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Emozioni in versi (a cura di Mària Ivano)

Zoom immagine Dal dolore alla speranza:
un percorso artistico.
La poesia che racconta
emozioni e ricordi

di Daniela Malagnino
Edizioni del Poggio edita una raccolta di poesie di grande intensità
in grado di condurre i lettori nella trama delle parole e dei sentimenti


La poesia è uno strumento artistico capace di tradurre in parole e in versi stati d’animo, riflessioni, emozioni, sogni; è in grado di fornire al lettore una possibilità per interpretare il proprio mondo interiore e quello che lo circonda nel tentativo, a volte affannoso, di dare un senso alla propria esistenza. Nel libro, … e chiovi. I miei trent’anni d’arte tra ricordi, poesia, sogni e irrealtà, (Edizioni del Poggio, pp. 146, € 9,50) la poetessa Flavia Vizzari sembra proprio aver dato alla poesia questi significati, offrendoci, per la prima volta, una raccolta che racchiude trent’anni di esperienze artistiche, di ricordi e di sogni.

La poetessa, nata a Messina, diplomata maestro d’arte e laureata in Lettere moderne, ha ricevuto premi e riconoscimenti sia nei concorsi di pittura sia in quelli di poesia. Profondamente legata alla sua terra, oggi continua ad occuparsi attivamente della promozione culturale e artistica della città di Messina.

 

Il dolore e l’amore

La silloge è divisa in sei sezioni, ognuna delle quali è introdotta dalla significativa immagine di un dipinto – della stessa Vizzari – capace di accompagnare e sostenere la parola poetica. La prima sezione raccoglie liriche che hanno un tema tanto caro ai poeti quanto conosciuto dall’uomo: il dolore, stato d’animo che come una fitta pioggia penetra in ognuno di noi, ma che è anche «attorno / e in mezzo a noi». Il dolore a cui vuol dar voce la poetessa non è solo quello legato alle sofferenze individuali e personali che l’uomo deve affrontare nella sua quotidianità, ma è anche quello che si prova dinanzi alle brutture della terra, all’emarginazione e ai pregiudizi.

Il dolore penetra nella vita dell’uomo come momenti privi di luce, è come «solo fuoco / che divampa / e lascia cenere»; anche la quiete è intrisa di violento silenzio, quando a recarla è il dolore.

Flavia Vizzari si rivela molto abile nel dar voce a queste emozioni. Riesce a creare immagini nitide non solo con la pittura, ma anche con le parole, e il lettore non può che riconoscersi in quei versi e in quelle immagini, sentendo familiare il messaggio poetico.

L’epifania del dolore non è fine a stessa, non si conclude con uno sterile lamento delle sofferenze che l’uomo è chiamato a guardare in faccia per poter andare avanti: emerge dalle parole dell’autrice la necessità di superare stagioni senza primavera, valicando l’oggi, andando oltre quel presente fatto di dolore e di tormento.

Così, dopo che il dolore ha preso le fattezze, nell’immaginario poetico, dell’«afa», degli «inerti laghi», della «nota stanca», solo in apparenza l’esito ineluttabile sembra essere quello della ricerca dell’oblio, «senza futuro di pace»: alla fine il messaggio si apre all’attesa di un’alba, di una vita che «cambia lo scenario».

Gradualmente i versi di queste poesie prendono le distanze dalla sofferenza, che spesso invece di avvicinare gli uomini, li isola costringendoli a una solitudine matrigna, e lasciano intravedere momenti di luce e spazi di aurora.

Strettamente legato al tema del dolore è quello dell’amore, in poesia trasfigurato in una melodia che supera la ragione, in un sentimento profondo che «fa gioire il cuore», che diventa «linfa vitale», e rinnova «battiti / impetuosi» accendendo la vita e donandole un senso “diverso”: «emozione sprigiona come onda magnetica / e va a sanare angoli bui / a guarire cupezze nel profondo».

Con partecipazione e lucido distacco, la poetessa racconta dell’amore, donando a questo sentimento un’aura quasi sacrale.

 

La contemplazione, il silenzio, la solitudine

Partecipe al messaggio poetico, che la silloge vuol veicolare, è la natura, che attraverso il canto delle cicale, l’ondeggiare degli alberi, il cielo trapunto di stelle, guida la scrittrice nello spazio interiore della contemplazione, là dove nasce la poesia.

La natura estatica le appare nel silenzio tra gli alberi delle pinete, nel cielo azzurro. V’è tutto il paesaggio natale dell’autrice nei versi di queste poesie, così ben costruite che al lettore sembra di percepire odori, rumori e immagini propri della terra ove la poetessa è nata e cresciuta. Il mare, il vento, l’alba, il sole, la spiaggia, le onde fragorose conducono la scrittrice alla contemplazione, alla percezione del «dolce suono della vita».

Non c’è contemplazione che non porti al silenzio e alla solitudine, che non induca alla riflessione, all’apertura di uno scorcio sul mondo attuale pieno di bellezze, ma anche di egoismo, e sovente povero di coraggio.

Il silenzio per l’autrice racchiude in sé tante cose: appare come «apatia assoluta», ed è affine al «vento gelido» e alla «nebbia» dell’immaginario poetico. Ma lo straordinario acume della poetessa scorge nel silenzio qualcos’altro. La staticità del silenzio stesso, che sembra voler rallentare il «ritmo della vita» ha un senso, «schiarisce la realtà», aiuta a «scovare il proprio spazio», «distraendo dall’ondoso / altalenarsi della vita», diventando così attesa e quindi speranza.

 

La speranza

Non è un caso che la raccolta si concluda con una sezione dal significativo titolo La speranza. È proprio grazie all’attesa fiduciosa di un futuro positivo, infatti, che il disordine interiore, il dolore e l’angoscia trovano una placida quiete. La consapevolezza di un’«infausta esistenza» non può immobilizzare l’uomo, occorre andare oltre. Dinanzi al «deviato cammino» è necessario «non rimanere avvinghiati in momenti di negatività e di dolore», ma bisogna tendere «alla rinascita / desiderando nuova luce / ricercando nuove melodie», «anelando per tutti / un’alba migliore».

Dopo aver scandagliato il dolore in profondità e con la cura che solo i poeti sanno avere, dopo aver ricondotto a galla quanto di polveroso vi è nella natura umana, la poetessa spinge i lettori ad avere uno sguardo più intimo, capace di valicare gli spazi del dolore, e a saper utilizzare quest’ultimo come una lente per vedere oltre i confini della materialità e dell’egoismo.

Le parole fluiscono così armoniosamente nella loro semplicità ricercata, da condurre il lettore verso spazi profondi e ricchi di significato, entro i quali non si sente smarrito, ma trova nuove conoscenze e riscopre vecchie emozioni.

Le liriche hanno suoni familiari e pacati che rendono melodioso il ritmo poetico.

Di grande forza sonora e vigore immaginativo sono le liriche in vernacolo, capaci di scuotere la mente da un languido torpore emotivo e in grado di offrire al lettore una sempre nuova interpretazione a quel suo guazzabuglio interiore, misto di dolce e amaro.

 

Daniela Malagnino

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno VI, n. 53, gennaio 2012)


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