concorrono a specificare la concreta attuazione del principio di separazione dei poteri nell’ambito della forma di governo presidenziale. Nell’ottica di tale principio, il Parlamento non interferisce sull’indirizzo politico adottato dal governo, né – se si fa eccezione per l’impeachmentpuò produrne la rimozione con l’approvazione della sfiducia; parimenti, il presidente non può sciogliere il Parlamento [12]. Tuttavia, non sempre è dato osservare, in tutte le esperienze di presidenzialismo, la compresenza di tutti e tre i criteri allo stato puro. Così, ad esempio, non sempre concorre a definire come presidenziale una forma di governo la forma di elezione a suffragio universale diretto, risultando sufficiente, a tal fine, una elezione “come se diretta” (di cui nel fondo costituisce esempio la stessa esperienza costituzionale nord-americana).

Oltre alle possibili differenze ascrivibili all’investitura elettorale diretta del presidente, il presidenzialismo quale forma di potere diviso/duale sembra richiedere condizioni di contesto particolari per poter ben operare [13]. Fra tali fattori si possono richiamare “l’assenza di principi (ideologici), partiti deboli e indisciplinati e una politica di concessioni localistiche; grazie a tali fattori un presidente può ottenere i voti che gli occorrono elargendo favori locali. Ma così giungiamo all’istituzionalizzazione della pork-barrel, della politica di scambi clientelari” [14].

La complessità e l’eterogeneità di tali fattori condizionanti fanno perfino sollevare il dubbio se un simile sistema di governo non sia destinato inevitabilmente al rischio di paralisi e se per superare un simile stallo non occorra, in fondo, una politica costituzionale di parlamentarizzazione del presidenzialismo, unitamente alla ricostruzione di un sistema politico-partitico capace di assicurare al presidente una sua maggioranza nel Parlamento, superando in tal modo la volatilità e la precarietà delle maggioranze del tempo [15]. Come si fa bene sottolineare, in tal senso, “il controllo partitico comune dell’esecutivo e del legislativo non assicura un governo energico, ma la divisione del controllo partitico lo preclude” [16]. A tale valutazione problematica si aggiunge una valutazione conclusiva non certo benevola nei confronti delle performance e dello stesso futuro del presidenzialismo nord-americano e di quello latino-americano [17].

Se dalle complesse problematiche relative alle componenti essenziali ai fini della definizione tipologica del presidenzialismo e degli stessi suoi limiti, letti anche nell’ottica della formula presidenziale ideal-tipica (quella nord-americana), ci accostiamo ora al presidenzialismo latino-americano, in via generale, possiamo osservare una maggiore concentrazione di poteri in capo al presidente e un generalizzato rafforzamento del potere esecutivo a danno di quello legislativo [18].

Ad un presidenzialismo bilanciato da pesi e contrappesi negli Usa, corrisponde, così, in America Latina, una “preponderanza” del presidente e una generalizzata valorizzazione dei relativi poteri, benché essi stessi limitati, quando si consideri, ad esempio, la previsione della controfirma ministeriale degli atti del presidente prevista in diverse costituzioni latino-americane.

Un secondo profilo pare concorrere al rafforzamento dell’istituto presidenziale rispetto al ruolo costituzionale del Parlamento nel costituzionalismo latino-americano ed è costituito dalle opzioni costituzionali in materia di federalismo. Mentre, infatti, nel costituzionalismo nord-americano, il presidente registra i limiti opposti dalle competenze degli Stati federati, al contrario, nei paesi dell’America Latina siamo in presenza di un fortissimo centralismo politico accompagnato dallo stesso centralismo amministrativo. Come lo studio della Salvino ben documenta, un presidente-caudillo, di norma con forte leadership, accompagna lo sviluppo del sistema istituzionale, condizionandone la dinamica democratica. Sia nella prassi che nell’approccio teorico, così, i paesi latino-americani registrano l’indiscussa prevalenza del potere esecutivo e in primis la supremazia del presidente, capo dello Stato e capo del governo, “il che fa emergere un non ancora compiuto processo di maturazione del potere statale” [19]. Tale preminenza, come viene bene sottolineato, “non è data dalla circostanza per cui tali paesi abbiano optato per la forma di governo presidenziale, rifiutando l’opzione parlamentare, quanto piuttosto per il processo di identificazione che tali popoli hanno mostrato, in momenti diversi della cultura e dello sviluppo istituzionale, nei confronti della figura messianica di un condottiero – caudillo –, che ha le medesime caratteristiche del “capo carismatico” cui fa riferimento Max Weber, in Economia e società” [20].

