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Anno VI, n. 53, gennaio 2012
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Comunicazione e Sociologia (a cura di Alba Terranova) . Anno VI, n. 53, gennaio 2012

Zoom immagine La filosofia politica islamica:
un modello di pluralismo,
interazione socioculturale,
e stabilità dei governi

di Valentina Curatolo
Le migrazioni e l’Europa della crisi:
risposte dall’Oriente per Rubbettino


In un mondo sempre più globalizzato, sia a livello economico sia culturale, il concetto di nazione, che ha permeato la coscienza dei popoli negli ultimi due secoli, perde rilevanza e diventa insufficiente per esprimere l’identità di una comunità. La caduta del muro di Berlino e la conseguente fine della Guerra fredda hanno aperto la strada a una nuova fase della storia, dimostrando al contempo l’inadeguatezza dell’Occidente nei confronti di una politica globale. Eppure, il fenomeno della globalizzazione non è una recente invenzione: nel mondo antico erano numerosi gli scambi commerciali e culturali tra popoli diversi, basti pensare al sistema di traduzioni messo a punto all’epoca e alla così detta “Via della seta” che dalla Cina arrivava fino a Roma, passando per il Mediterraneo, vero crocevia di civiltà diverse e simbolo di un’unità politica ed economica. Proprio il Mediterraneo e, nella fattispecie, il mondo arabo sono al centro della riflessione di Karim Mezran, direttore del Centro studi americani di Roma, e Ahmad Gianpiero Vincenzo, scrittore musulmano di origini italiane, che ne L’altro Islam (Rubbettino, pp. 180, € 14.00) analizzano il sistema politico islamico dall’antichità ai giorni nostri per dimostrare la necessità del pluralismo come unico fattore determinante in grado di generare un apparato governativo stabile.

 

La filosofia politica islamica: un paradigma ancora attuale

L’excursus storico-filosofico degli autori inizia con la disamina delle opere di due intellettuali musulmani che si sono distinti soprattutto nell’ambito della filosofia politica (disciplina nata proprio nel mondo islamico intorno all’anno Mille): Al-Farabi e Ibn Khaldun. L’importanza di questi pensatori si rivela nelle loro opere sullo stato e la giustizia, in cui è evidente la continuità con il pensiero greco: «Il fine ultimo della filosofia politica è quello di realizzare una prospettiva unitiva e pluralista della società, pur dando coesione e coerenza all’intero corpo sociale». Esaminando le loro opere, gli autori desumono alcuni elementi utili all’analisi del mondo contemporaneo, ad esempio per quanto riguarda il nomadismo, che è considerato dall’Islam come una caratteristica importante per la stabilità sociale, permettendo il ricambio di beni e valori, limitati in una società di tipo sedentario. Immigrazione ed emigrazione sono dunque fondamentali per il benessere di una società, in quanto sinonimo di rinnovamento.

Interessante e molto attuale è l’analisi sulla concezione del governo di Al-Farabi: egli afferma che un paese potrebbe essere governato anche da una sola persona, purché questa abbia le qualità necessarie a governare, prima tra tutte quella “sapienza” che già Platone indicava come presupposto indispensabile di ogni uomo politico. La sapienza è però una qualità rara, quasi utopica nella filosofia politica, ragion per cui la pubblica amministrazione deve necessariamente essere affidata ad un numero maggiore di persone, in modo da avere il più alto numero di qualificazioni necessarie al buon governo. Si evince da queste affermazioni che la democrazia, seppur non apertamente consigliata da Al-Farabi, è quasi inevitabile nel governo di un paese. Inoltre, qualunque governo deve produrre e stabilire una legislazione virtuosa; tale legislazione si avrà solo se sussiste un buon equilibrio tra «la mentalità che arriva a predominare al suo interno – dello stato – lo spirito di corpo e, infine, il dinamismo sociale innescato dalla mobilità della sua struttura sociale e dall’apporto di popoli migranti». Affinché ci sia stabilità all’interno di uno stato, è dunque necessario: 1) che esso sia governato da persone capaci e virtuose; 2) che esista una coesione sociale molto alta tra gli appartenenti allo stato; 3) che ci sia abbastanza “movimento” all’interno dello stato stesso, cioè bilanciamento tra immigrazione ed emigrazione.

Quest’ultimo punto è ripreso più volte dagli autori, che rilevano il modo in cui, in una civiltà come quella islamica, il concetto di “straniero” sia completamente «svuotato di senso». Il fenomeno delle migrazioni, lungi dall’essere un problema rappresenta, invece, un elemento importante per l’equilibrio degli stati.

 

“Complementarietà” di politica e religione

Un’altra delle caratteristiche peculiari della politica islamica è il suo rapporto con la religione: il funzionamento dello stato è indipendente dalla religione, la quale ha leggi applicabili solo ai suoi fedeli. Mentre in Occidente lo stato e la religione sono nettamente divisi, l’Oriente opta per una politica di “complementarietà”, in cui religione e stato né si sovrappongono, né sono in conflitto tra loro. Solo nel XXIX secolo, quando l’Oriente diventerà meta del colonialismo occidentale, la religione verrà “nazionalizzata”, sul modello degli stati protestanti.

Il rapporto di uno stato con la religione è comunque indicativo del tipo di governo in atto nello stesso; nella fattispecie se si ha a che fare con uno stato pluralista, esso sarà tale anche riguardo alle confessioni religiose.

 

L’Unione Europea: necessità di rinnovamento

L’ultimo punto analizzato nel saggio riguarda la moderna nascita dell’Europa come federazione di stati e il rapporto che questa ha con il pluralismo.

Fin dalla sua nascita, l’Unione Europea ha fatto riferimento a un modello separatista, giudicato come migliore espressione della laicità dello stato. Esso scaturisce dall’incontro-scontro tra stato e istituzioni, che, dopo numerose ingerenze, hanno preferito una netta separazione tra le due sfere, con il conseguente disinteressamento dell’una verso l’altra. Tale modello però presenta alcune limitazioni in una civiltà multietnica e multi religiosa come l’Europa: mentre di norma dovrebbe accomunare tutte le confessioni religiose sullo stesso piano, di fatto (non essendoci alcuna – o quasi – norma giuridica tra queste e lo stato) quest’uguaglianza viene meno, essendo “favorite” quelle confessioni storicamente radicate negli stati di riferimento.

Con questo saggio dal carattere storico, Karim Mezran e Ahmad Gianpiero Vincenzo tentano un nuovo approccio ai vecchi problemi, prospettando, se non una soluzione, quanto meno un modello di riferimento per migliorare la politica attuale.

 

Valentina Curatolo

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno VI, n. 53, gennaio 2012)

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