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A. XVIII, n. 200, maggio 2024
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Letteratura:
Una storia
(a cura di Angela Galloro)


Zoom immagine L’arte di Pasolini vista
attraverso le influenze
e i rimandi agli scritti
del passato letterario

di Elena Montemaggi
Da Il Coscile, un saggio che evidenzia il filo che lega Pasolini a Pascoli
e a Baudelaire, in relazione a stile, metrica, tematiche e intellettualismo


Pierino Gallo è dottorando in Testi e linguaggi nelle letterature dell’Europa e delle Americhe presso l’Università degli studi di Salerno e membro della “Société International Chateaubriand” e dell’Associazione culturale “Il Musagete”. Ha scritto su D’Annunzio, Leopardi e Montale, su varie riviste di letteratura e nel 2006 ha pubblicato la raccolta poetica Attese.

Tre anni fa ha affidato alle stampe uno studio su uno degli scrittori più importanti del secolo scorso: Pier Paolo Pasolini. Nel saggio Pasolini tra Pascoli e Baudelaire. Intertestualità e influenze ne “Le ceneri di Gramsci” (Il Coscile, pp. 84, € 10,00) viene documentata la stretta relazione con Pascoli nell’adozione della terzina dantesca, nel plurilinguismo, nella musicalità, nella tematica dei morti. Del poeta francese vengono invece colti il maledettismo, l’immortalità, la tematica popolare e la metrica. Come ben spiega Pino Corbo nella sua Prefazione al testo, «Pasolini vede incarnata in Pascoli e Baudelaire quella figura di intellettuale di frontiera, un po’ missionario, un po’ don Chisciotte, che contrappone disvalori a valori, morale a moralismo, in piena polemica con i dettami etici della tradizione, della storia e dei comportamenti sociali del suo tempo».

 

L’incontro col «padre»

L’incontro elettivo tra Pasolini e Pascoli comincia con la famosa tesi di laurea di Pasolini, Antologia della lirica pascoliana, poiché, come ammette l’artista stesso, il Pascoli è il poeta a cui lui si sente legato quasi da una fraternità umana oltre che ammirarne la magistrale tecnica poetica nonché «l’accordo tra autonomia dell’arte, moralità umana e fine utilitario». Il poeta romagnolo continuò a presentarsi come personaggio indiscusso di altri scritti come ad esempio l’articolo Pascoli e Montale in cui Pasolini fa notare come sia nell’uno che nell’altro le parole si caricano di funzione magica, di trascendenza. La parola in quanto suono serve a Pascoli per creare realtà parallele, mentre per Montale essa è uno strumento imprescindibile di aderenza al reale; ad accomunarli la storicizzazione dell’emozione: il rapporto cosciente con un attimo della memoria.

In Pascoli, che nel 1955 aprirà il primo numero di Officina, è l’aspetto linguistico ad avere la precedenza, un plurilinguismo rivoluzionario che colpisce l’autore per il suo «sperimentalismo antitradizionalistico, le sue prove di parlato e prosaico, le sue tonalità sentimentali e umanitarie al posto della casistica sensuale religiosa petrarchesca». Pasolini accredita al Pascoli una preziosa dote descrittiva che da oggettiva si fa soggettiva per via di una ricerca impressionistica, linguistica, lessicale o meglio di uno straordinario sperimentalismo intenzionale che lo rende sempre nuovo.

Pascoli, dunque, è il modello al quale si rifà la lirica pasoliniana per il suo essere ponte tra Otto e Novecento e si nota come proprio nell’opera Le ceneri di Gramsci l’autore scriva guardando al poeta romagnolo dei Poemetti in cui «all’impianto lirico sostituisce un più disteso taglio narrativo, permesso appunto dalle terzine dantesche che raggruppa in sezioni più o meno ampie (ne Le ceneri di Gramsci molti poemetti presentano, come in Pascoli, una scansione in capitoli con numeri romani). Ed anche qui regna, dunque, l’endecasillabo». La terzina incatenata è un metro narrativo per eccellenza che permette sia a Pascoli che a Pasolini di ottenere «una narratività diffusa, un continuum nel discorso» senza impedir loro al contempo di farne un uso personalissimo. I due poeti infatti impiegano versi e forme metriche consueti ma poi il verso, così come la struttura sintattica, è di regola frantumato al suo interno, interrotto da numerose pause, segnate dall’interpunzione, da incisi, parentesi, puntini di sospensione e dall’uso frequente di enjambements che vanno a spezzare sintagmi saldamente uniti, come soggetto-verbo, aggettivo-sostantivo.