Le condizioni di attuazione del presidenzialismo in alcuni paesi latino-americani (come in particolare nell’Argentina di Perón, ma non solo), tuttavia, sono significativamente diverse da quelle che questa forma di governo incontra nel contesto nord-americano. Ciò farà emergere delle presidenze particolarmente forti, dotate di ampi poteri, che cercano l’appoggio dell’elettorato, rivolgendosi direttamente al popolo. In tal modo, gli esecutivi tendono ad acquistare un carattere populista, dal momento che il leader, capo del governo e al contempo capo dello Stato, ricerca il consenso delle masse, interpretando i bisogni del Paese e si avvale di tale consenso al fine di ampliare i propri poteri, andando oltre il dettato costituzionale. Tali elementi danno vita ad una forma degenerativa di presidenzialismo, spesso anche definita “regime presidenzialista” [21], basato sulla preminenza del potere esecutivo su quello legislativo, a sua volta dominato da partiti indisciplinati e collocato in un contesto in cui l’esercito ha da sempre esercitato un rilevante (e spesso risolutivo) ruolo politico.

La cultura e la pratica della personalizzazione delle cariche elettive hanno aggravato tale situazione, contribuendo a far emergere una figura presidenziale dotata di ampie facoltà, prerogative e poteri: un dictator supremo, come sottolinea l’autrice – “vale a dire un capo dell’esecutivo investito di poteri derivanti tanto da una Costituzione formale e da una materiale”. È proprio tale distanza fra i testi costituzionali e la realtà politico-costituzionale concretamente operante a mettere pienamente in luce la differenza fra il sistema presidenziale statunitense e il regime presidenzialista latino-americano. La Costituzione formale, da un lato, attribuisce ampi poteri ai presidenti, alcuni dei quali sono sconosciuti al capo dell’esecutivo nord-americano ma, dall’altro, tenta di fondare un apparato statale basato su principi razionali, tendenti a creare un’armonia fra i poteri, dando vita, sulla base dell’archetipo statunitense, ad un sistema di checks and balances. Nello studio svolto, si sottolinea bene come, in tale quadro, il “sistema di controlli e contrappesi fallisce nell’applicazione reale, poiché tale cultura, basata sulla personalizzazione, legittima un esecutivo forte, creando, di fatto, un sistema dissimile da quello nord-americano. La carica di presidente, infatti, si presta ad assumere un’impronta personale e carismatica, dando vita, in alcuni casi, alla figura del caudillo, che stabilisce una comunicazione diretta con l’elettorato, andando oltre gli aspetti strettamente legali” [22].

Emerge, in tal modo, una Costituzione materiale molto diversa da quella formale, elemento, quest’ultimo, che consente al presidente latino-americano di avvalersi di poteri non previsti dalle costituzioni formali. Tra le facoltà concesse all’esecutivo in via consuetudinaria assume particolare importanza il potere di decreto, attraverso il quale il presidente può adottare delle misure legislative necessarie ad attuare il proprio programma di governo nel contesto di stalli politici talora generati dalla operatività del presidenzialismo in contesti multipartitici esasperati e conflittuali.

Il sistema costituzionale argentino sembra mettere in luce forse meglio degli altri l’emergere del presidenzialismo autoritario, avendo tale Paese conosciuto nel tempo esecutivi particolarmente forti. Il perché di questa forza va ricercato in una cultura politica basata sulla personalizzazione, ma anche in elementi costituzionali che hanno attribuito al presidente dei poteri molto ampi; ne costituiscono un chiaro esempio gli istituti di emergenza, dei quali più volte gli esecutivi hanno abusato. Il presidenzialismo argentino, così, tende ad assumere caratteri differenti rispetto al modello ideale di riferimento dei governi presidenziali, poiché si trova ad operare in un contesto nettamente dissimile, in cui non vi è un bipartitismo ma, al contrario, un multipartitismo, il quale, insieme ad elezioni non contestuali, conduce alla nascita di un Parlamento che raramente è dello stesso indirizzo politico del presidente. È in questo quadro che emerge l’immobilismo istituzionale, poiché la difficile coabitazione rende impossibile l’attività di governo, creando uno stallo al quale si tenta di porre rimedio attraverso il rafforzamento dei poteri presidenziali e l’abuso degli istituti costituzionali di emergenza.

