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Letteratura contemporanea (a cura di Francesco Mattia Arcuri) . Anno VI, n. 64, dicembre 2012

Zoom immagine Una famiglia e una regione:
gli Amodio e il loro territorio
tra ingiustizia e criminalità

di Francesca Ielpo
Da Ferrari editore, un romanzo
sul possibile riscatto dall’illegalità


Cos’è l’ingiustizia? È l’essere esclusi da una fetta di benefici economico-culturali senza una valida spiegazione che giustifichi l’estromissione da ciò che, a “ragion di diritto”, dovrebbe appartenerci.

Di fronte alla prepotenza del potere dei più forti, la rabbia si costringe in gabbie da nascondere per preservare un’esistenza senza problemi e strane incursioni. A volte, però, l’ira dei poveri e dei deboli crea rivoluzioni.

Dunque, un romanzo-verità, Il coraggio e l’orgoglio (Ferrari editore, pp. 256, € 16,00), si propone di parlare di mafia e dei tentativi conseguiti al fine di smantellarla. Natale Vulcano, scrittore calabrese ‒ tra i suoi libri La finestra sul verde (Ferrari editore) ‒ e docente di Storia e Filosofia, permette al silenzio del mondo contadino, radicato insieme alla ’ndrangheta in Calabria, di esprimersi. E dà vita a questo narrando della storia secolare della famiglia Amodio.

 

La promessa da mantenere

«La vita è una ruota che gira. E prima o poi girerà anche dalla parte dei poveri. Anche se non ci sarò più, il giorno del giudizio verrà. E il cibo della giustizia, che oggi ci viene sottratto per essere mangiato da bocche indegne, domani sarà nostro. Promettimi che mangerai anche la porzione di tuo nonno».

Queste le parole di mastro Peppino al nipote, che non capisce ma promette che lo farà, concedendo al nonno una speranza, e lui più tardi, malato di cuore e ipocondriaco, penserà: «Hai visto che il tuo Peppinuzzo ha mantenuto la promessa? Grande vecchio, grazie per avermi insegnato che la dignità e l’orgoglio di essere poveri sono dei valori impagabili che solo chi è stato povero può capire».

Suddivisa in diciannove capitoli, la storia familiare prende avvio dagli anni del fascismo fino ad arrivare ai giorni nostri. È una storia di padri e figli e delle loro fedeli compagne di vita; tutti ereditano il senso del rispetto, contrapposto a quello ambiguo e prepotente dei capi politici e criminali. L’orgoglio per la propria onestà e fatica porta gli uomini della famiglia Amodio a colmare mente e corpo di coraggio, per affrontare un’illegalità che sembra preponderare nel loro territorio.

Il più vecchio, dicevamo, è mastro Peppino. Egli è un contadino che lavora presso il feudo del barone Pignatelli. Con ciò che guadagna, a stento riesce a mantenere la propria famiglia. Solo il figlio Francesco riesce a migliorare la situazione economica. Armandosi di audacia e fermezza, contrattando con il potente uomo, riesce, infatti, a ottenere l’affidamento di un allevamento di cavalli. Ma ogni miglioramento viene reso vano dall’ennesimo atto ingiusto del potere: in questo caso la bellissima moglie del barone, Amelia, si prende gioco del giovane e, con vari raggiri fascisti e celati legami con chi è parte del ramo crotonese della ’ndrangheta, lo manda in carcere perché presunto colpevole dell’omicidio del barone. L’intera famiglia Amodio muore di disperazione, e la moglie e il figlio, Peppino, restano soli. Quest’ultimo, come il padre, nasce con il senso del riscatto nelle vene che si insinua nel suo lavorare arduo in Germania e nell’istruire la sua mente ignorante: «L’esperienza in terra straniera e la cultura stavano facendo di un campagnolo un uomo capace di pensare, analizzare, riflettere, proporre e proporsi». Da eccellente autodidatta riesce a discorrere di filosofia ma, in particolar modo, riesce a illuminare con la ragione e la conoscenza punti bui di un’illogica cultura che soffoca la sua terra, la sua gente e la sua famiglia: «Se non ci liberiamo dalla paura dei potenti non cresceremo mai. E per farlo c’è una sola strada: “Lirpa», ovvero Leggere, Imparare, Riflettere, Proporre, Agire.

Unico neo: ad aspettarlo in Italia, la moglie Elena e il nuovo nato, Francesco.

 

La promessa mantenuta

Dalla nascita del piccolo, la storia sembra prendere una nuova piega e, con il trascorrere del valore temporale delle pagine, la lettura porta alla realtà che ci circonda. Allo stesso modo, il senso di riscatto verso il nonno, Francesco, prigioniero senza moventi, cresce in modo smisurato. Le promesse ritornano, in quella che potrebbe essere considerata la seconda parte del libro, in cui, tutto ciò che prima è irrisolto e indefinito trova collocazioni e spiegazioni. Il padre, Peppino, scrive al figlio Francesco: «Non covo vendetta, cerco solo quella giustizia che è stata negata a un innocente. Se tu diventerai un grande avvocato, come spero, anche se sono passati tanti anni, cercherai le prove per far condannare la vera colpevole: la baronessa. Mi aiuterai in questa impresa per l’onore della famiglia e la riabilitazione di tuo nonno?». Il ragazzo, di lì a poco, diventa un ottimo e rinomato avvocato e riesce a vincere la causa di suo nonno. La baronessa si dà alla carità e lascia in eredità i suoi possedimenti alla famiglia Amodio, che ne farà una nuova impresa agricola: valida opportunità di lavoro per i contadini del luogo. Ma la ’ndrangheta di fronte a tanta giusta ricchezza non può tacere, deve intervenire. Francesco non si intimorisce. Certo, è costretto a spostarsi a Firenze, ma mai vi cede. Ed è proprio nel capoluogo toscano che incontra l’amore. Il suo nome è Cristina. Le sue origini sono calabresi, come il baldanzoso avvocato che ha incontrato. Per amore, cerca di rendere putridume i suoi legami con la ’ndrangheta. Diventa una pentita e, come tale, una fuggitiva costretta a nascondersi: «Per amore della verità e per rendere giustizia agli innocenti, aveva rinunciato agli affetti famigliari e scelta la strada della pulizia morale».

Il malaffare criminale è soppiantato da promesse familiari mantenute: i soverchianti coraggio e orgoglio sono rimasti intatti e mai resi sviliti dal tempo passeggero.

 

Tra la denuncia e la poesia

Natale Vulcano, portando avanti la narrazione in terza persona, usa uno stile leggero e conciso. Ama la poesia e le immagini letterarie a essa legate: la neve, l’aria, i campi. Si ode chiaramente il sussultare della gente, la vanità, la sofferenza o la silenziosa audacia delle donne, a seconda che si parli di Amalia, di Elena o di Cristina. La sua penna di denuncia non osa discostarsi dalla dolce lirica.

Peppino l’ipocondriaco vede distese di bianco fuori dalla sua finestra, ricorda quella mattina innevata del 1956. La mattina della promessa. Sente conforto: «Sul suo volto scarno e rasserenato si adagiò un dolce profumo di salsedine». Il gelo diventa finalmente morbido.

 

Francesca Ielpo

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno VI, n. 64, dicembre 2012)

Collaboratori di redazione:
Elisa Guglielmi, Ilenia Marrapodi
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