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Filosofia e religioni (a cura di Maria Grazia Franzè) . Anno V, n. 49, settembre 2011

Zoom immagine L’uomo e la natura
tra sensi e ragione:
riflessioni filosofiche

di Daniela Vena
Osservazione del mondo e condizione
umana nella modernità. Da Il Melangolo


A cavallo fra il Cinquecento ed il Seicento, il genere umano è investito da profondi e radicali cambiamenti. Le grandi scoperte scientifiche e geografiche rivoluzionarono le conoscenze ritenute più vere. Infatti, con la scoperta dell’America si allargarono gli orizzonti, mentre Copernico con la sua ipotesi, sconvolse totalmente l’universo medioevale rivoluzionando e modificando anche le cognizioni sul moto delle stelle. Così il confronto con le nuove scoperte geografiche, astronomiche e fisiche, gettarono l’uomo del Sedicesimo secolo, nell’incertezza e nel senso di disorientamento più profondi, generando in lui mille dubbi ed incertezze. Il mondo ormai “scardinato” e devastato da violenti scontri religiosi, era permeato da una sensazione d’angoscia ed inquietudine sempre crescenti. Pertanto l’uomo, sconvolto e smarrito, cercò di riconquistare un suo equilibrio, cercando nell’osservazione naturale i cardini della sua esistenza. Bisognerà aspettare quel lasso di tempo che dal Medioevo, considerato un periodo buio ed ostile, porterà al Rinascimento che ricco di un rinnovamento culturale riguardante tutti i campi, ridarà all’uomo quelle certezze perdute. L’importanza di quell’osservazione naturale fa da sfondo all’ultimo libro di Franco Crispini: Profilo dell’osservatore naturalista. Telesio, Bruno, Montaigne (Il Melangolo, pp. 156, € 15,00) che descrive l’osservatore naturalista attraverso lo studio di tre grandi filosofi, quali appunto Telesio, Bruno, Montaigne, che hanno caratterizzato la seconda metà del Cinquecento, delineando la figura di un nuovo “osservatore-filosofo”, che avrebbe introdotto una nuova immagine della natura. Ma soprattutto, come scrive l’autore nella premessa: «Telesio, Bruno, Montaigne esprimono un’apertura della cultura umanistica che li porta a far avvertire i sintomi di una svolta che sta per essere». Franco Crispini, preside della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università della Calabria, si è prevalentemente occupato di temi ed autori della storia delle idee e della cultura tra Seicento e Settecento. Attualmente, egli ha rivolto i suoi studi ad autori della “prima modernità”, tra le sue opere: L’etica dei moderni. Shaftesbury e le ragioni delle virtù, Donzelli, Roma, 2001; Idee e forme di pensiero, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2003; (a cura di) Fontenelle, Della Ragione, e di altro, Rubbettino, 2007.

 

«Telesio un antico moderno?»

Bernardino Telesio fu propugnatore di una metafisica materialista, in cui la conoscenza era interamente fondata sulla sensibilità. Telesio ebbe una formazione prettamente aristotelica, non a caso la sua opera maggiore, De rerum natura iuxta propria principia, nasce dalla critica che muove alla Fisica di Aristotele. Secondo Telesio, infatti, i filosofi che lo avevano preceduto avevano peccato d’arroganza, poiché inorgogliti da un’apparente potenza intellettuale, basata sull’eccessiva fiducia nella ragione. Essi hanno equiparato la loro sapienza a quella di Dio, relegando la natura ad una fittizia creazione intellettuale. Dal canto suo Telesio demolisce la visione di una natura antropomorfizzata, piegata alle esigenze dell’uomo, e delinea la natura come una realtà autonoma, ricca di finalità intrinseche che si presta come oggetto di studio per la ricerca filosofica. L’osservatore-naturalista telesiano, è un uomo con una “propria genialità”, che ha come scopo quello di percepire, mostrare e catalogare l’ordine naturale. Egli si muove fra doveri e “divieti”, come scrive Crispini: «in Telesio l’osservatore-naturalista, svolge principalmente un lavoro di archiviazione e di lettura delle nomenclature e delle strutture essenziali dell’ordine della natura». È fondamentale sottolineare l’importanza dell’aderenza alle Sacre Scritture, «la filosofia della natura come si trova in Telesio tiene vincolato l’investigatore da un lato a quello che i sensi possono accertare, e dall’altro alla parola della Chiesa e delle Sacre Scritture punto di riferimento essenziale che protegge da ogni sconfinamento e fa cadere ogni altra evidenza contrastante». Secondo Telesio l’osservatore ha il compito di scrutare ogni singolo evento naturale sin nei minimi dettagli, contemplare tali perfezioni senza preoccuparsi di decifrarne le strutture rette dal sapiente Artefice. Per il filosofo, infatti, era impossibile che la creatura fosse in grado di decifrare e comprendere il proprio Creatore. Quindi l’osservatore telesiano deve solamente arrendersi alla contemplazione e catalogarla. Se da un lato Telesio mostra la sua modernità con la capacità di studiare criticamente il pensiero dei filosofi precedenti senza restare vittima della loro grandezza, dall’altro lato, tuttavia, la preminenza assoluta che Telesio da alla conoscenza sensibile rispetto al ragionamento lo frena “dall’elaborazione di un metodo” che trasforma la conoscenza in scienza. Per questo motivo, come scrive Crispini: «Forse è il caso di tenere Telesio in bilico tra antichità e modernità».