In talune situazioni, tuttavia, il rafforzamento dei poteri presidenziali non è in grado di superare l’immobilismo istituzionale, lasciando spazio ai colpi di Stato da parte delle Forze armate, le quali rappresentano gli interessi dei grandi proprietari terrieri, incapaci di costituire un loro partito. All’interno di tale sub-cultura politica, l’esercito viene visto come un’alternativa politica, nella quale il popolo non si rispecchia, ma ripone la propria fiducia, ritenendolo più coeso dei partiti del sistema argentino, lasciando emergere un sistema scarsamente democratico, ove i governi “golpisti” tendono ad essere legittimati dalla dottrina de facto della Corte suprema, con la quale – nel tentativo di evitare vuoti di potere – si perviene a considerare legittima l’attività di governi non eletti.

Una possibile conclusione della riflessione circa la deriva personalistica e autoritaria del presidenzialismo in alcune esperienze latino-americane porta anche a segnalare un’altra tipologia nell’approccio ai presidenzialismi [23]; in essa viene proposta una ulteriore distinzione fra presidenzialismo democratico e presidenzialismo autoritario. Nella prima delle due tipologie ricadono, secondo tale ricostruzione dottrinaria, il presidenzialismo puro, quello parlamentare o attenuato e quello diretto. Nel presidenzialismo puro, che ha il suo modello di riferimento nel costituzionalismo nord-americano, il presidente si connota come organo centrale del regime politico, chiamato ad esercitare funzioni e poteri quasi assoluti in tema di governo e di amministrazione, a legiferare unitamente al Parlamento e intervenire nella nomina e nella revoca dei ministri, oltre che delle alte cariche dello Stato. Nei suoi confronti il Parlamento dispone del solo potere di accusa, volto alla destituzione dalla carica presidenziale e, nell’esperienza Usa, al potere di non approvare il bilancio predisposto dal presidente. Nel presidenzialismo “attenuato” o “parlamentarizzato”, fra cui annoveriamo di recente la Costituzione boliviana (prima e dopo la recente riforma costituzionale), il Parlamento svolge importanti poteri di controllo sul governo attraverso le interpellanze e la rimozione dei ministri con voti di censura o con il voto negativo alla mozione di fiducia.

Con specifico riguardo ai tipi di presidenzialismo e ai relativi rapporti con le coalizioni politiche nei paesi latino-americani [24], si è fatto rilevare in modo convincente come, soprattutto a partire dal 1989, l’esperienza democratica dei paesi latino-americani che hanno adottato di recente riforme costituzionali si sia ben distinta rispetto agli altri regimi presidenziali con l’introduzione di meccanismi istituzionali idonei a risolvere l’impasse fra potere esecutivo e potere legislativo, l’immobilismo istituzionale e in particolare i governi minoritari attraverso patti politici fra i partiti, che hanno condotto alla “formazione di governi di coalizione costituiti come meccanismi fondamentali di un sistema ibrido fra strutture basilari presidenziali con strutture parlamentari” [25].

