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A. XVIII, n. 199, aprile 2024
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Riflessi d'autore (a cura di Mària Ivano)

Zoom immagine Rumore e silenzio:
contingenze varie
con protagonisti
pronti all’azione

di Francesca Ielpo
Ferrari editore presenta otto racconti
che ci fanno scoprire la nostra natura


Il rumore è l’esagerazione del silenzio, perché ciò che è pacato esplode. Così come un andamento quieto porta a un’improvvisa accelerazione. Il calmo procedere non è che un lungo metabolizzare interiore che fa dei nostri avvenimenti, fondamentali e non, una routine. Poi, dopo tanto vuoto taciuto, sentiamo la nostra canzone stonata. Vorremmo spegnere la vecchia radio della nostra mente, ma il pulsante on è rotto. Una volta schiacciato non lo si può semplicemente disattivare quando vogliamo. È un processo naturale quello che lo vede lentamente sollevarsi verso l’alto, che porta il nostro vecchio e molesto apparecchio sonoro a interrompere il suo funzionamento. Dal disturbo, in qualche modo, si passerà alla quiete.

Domenico Licciardi, giovane scrittore calabrese, è alle prese, nei suoi racconti, all’interno dell’opera Rumore (Ferrari editore, pp. 128, € 13,50), con lo stesso tipo di segnale acustico indesiderato e prepotente.

L’autore, nato a Rossano e poi trasferitosi a Roma per dare inizio alla sua carriera universitaria al Dams, appassionato quindi di letteratura, musica e cinema, ha ben ascoltato le voci degli anfratti dell’anima. Gli stessi da cui poi sorgono le più impensate azioni umane. Dopo l’esercizio di listening, giunge quello di writing, per poi arrivare alla traduzione delle urla concitate dell’umanità in otto differenti storie. Questo è il ruolo dello scrittore in generale.

 

Otto racconti per un’unica storia

Dicevamo, otto racconti: Il Dilemma, Le fronde alla finestra, Girasole, L’anziano filosofo, Il miracolo del bisogno, Tre, L’epoca, Rumore.

Le storie e i personaggi variano. Leggiamo di un ragazzo, Martin, che di soprassalto si sveglia e sente una voce inquisitoria, che gli rivela nuove verità: «Scrivi poesie… e questo sarebbe un lavoro, Martin? C’è gente che si spacca il culo notte e giorno. Poesie. Sei sicuro di sapere cos’è la poesia? Può anche darsi che tu stia solo mettendo insieme parole, prive di significato». Ma il ragazzo non sa, cerca solo pace, beatitudine. E solo passando davanti a una chiesa, in compagnia della fastidiosa voce, lo capisce.

Segue il racconto di una bambina, Agnes, «dagli occhi troppo grandi», che viene rapita da suo padre, separato dalla madre. L’uomo, per il reato che ha commesso, va in prigione e una volta uscito sarà Agnes a rapirlo: «Beh, anch’io rapisco quelli a cui voglio bene. L’ho imparato da mio padre», dice lei. Sottofondo al racconto è una macchina che fugge dal resto del mondo: a guidarla, prima l’uomo in compagnia della piccola, amorevole ostaggio, e poi la ragazza con di fianco un padre che ha ritrovato definitivamente una figlia. Il massimo possesso, la massima felicità.

La protagonista successiva è sempre una giovane, Marlene, che in seguito all’esperienza della sua amica morta tempo prima e attraverso varie fasi, corrispondenti ai diversi paragrafi in cui è suddiviso il racconto, arriva a dare un senso all’esistenza: «Sentire il caos, la perenne confusione dell’universo. Il caso, il destino, o come ti pare. E più il tutto diventa casuale, più cresce dentro di te la consapevolezza del filo conduttore che attraversa la grande nube degli elementi della tua vita, e del mondo intero». La vita è costituita da due spirali (anima e corpo), all’interno delle quali tutto si ricongiunge, nel bagliore di una confusione percettiva, ideologica e visiva. Marlene arriva a pensare che solo la luce, ovvero la chiarezza del proprio vissuto, può salvare. Il buio uccide perché è caos che provoca perdizione. La luce salva perché è pacata visione della realtà.

Segue la vicenda di un vecchio e ricco uomo, Bill, che ama circondarsi di belle donne, tra cui Helen, per soddisfare le sue inappetenze emotive e sessuali. Il rapporto tra Bill e Helen è interamente giocato sull’ipocrisia. Dice il viscido: «Quando sono tornato dall’India, non avevo affatto dimenticato la poca sincerità dell’uomo occidentale. Eppure essa mi ha sorpreso di nuovo, come se non ne fossi mai stato a conoscenza. Ho tante di quelle menzogne nella mente che a volte percepisco il mio spirito come contaminato da una strana malattia». La macchina sulla quale viaggiano esce fuori di strada: un enorme boato e la ragazza muore. Solo ora, lui disprezza lei.