 

Giordano Bruno e la natura “seduttrice”

La visione di una natura in continuo divenire, il suo carattere divino, quest’eterno avvicendarsi di vita e di morte, avevano esercitato un particolare fascino su Giordano Bruno, trovando grande celebrazione nelle sue opere. È importante sottolineare che Bruno superò la visione telesiana della conoscenza della natura frammentata e ristretta dal senso e dai modelli matematici, identificò l’osservatore naturalista con la natura stessa, ma soprattutto, diversamente da Telesio, gettò le basi per una vera “scienza della natura”. A tal proposito scrive Crispini: «Deve non sfuggire che quella che Bruno caldeggia è una vera elevazione dell’osservatore naturalista a filosofo naturale». Leggendo queste parole dell’autore, si comprende quanto Bruno allarghi l’orizzonte “dell’osservatore filosofo” il quale si percepisce come parte della natura stessa. Pertanto il filosofo descrive una natura che governa e regola l’universo, che vivifica tutto il reale nell’infinità del mondo e che può essere “decodificata”. Bruno, infatti, era sostenitore del filone neoplatonico, secondo cui l’unità dell’essere svelava ogni verità, dato che “chi capisce l’Uno, capisce tutto”. La nuova filosofia di Bruno mira ad un sapere profondo, che porta l’osservatore, come scrive Crispini: «oltre se stesso». Il filosofo descrive quindi un investigatore prearistotelico in cui è predominante l’interesse per l’identificazione del principio unico originario dal quale si è generato il mondo. Bisogna ricordare che il filosofo accolse entusiasticamente la dottrina copernicana che insieme con gli insegnamenti di Cusano, il quale sosteneva la coincidenza degli opposti come annullamento delle differenze, decretarono, come scrive l’autore: «uno dei pilastri di tutta quanta la nolana filosofia». La volontà di Bruno di oltrepassare la conoscenza superficiale della natura per raggiungerne una più profonda è la peculiarità che maggiormente descrive il suo osservatore naturalista. Secondo il filosofo ogni essere deve ritornare a Dio e confondersi con lui generando un “eroico furore”. Per spiegare tale processo Bruno ricorre alla storia mitologica di Atteone che attirato dall’immagine di Diana riflessa nell’acqua venne trasformato da cacciatore in preda e sbranato dai suoi stessi cani. Fuori di metafora, lo sbranamento dei cani simboleggia il ritorno dell’uomo alla natura, dopo aver trovato il principio divino (Diana) che anima ogni cosa. L’intento principale di Bruno era quello di ampliare lo sguardo del filosofo “trasfigurandolo nella natura”, da qui deriva il suo slancio innovativo di oltrepassare i freddi schemi astratti usati in precedenza come parametro dell’osservazione naturale. Il grande limite di Bruno, invece, viene così espresso da Crispini: «Non c’è un punto di osservazione che rimanga fisso, non c’è una figura di osservatore che si sottragga all’incessante mutamento che segue le pulsazioni del rapporto mente-natura».

 

Montaigne e il dubbio

Michel de Montaigne, il maggiore esponente dell’Umanesimo francese, autore dei Saggi, una raccolta di riflessioni personali, assunse un atteggiamento critico riguardo alla concezione stoica della ragione, intesa come facoltà infallibile, simbolo dell’immutabile natura umana. Montaigne, al contrario, considerava la mutevolezza come una peculiarità costante del vivere umano, ed è da questo punto di vista che diventa chiaro il pensiero del francese riguardo l’osservazione della natura. Come scrive Crispini: «Telesio e Bruno, pur nella comune assunzione del principio senso-natura, si muovono su scenari inconfrontabili per stili intellettuali, scopi assegnati alla propria ricerca, contenuti di questa». Infatti, se da una parte Telesio si limitava ad annoverare i risultati dell’osservazione naturale, dall’altra Bruno si lasciò travolgere dalla “luce intelligenziale”, e Montaigne invece studiò la “naturalità” attraverso lo scandaglio del dubbio. Non a caso, più volte all’interno della sua opera il filosofo evidenziò la fallibilità del giudizio, legato alla mutevolezza della situazione. L’osservatore naturalista di Montaigne deve scrutare ogni cosa senza fissare alcun dogma, grazie all’uso critico della ragione e al continuo esercizio del dubbio, egli riesce,come scrive Crispini, ad «Arrestarsi al punto giusto, […]». Il filosofo sosteneva che “la peste dell’uomo è la presunzione di sapere”. Scrive l’autore: «Il fortuito, dimensione che Montaigne assume come fondamentale, preserva la comprensione della realtà dalla tendenza a soffocarla dentro la camicia di forza delle astratte categorie che la fanno diventare esangue togliendole la sua vitale instabilità». L’innovazione di Montaigne è la creazione della figura di questo filosofo che studia scetticamente se stesso e la natura circostante con spontaneità ed accettazione. Seguendo le parole di Crispini: «in Montaigne […] vi è l’adozione convinta del principio di adeguarsi ai fatti, non trascenderli, non universalizzarne i significati facendoli passare attraverso i filtri di un io pensante e giudicante, inquadrandoli nelle nicchie categoriali detentrici delle possibilità di universalizzazione».

 

Vena Daniela

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno V, n. 49, settembre 2011)

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