Lo stesso ordinamento argentino tenta di perseguire tale obiettivo con la riforma costituzionale del 1994, la quale può essere intesa come una sorta di “parlamentarizzazione” del sistema, nella quale vengono introdotte e rafforzate le garanzie per il popolo, ancora sconvolto dalle stragi della dittatura Videla degli anni Settanta. Dunque, proprio quando il resto del mondo avverte la necessità di rafforzare gli esecutivi, l’Argentina percorre la strada inversa, nel tentativo di condurre a termine il processo di consolidamento democratico, avviatosi nel 1983, anno delle prime libere elezioni dopo la dittatura delle Forze armate. La riforma adottata tenta in ogni modo di porre un freno allo strapotere presidenziale, determinando la nascita di un esecutivo “bicefalo”, attraverso l’introduzione di una nuova figura, quella del capo di Gabinetto. In tal senso, la revisione del 1994 presenta vari elementi di positività poiché viene adottata seguendo il percorso dettato dalla Costituzione, il che assume un grande valore se si pensa che molti altri paesi latino-americani sono soliti emendare le costituzioni attraverso referendum e plebisciti, al fine di superare il carattere rigido dei loro testi.

Lasciando ora in un cono d’ombra le problematiche istituzionali e democratiche poste dal presidenzialismo autoritario ricordiamo, in grande sintesi, come concorrano a tale tipologia, molto diffusa nel costituzionalismo latino-americano fino agli anni Settanta del secolo scorso, talune costanti come la perdita di ogni rapporto distintivo fra Parlamento e governo, accompagnato dal potere presidenziale di scioglimento delle camere, l’assenza (o la forte carenza) di pluralismo politico e ideologico e infine l’alterazione nei ruoli delle Forze armate e soprattutto delle milizie speciali [26]. Costituiscono esempi di tale tipologia di presidenzialismo autoritario il Cile (Costituzione del 1980), Haiti (Costituzione del 1964), Paraguay (Costituzione del 1967) nonché i regimi militari argentini, brasiliani e uruguayani.

In ogni caso, qualunque tipologia si voglia seguire nella ricerca sul presidenzialismo, rimane saldo che, se già il presidenzialismo nord-americano può qualificarsi come un sistema debole e, in determinate condizioni, votato allo stallo, di certo può dirsi che il presidenzialismo latino-americano, nella generalità delle sue declinazioni nazionali, si connota come forma di governo assolutamente fragile e instabile, spesso accompagnata da sollevamenti militari e da regimi violenti di polizia. Il ricorso ai golpe militari costituisce una delle ragioni che ha portato l’autrice a farne motivo di intitolazione della stessa ricerca che qui si presenta, L’Argentina fra democrazia e golpe. Solo nel corso degli anni Ottanta del secolo scorso i paesi del continente latino-americano ritornano alla democrazia presidenziale, fondata su una diffusa partecipazione politica, come è dato anche osservare nelle vicende politiche e costituzionali del Cile, del Venezuela, della Bolivia [27]. Come si fa rilevare, in modo problematico, “tutto sommato il record di paesi con governi presidenziali oscilla dal modesto al disastroso e ci induce a chiedere se il loro problema politico non sia proprio il presidenzialismo” [28].

Tale dibattito sui vantaggi e sugli svantaggi del presidenzialismo e del parlamentarismo nell’ottica del consolidamento democratico e delle riforme necessarie a tal fine, invero, è in corso da almeno alcune decadi. Sia negli Usa che nei paesi latino-americani, una delle questioni aperte è data dal tipo di sistemi partitici operanti all’interno delle relative società e dalla loro configurazione parlamentare, come si è anche osservato per i rapporti fra forme di governo e partiti politici nei governi parlamentari in Europa [29]. È stato osservato, in proposito, che i presidenti latino-americani, pur disponendo di ampi poteri e talora di veri e propri poteri eccezionali, non sempre conseguono il necessario sostegno parlamentare all’attuazione delle politiche di cui si fanno portatori [30]. Fa velo all’esercizio dei loro poteri un vero e proprio “nodo gordiano” costituito dal tipo di concretizzazione del principio di separazione dei poteri, che “mantiene i Presidenti dell’America Latina in perenne, instabile, oscillazione fra l’eccesso di potere e l’impotenza” [31]; una impotenza che, secondo un’accreditata dottrina [32], dovrebbe suggerire – più che di migliorarlo – di disfarsi del presidenzialismo facendo ricorso ai più flessibili ed efficaci rimedi offerti dal parlamentarismo [33], ovvero a quelli del semipresidenzialismo “alla francese”, secondo il suggerimento di Sartori [34], sulla base della considerazione secondo cui, se le condizioni del cattivo funzionamento del presidenzialismo risiedono soprattutto nelle fratture sociali presenti nella società e nella frammentazione partitica, non si vede come tali condizioni potrebbero risultare superabili ricorrendo ad una forma di governo parlamentare.