Poi, sulla scena del racconto successivo ecco Myrch e Marcello. Il primo è un ragazzo problematico che passa la maggior parte del suo tempo su di una panchina, vendendo droga. Il secondo, amico di Myrch, una sera vede un’ambulanza, la polizia e gente per strada: Myrch è morto, seduto sulla sua solita panchina, coinvolto in una sparatoria tra due spacciatori. Per il ragazzo sopraggiunge il senso di colpa: «È come se noi avessimo consumato quel ragazzo. Come se noi avessimo stabilito la sua morte in quel modo, chiedendogli quelle cose. Mi chiedo se tutto ciò è possibile, oppure se sia solo un’illusione. Di certo è uno scherzo che la piazza ci ha organizzato, forse per vendicarsi di qualcosa. Ma di cosa?».

Sempre a proposito di droga e mercato illecito, l’autore scrive di uno spacciatore in conflitto con se stesso: «Voi vi chiederete come faccia un uomo, che trasporta cinque chili di cocaina, a pensare alle lucine di Natale. È proprio grazie a questo genere di cose che riesco a passare i controlli tranquillamente», oppure: «Ora la notte mi ha abbandonato, e non sento più le stelle che mi bruciano addosso. È come se fossi guarito». Abbiamo davanti agli occhi parole che descrivono un uomo che uccide, il quale conosce il significato della crudeltà e ne fa ampiamente uso. Un uomo che di fronte alla morte si sente sospeso tra più mondi: un film hollywoodiano, la sincera e cruda realtà, e il suo mondo, fatto di stelle che bruciano la pelle.

Si dà voce a una cameriera, Dana, che stanca di subire la volgarità e la prepotenza del suo aggressore, gli spara addosso. Gesti semplici che comprendono poche parole, ma accumuli di pensiero che in modo malsano provocano azioni esplosive: «Perché se la banalità è madreterna di ogni cosa, e le azioni non vengono più misurate dagli uomini, e le parole perdono di significato, e le menti si lasciano deviare dalle menti comuni e dalla televisione, e il tutto si disperde in uno strano rumore d’indifferenza, perché mi lasci vivere il mio tempo?».

Infine, leggiamo di una madre di famiglia, Laura, che percependo un rumore assordante e nauseante, dalla cucina di casa sua, si ritrova a dirigere un ospedale in cui i dottori sono alla ricerca di una cura all’insensatezza. Ma ritornata a casa, e solo nella contemplazione di suo figlio, riesce a salvarsi, seppur continuando a sentire quel rumore: «E noi non facciamo altro che giacere nei sotterranei della nostra esistenza ancora vergine di visioni, di saggezza. Un giorno che ognuno avrebbe visto come una luce di verità nello scorrere del tempo. Un giorno che vale la pena di cancellare senza un motivo, nella speranza di poterlo ricomporre nel modo più efficace, ma non ora, non adesso. Forse in un prossimo futuro, forse in una condizione che ci è prossima».

 

Pulp fiction a due livelli

Quelli di cui abbiamo parlato sono rumori improvvisi, violenti (voci misteriose, incidenti autostradali, automobili che corrono, spari di pistola, suoni impercettibili e claustrofobici) che sconvolgono e portano a nuove verità. Rumori rivelatori, frutto di silenzi maturi per l’urlo di disperazione che la nostra esistenza ci impone più volte. Non siamo robot. Eppure con i rumori ci conviviamo. Siamo i motori di macchine, spesso. Siamo noi a produrre onde sonore. Poi, quando le riconosciamo come estranee perché assordanti rispetto al nostro fare, facciamo i conti con l’interiorità, perché ci accorgiamo che qualcosa sta cambiando, qualcosa di nuovo è in corso.

Il rumore sconvolge, serve a mutare, a pensare: questo il filo sottile che lega le otto diverse vicende.

Lo stile scrittorio, tipicamente cinematografico, rende il tutto una Pulp fiction a due livelli: azione e pensiero.

 

Francesca Ielpo

 

(www.bottegascriptamanent, anno VI, n. 58, giugno 2012)

Collaboratori di redazione:
Elisa Guglielmi, Ilenia Marrapodi
Progetto grafico a cura di: Fulvio Mazza ed Emanuela Catania. Realizzazione: FN2000 Soft per conto di DAMA IT