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Graziana Pecora
Anno VI, n. 62, ottobre 2012
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Letteratura contemporanea (a cura di Francesco Mattia Arcuri) . Anno VI, n. 62, ottobre 2012

Zoom immagine Gioie e dolori
nella lingua
dell’anima

di Francesca Ielpo
Da Ferrari editore, la fine
di un amore apre le porte
a nuove e inattese scoperte


Quando l’anima parla, tutte le altre capacità linguistiche svaniscono. La lingua dà accesso alle sfumature che altrimenti solo gli occhi comunicherebbero, ma se nella comunicazione entra in campo l’anima, allora tutto diventa più chiaro e logico: il transfert vista-parola è un movimento rapido del tutto deduttivo, a cui lo spirito fa da sottile filo di trasmissione e connessione.

Del linguaggio più sentito che parlato, delle parole non dette ma trasmesse, Paola Nebiosi, giovane scrittrice calabrese alle sue prime armi, racconta in Le lingue dell’anima (Ferrari editore, pp. 62, € 10,00). D’altra parte se l’intimità non si serve di regole codificate per esprimersi, essa usa un suo peculiare linguaggio, frutto di più esperienze e costituito da più lingue. Ben visibili e chiare per chi ha sinistre sensibilità e intuizioni, necessarie a comprendere “altro”.

 

Un amore lontano

La protagonista del romanzo, Mesita, è un’universitaria italiana, bella, interessante, che tende a discostarsi dai luoghi comuni. Ma è volubile e incoerente: difficile partecipare al suo mondo. L’autrice, che probabilmente trova ispirazione in se stessa o nelle persone che la circondano (essendo una giovane studentessa anche lei), così scrive nell’iniziale descrizione del personaggio: «Le cose per le quali viveva, sperava e lottava si andavano via via vanificando, oppure si limitavano a starsene nascoste nell’inconfessata attesa di qualche felice opportunità». Ma nello scorrere le pagine, la situazione di Mesita muta: da perenne insoddisfatta a innamorata persa.

Durante un viaggio in Irlanda incontra Tristan, un ragazzo messicano. I due danno inizio a una storia colma di pure emozioni e di passione. Parlano diverse lingue, l’inglese li accomuna e, pur non comprendendosi sempre, il loro livello di empatia è sempre altissimo: «La cosa più importante nel loro rapporto era la capacità di comprendersi: pur utilizzando poche parole, ridevano, affrontavano argomenti intensi e si raccontavano di tutto».

E questa è la prima lingua dell’anima, visto che Paola Nebiosi ne parla al plurale: «le lingue». È la lingua dell’amore riversato su un’altra persona: Tristan, in questo caso, che continuerà ad amare Mesita anche dopo la fine della vacanza, fino a quando di colpo non sparisce. La ragazza non riesce a capacitarsi della brusca rottura, senza neanche un preavviso o un messaggio o un’email o una telefonata dal Messico. Leggiamo che Mesita scrive questo (all’interno della storia romanzata ritroviamo spesso, in corsivo, brevi poesie composte dalla protagonista: siamo di fronte una finzione nella finzione): «Non penso che a te, / provo a distrarmi con tutto / ma niente prevale / se non il tuo sguardo / il tuo sorriso / i tuoi abbracci / le tue cattiverie. / Un giorno mi darò pace».

La non rassegnazione e l’apatia diventano, passati i mesi, capacità di riprendere in mano la propria vita. Lo scopo è dimenticare basandosi esclusivamente sui fatti «e i fatti dimostravano che Tristan aveva abbandonato Mesita».

La protagonista comincia a proiettarsi oltre alla figura dell’ex ragazzo, destinato a diventare fotografia, e a dare all’esperienza d’amore trascorsa e al viaggio in Messico (compiuto un anno prima per rivedere lui) significati nuovi. Sottesi, annusati nel momento in cui li viveva ma ancora senza un senso. Ecco che escono fuori altre due “lingue dell’anima”. Durante il lungo tragitto e l’attesa all’aeroporto, Mesita ricorda di aver conosciuto, in momenti diversi, la signora Maria e la signora Cinzia. La prima ha problemi psicofisici ma ancora possiede un’invidiabile voglia di lottare. La seconda invece, nonostante l’età che avanza, continua a viaggiare, per scoprire nuove civiltà e terre. La giovane forse si rivede nelle loro genuine sofferenza e curiosità. Le ascoltava e solo ora le rivive, donando loro un posto nella sua anima. Un posto che dona piaceri, stimoli e conforti: «Niente può lasciarci indifferente quando ascoltare diventa un piacere, un pretesto, uno stimolo per guardare ed imparare che al di là di ogni persona c’è una storia, un mondo di emozioni, un confine imprevedibile, i quali ci aiutano a scoprire che l’amore ha diverse forme e diversi colori. Ci sono storie che ci coinvolgono per il loro contenuto più profondo, più misterioso, storie che non necessitano di un lieto fine, perché sono esse stesse a crearlo».

 

Un amore autentico per la vita

L’amore per il ragazzo si trasforma così in amore per la vita e per le persone che ne ordiscono le trame. Trame semplici, o complicate. L’ammirazione nel seguirne gli intrecci crea un interesse dal sapore esistenziale e filosofico: ciò di cui abbiamo bisogno quando la realtà tende a deluderci.

L’autrice offre una conclusione inaspettata ma estremamente intelligente. Tristan non c’è più nella quotidianità di Mesita, di contro l’attende un vissuto denso di significato ed entusiasmanti aspettative, in cui l’anima è onnipresente e si esprime in diverse lingue, attraverso differenti esperienze, non sempre positive: «Ci si accorge improvvisamente che non occorre alcuno sforzo per cogliere il senso di un’esperienza negativa, e che si può trovare una vittoria semplicemente per averla comunque vissuta».

La scrittura semplice facilita la comprensione e la voglia di immergersi in una storia che guarda dentro partendo dalle vicissitudini altrui.

La lirica, anch’essa presente, tende a facilitare questa lettura interiore.

Quasi un vademecum, questo, per chi è vinto o vincitore di drammi personali, fuggenti o invasivi che siano.

 

Francesca Ielpo

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno VI, n. 62, ottobre 2012)

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