Riepilogato secondo la tesi di Linz di una maggiore rigidità del presidenzialismo rispetto alle opportunità offerte dal parlamentarismo, che consente di superare le crisi politiche conseguendo una maggiore flessibilità all’intero sistema di governo, è anche da richiamare l’altro ricorrente orientamento politologico, secondo cui occorre superare una certa assimilazione fra crollo della democrazia e regimi presidenziali nei paesi latino-americani, nella direzione della riaffermazione della democrazia presidenziale [35]. Pur senza poter esprimere valutazioni predittive sul futuro dei rapporti fra stabilità democratica e regimi presidenziali, a giudizio dello studioso ora richiamato, infatti, è da cogliere “una certa flessibilità e capacità di adattamento del sistema presidenziale, fra grandi sfide economiche, sociali e politiche” [36].

In conclusione, rischi e opportunità del presidenzialismo latino-americano, nella prassi, appaiono individuabili, oltre che negli elementi caratterizzanti il sistema presidenziale, nella concreta capacità di interazione fra tale forma di governo, il sistema dei partiti, il sistema elettorale, l’autonomia dei pubblici poteri e il tipo di divisione territoriale dei poteri. Rispetto al modello originario nord-americano, i presidenzialismi latino-americani hanno attuato una configurazione sui generis fra tali componenti; in essi si è privilegiato l’assetto multipartitico con rappresentanza proporzionale a fronte del bipartitismo operante negli Usa con elezione maggioritaria in collegi uninominali, in unum con il rafforzamento del potere esecutivo sugli altri poteri dello Stato. Il presidenzialismo latino-americano, in breve, si presenta come “un ibrido risultante dal disegno istituzionale nord-americano, dai meccanismi rappresentativi ereditati dalla repubblica europea e dalla evoluzione propria di una regione che ha convissuto con forti tensioni economiche e una cultura politica caudillista” [37].

Rispetto alle rigidità del sistema di governo Usa e ai relativi rischi di stallo, i vantaggi che ne derivano per i presidenzialismi latino-americani si basano su una combinazione della logica propria del presidenzialismo con formule parlamentari che, a loro volta, assicurano stabilità politica, governabilità e la stessa modernizzazione dei partiti politici. In tale quadro, l’eventuale elezione parlamentare del presidente, la costituzione di gabinetti ombra e la formazione di governi di coalizione possono positivamente ridurre i rischi di tensione fra i poteri dell’esecutivo e quelli del Parlamento, facilitando l’attuazione delle politiche pubbliche e, nel fondo, offrendo valvole di sfogo in ipotesi di stallo o di crisi generale del sistema di governo. Da tali nuove regole del gioco, a loro volta, i partiti politici possono trarne positive indicazioni e la stessa spinta a consolidare le alleanze e ad articolare comportamenti coerenti nell’esecutivo e nel Parlamento, dequotando la stessa enfasi assegnata, nella prassi, alla personalizzazione delle candidature alle cariche elettive e soprattutto a quella presidenziale.

Una simile strategia, attenta alle ricadute del presidenzialismo sul sistema dei partiti (e reciprocamente), nel fondo, porta a rafforzare la società indebolendo la preponderanza presidenziale nell’equilibrio dei poteri. Come è stato sottolineato, generalmente, “i regimi divisi sono sistemi di doppia minoranza, nella quale il presidente tiene solo una minoranza dell’elettorato e, qualora eletto, consegue un appoggio minoritario nel Parlamento. Dei 33 presidenti eletti in America Latina nell’attuale fase di democratizzazione, meno della metà, 14 per essere esatti, hanno ottenuto maggioranze elettorali assolute; 19, ovvero il 56%, furono eletti solo a maggioranza relativa; 5 di essi occupavano il secondo posto venendo successivamente eletti nella seconda tornata elettorale o con votazione del Congresso” [38].