Le analogie sul piano lessicale che ritroviamo nell’opera vanno dal già citato “plurilinguismo pascoliano” alla scelta di termini comuni. Come il Pascoli, anche Pasolini preferisce mescolare codici linguistici diversi, affiancare tra loro termini appartenenti ai settori più disparati senza creare per questo collisione poiché le parole rispecchiano le cose e quindi possono convivere senza gerarchie. Si passa dunque da termini aulici e antichi, a quelli gergali e dialettali presi da una realtà campestre (il parlato dei contadini della Garfagnana per Pascoli, il parlato dei contadini di Casarsa prima e dei personaggi delle borgate romane poi per Pasolini). Il sovvertitore Pasolini non si lascia certo sfuggire questa sorta di violazione che la pluralità dei codici linguistici permette nei confronti della norma dominante nella tradizione poetica italiana. Entrambi i poeti non credono più «in un mondo nettamente determinato dove una gerarchia stabilisce un preciso rapporto uomo-cosmo, bensì in una dimensione frantumata (da ciò il linguaggio eterogeneo) dove sulla logica prevale l’intuizione, la sensazione immediata volta ad indicare corrispondenze non visibili tra le cose. E la poesia delle Ceneri non è mai definitiva». Continua così la ricerca di Gallo e la sua dimostrazione di quella “linea Pascoli-Pasolini” tracciata principalmente tra i Poemetti e le Ceneri; l’individuazione dei punti d’incontro e di quelli in cui i due poeti si discostano l’uno dall’altro, per ricongiungersi, infine, in quel bisogno di riconciliarsi con i propri morti, di invocarne il perdono e la protezione poiché è il dolore il sentimento che annienta il prezioso mondo della semplicità arcaica.

 

Escursioni “maledette” dalle Ceneri a Les Fleurs du Mal

«Con le dovute irregolarità del metro libero novecentesco, Pasolini scrive in endecasillabi di straccioni, adolescenti maliziosi, sporcizia urbana, cagne, prostitute e Baudelaire aveva fatto lo stesso il secolo prima, rendendo ancor più maledetto l’abbinamento forma tradizionale e materia bassa con il rispetto rigoroso della modalità metrica.

Da Dante, infine, la predisposizione strofica in terzine che, passando per i Poemetti del Pascoli, approdano alle Ceneri. […] Anche qui con la variante di frequenti enjambements».

Nelle Ceneri così come nelle Fleurs ritroviamo la stessa logica del sublime nella degradazione che si realizza sugli oggetti e i sentimenti della classe più bassa; dalla Parigi di Baudelaire alla Roma di Pasolini si snodano vicende e si raccontano vite che, pur mutando la compagine politica, restano ancorate ad un unico dilemma: quello tra le pulsioni materiali e il desiderio di elevarsi. «Sono i gradini più bassi della gerarchia sociale a diventare protagonisti del viaggio baudelairiano e pasoliniano». Un viaggio che si serve di scene reali, di un erotismo putrido e disperato, di una passione impura, da emarginati: una poetica dello sporco.

«L’eros delle Fleurs e quello del sottoproletariato urbano delle Ceneri sono alla base di un interminabile catalogo di esperienze sensoriali, acustiche, mistiche: il “trapasso” dalla carnalità del rapporto all’angelizzazione dei corpi si compie con frequenza».

Sia le Fleurs che le Ceneri sono «vere e proprie tappe di un dramma esistenziale: quello della doppiezza umana, del Bene e del Male, del Cielo e dell’Inferno, della spiritualità e degli appetiti terreni».

Che siano dunque i diseredati della Roma pasoliniana, il “morto disadorno” di nome Gramsci o le presenze asociali che abitano i versi de Les Fleurs du Mal, «le condizioni della crisi non mutano e anzi si acuiscono, trovando linfa vitale nel reciproco accostamento». Tanto da riprodursi, come fa notare Auerbach, nell’epilogo di due esistenze gemelle in cui il cerchio della diversità e del maledettismo poetico compie appieno il suo giro seguendo il filo tematico del “morto emarginato” che, partendo dalla figura di Gramsci, si «irradia» a Pasolini e Baudelaire: «La collocazione della sua tomba (quella di Gramsci appunto) fra gente straniera, in uno spazio a sua volta alieno rispetto alla città, ne ripete in eterno la condizione di uomo confinato: ne è quasi, dantescamente, il compimento figurale. Una constatazione dall’avverbio interscambiabile: da dantescamente a pasolinianamente e baudelairiamente, senza alcuna piega nel messaggio».

 

Elena Montemaggi

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno V, n. 50, ottobre 2011)

Collaboratori di redazione:
Elisa Guglielmi, Ilenia Marrapodi
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