In un simile contesto, la forza del presidente, apparentemente indiscutibile, si rivela nella pratica molto vulnerabile. I partiti politici, fuori e dentro il Parlamento, perseguono le proprie finalità e, a meno di non trovarsi in presenza di un forte partito del presidente (nella società e nel Parlamento), scommettono più sul fallimento delle politiche presidenziali e sulla delegittimazione dello stesso presidente che sulla formazione di coalizioni di governo stabili e coese, volte a sostenerne l’indirizzo politico. Nel fondo, come si può vedere, si delinea un quadro che, pur partendo da assetti costituzionali radicalmente diversi, negli esiti non appare molto diverso dalle stesse problematiche registrate dai governi di coalizione operanti nel quadro del parlamentarismo europeo (almeno di quello non razionalizzato), il cui superamento è oggetto da anni di un intenso dibattito volto sia a riforme costituzionali [39] che a riforme elettorali [40].

 

[1] G. Lombardi, Premesse al corso di diritto pubblico comparato. Problemi di metodo, Giuffrè, Milano, 1986, p. 63.

[2] Ibidem.

[3] Cfr. D. Chasquetti, Democracia, multipartidismo y coaliciones en América Latina: evaluando la difícil combinación, in J. Lanzaro (a cura di), Tipos de Presidencialismo y Coaliciones en América Latina, Clasco, Buenos Aires, 2001; J. L. Exeni, Democracia (Im)pactada. Coaliciones de Gobierno en Bolivia 1985-2000, Flacso, México, 2003; R. Mayorga (a cura di), Democracia y gobernabilidad en America Latina, Flacso, Caracas, 1992; R. Mayorga, Antipolítica y neopopulismo. Análisis comparado de Perú, Brasil y Bolivia, Cebem, La Paz, 1996; R. Mayorga, Presidencialismo parlamentarizado y gobiernos de coalición en Bolivia, in J. Lanzaro (a cura di), Tipos de presidencialismo…, cit.; D. Nohlen, M. Fernández (a cura di), Presidencialismo versus parlamentarismo, Nueva Sociedad, Caracas, 1991; D. Nohlen, M. Fernández (a cura di), El presidencialismo renovado, Nueva Sociedad, Caracas, 1998; A. Lijphart, Presidencialismo y democracia mayoritaria: observaciones teóricas, in J. J. Linz, A. Valenzuela (a cura di), Las crisis del presidencialismo. 1 Perspectivas comparativas, Alianza, Madrid, 1997; AA.VV., Modelos de democracia. Formas de gobierno y resultados en treinta y seis países, Ariel, Barcelona, 2000; J. J. Linz, Los peligros del presidencialismo, in L. J. Diamond, M. F. Plattner (a cura di), El resurgimiento global de la democracia, Unam-Instituto de Investigaciones Sociales, México, 1996; D. Nohlen, Presidencialismo versus parlamentarismo…, cit.; M. Serrafero, “Presidencialismo y parlamentarismo en América Latina: un debate abierto”, in Revista Mexicana de Sociología, 2/1998; AA.VV., Una Constitución para Bolivia, Fundación Milenio, La Paz, 1993; E. Gamarra, Presidencialismo híbrido y democratización, in R. A. Mayorga (a cura di) Democracia y Gobernabilidad: América Latina, Nueva Sociedad, Caracas, 1992; R. A. Mayorga, La democracia en Bolivia: El rol de las elecciones en las fases de transición y consolidación, in R. Cerdaz Cruz, J. R. Roade, D. Zovatto (a cura di), Una Tarea Inconclusa. Elecciones y Democracia en América Latina 1988-1991, Iidh-Capel, San José, 1992; R. A. Mayorga, “Gobernabilidad y Reforma Política. La Experiencia de Bolivia”, in Hoy. Revista de Ciencias Sociales, Universidad Complutense de Madrid, 1994; R. A. Mayorga, Antipolítica…, cit.; R. A. Mayorga, “La gran concertación y la megacoalición”, in Tiempo Político-Suplemento de La Razón, 12 de Junio, 1997; R. A. Mayorga, Consolidación institucional: asignaturas pendientes y el desafío de la ampliación de la democracia representativa, Cebem, La Paz, 1997.

[4] Cfr. J. Linz, A. Valenzuela (a cura di), Las crisis del presidencialismo…, cit.; Democracia presidencial o parlamentaria ¿qué diferencia implica?, in J. Linz, A. Valenzuela (a cura di), La crisis del presidencialismo… cit.; A. Lucarelli, Teorie del Presidenzialismo: fondamento e modelli, Cedam, Padova, 2000; S. Mainwaring, M. Soberg Shugart, Presidencialismo y democracia en América latina, Paidos, Barcelona, 2002; C. S. Ninco [et al.], El presidencialismo puesto a prueba: con especial referencia al sistema presidencialista latinoamericano, Centro de Estudios Constitucionales, Madrid, 1992; D. Nohlen Sistemas de gobierno: perspectivas conceptuales y comparativas, in D. Nohlen, B. Fernández (a cura di), El presidencialismo renovado…, cit.; D. Nohlen,Presidencialismo versus Parlamentarismo: dos enfoques contrapuestos”, in Revista de Estudios Políticos, 99/1998; J. M. Serna (a cura di), El gobierno en América Latina: ¿presidencialismo o parlamentarismo?, Universidad Nacional Autónoma de México, México, 2000.

[5] Cfr. G. Lombardi, Premesse al corso di diritto pubblico comparato…, cit., p. 65.

[6] Ibidem.

[7] Oltre a C. Mortati, Le forme di governo. Lezioni, Cedam, Padova, 1973, p. 299, cfr. G. Sartori, Ingegneria costituzionale comparata, il Mulino, Bologna, 1994.

[8] G. Sartori, Ingegneria costituzionale…, cit., p. 97.

[9] Cfr. A. Lijphart, Le democrazie contemporanee, il Mulino, Bologna, 1988 (trad. it.), p. 211.

[10] Cfr. G. Sartori, Ingegneria costituzionale…, cit., p. 101.

[11] Cfr. S. Gambino (a cura di), Democrazia e forme di governo. Modelli stranieri e riforma costituzionale, Maggioli, Rimini, 1997, nella quale vengono approfondite le esperienze di governo semipresidenziali del Portogallo (J. Miranda), dell’Austria (H. Schäffer), della Francia (D. Amirante e J. P. Berardo), della Russia (M. Ganino), della Finlandia (L. Mezzetti), della Polonia e della Romania (A. Rinella), dell’Islanda e dell’Irlanda (S. Mancini).

[12] Cfr. G. Sartori, Ingegneria costituzionale…, cit., p. 101.

[13] Cfr. G. D’Ignazio, La forma di governo degli Stati Uniti d’America: dal Congressional Government al Presidential Government, in S. Gambino (a cura di), Forme di governo. Esperienze europee e nord-americana, Giuffrè, Milano, 2007.

[14] G. Sartori, Ingegneria costituzionale…, cit., p. 103.

[15] Cfr. C. Mortati, Le forme di governo…, cit., p. 333 e, fra i politologi, N. W. Polsby, “Does Congress Work”, in Bulletin of the American Academy of Arts and Sciences, 8/1993.

[16] V. O. Key, Politics, Parties and Pressure Groups, Crowell, New York, 1965, p. 688.

[17] “Aggiungerei che il controllo partitico comune non assicura in alcun modo una maggioranza partigiana comune. Al di là del fatto se il governo americano sia diviso o indiviso, in ogni caso il suo processo decisionale comporta pagamenti collaterali localistici su ogni problema; pagamenti che non producono, spesso, buoni compromessi, ma mosaici malfatti. Il sistema americano funziona (a suo modo) perché gli americani sono determinati a farlo funzionare. Il che non toglie che gli americani hanno una macchina costituzionale fatta per finire in stallo; un difetto che si mostra in tutta la sua evidenza quando il loro presidenzialismo viene esportato”, così G. Sartori, Ingegneria costituzionale…, cit., p. 105; M. D. Serrafero, Presidencialismo y reforma politica en America Latina, in Revista del Centro de estudios constitucionales, 8/1991, p. 207 ss.; C. Quinterno, El Poder Esecutivo en las Constituciones de América Latina, Unam, México, 1988.

[18] Cfr. R. Piza Rocafort, La Constitucion norteameicana y su influencia en Latinoamérica, Capel, Costa Rica, 1987.

[19] S. Morelli Rico, Recenti processi di riforma costituzionale in Sudamerica: costituzioni di stato o costituzioni del regime vigente? in S. Gambino, G. D’Ignazio (a cura di), La revisione costituzionale e i suoi limiti fra teoria costituzionale, diritto interno, esperienze straniere, Giuffrè, Milano, 2007.

[20] Ivi, p. 392.

[21] M. Volpi, Libertà e autorità. La classificazione delle forme di Stato e delle forme di governo, Giappichelli, Torino, 2004, p. 139. [22] Così l’autrice di questo saggio, nel capitolo secondo, § 3. Nello stesso senso già J. J. Linz, A. Valenzuela, Il fallimento del presidenzialismo, il Mulino, Bologna, 1995.

[23] Cfr. H. Nogueira Alcalà, “El presidencialismo en la pràctica politica”, in Revista Sintesis, 3/1987, p. 17 ss.

[24] Cfr. J. Lanzaro (a cura di), Tipos de presidencialismo y coaliciones…, cit.; D. Nohlen, M. Fernàndez (a cura di), El presidencialismo revovado. Instituciones y cambio politico en América Latina, Nueva Sociedad, Caracas, 1998; J. L. Exeni Rodriguez, Presidencialismo versus parlamentarismo. Un debate inconcluso en America Latina; J. Lanzaro, Presidencialismo y democracia en América Latina. Alternativas pluralistas y coaliciones de gobierno, ambedue in AA.VV., Presidencialismo, sistema de partidos y reforma politica. Cuatro enfoques desde America Latina, Corte Nacional Electoral, La Paz, 2004.

[25] J. Lanzaro (a cura di), Tipos de presidencialismo y coaliciones… cit., p. 234.

[26] Cfr. G. Pasquino, Modernizzazione e sviluppo politico, il Mulino, Bologna, 1970.

[27] “La Bolivia, ad esempio, fra il 1952 e il 1982, ha conosciuto ben 17 golpe militari”, G. Sartori, Ingegneria costituzionale…, cit., p. 113.

[28] Ivi, p. 106.

[29] Cfr. R. A. Mayorga, Presidencialismo parlamentarizado y gobiernos…, cit.; anche AA.VV., Presidencialismo, sistema de partidos…, cit.; D. Chasquetti, Democracia, multipartidismo y coaliciones en América Latina: evaluando la dificil combinacion, Editorial Cauce, Montevideo, 2008.

[30] Cfr. S. Mainwering, “Presidentialism in Latin America”, in Latin American Research Review, 25/1990.

[31] G. Sartori, Ingegneria costituzionale…, cit., p. 107.

[32] Cfr. J. J. Linz, “The Peril of Presidentialism”, in Journal of Democracy, 1/1990.

[33] Cfr. J. J. Linz, A. Valenzuela, Il fallimento del presidenzialismo, cit.

[34] Cfr. G. Sartori, Ingegneria costituzionale…, cit., p. 108.

[35] Cfr. D. Nohlen, Presidencialismo versus parlamentarismo…, cit.; D. Nohlen, M. Fernandez (a cura di), El presidencialismo renovado…, cit.

[36] Cfr. D. Nohlen, Presidencialismo versus parlamentarismo…, cit., p. 163; A. Filippi, “I paradossi e le sfide istituzionali del presidenzialismo latino-americano”, in Italianieuropei, 5/2006.

[37] C. Arias, “Situación y perspectivas del presidencialismo y del parlamentarismo en América Latina”, in Ciudad Politica, 34/2004, p. 36.

[38] A. Valenzuela, Presidencialismo e parlamentarismo en America Latina, Istituto Federal Electoral, México, 1998.

[39] Su cui cfr. anche S. Gambino, G. D’Ignazio (a cura di), La revisione costituzionale e i suoi limiti, Giuffrè, Milano, 2007.

[40] Nell’ampia bibliografia cfr. anche S. Gambino, Riforme elettorali e governabilità, Periferia, Cosenza, 2008.

 

Silvio Gambino

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno VII, n. 65, gennaio 2013)

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